Counselling e poesia: ritrovare la voce delle parole mancanti


poesia e counseling“È questa l'utilità della poesia, che ci ricorda
com'è difficile restar sempre gli stessi
perché la nostra casa è aperta, non c'è chiave alla porta
ed entrano ed escono ospiti invisibili”
Czeslaw Milosz

 

Parlare di poesia: perché? Per la maggior parte delle persone la poesia è un’oscura modalità dello scrivere, è qualcosa di artefatto che si è stati costretti ad imparare a memoria, è la litania dei cipressetti che vanno incontro al treno, del ribollir dei tini, di quell’ei fu che rimane nella memoria di antichi studenti nella versione corretta del ei fu siccome immobile, salì sull’automobile, scese dall’altra parte, era Napoleone Bonaparte, passando attraverso la donzelletta che forse si chiamava Silvia, o di un amore strampalato per tale Pio Bove, senza capire quale fosse il cognome, visto che per un adolescente deve essere difficile considerare il trasporto affettivo verso un ruminante. Difficilmente la poesia è stata spiegata nella sua profonda essenza, in quella scarnificazione dell’espressione che riesce ad arrivare a sfiorare il segno profondo dell’anima umana, che riesce a far stralunare di meraviglia gli occhi del cuore nella nuova rivelazione che essa porta.

 

La poesia non è altro che una pennellata di nero che segna il buio, di rosso che incendia il fuoco, di verde che tinge una distesa d’erba e la fa confinare col marrone delle alte vette. La poesia, anche se non se ne ha coscienza, è la ricerca costante di quell’incerto che ogni persona tenta di trovare, cioè il bello, l’essenziale, la ragione, la necessità di ogni cosa che ci capita, sia essa l’amore, il dolore, la perdita del senso e della speranza, la magnificenza di un paesaggio o di uno sguardo e ,forse, lo scoprire di quello stesso sguardo la terribilità e la paura. Insomma poesia non è altro che cercare di descrivere la profonda unicità di un evento, la sua significazione che si iscrive comunque nella carne, nel cuore e nella psiche umana. Riuscire a comprendere questa dimensione, riuscire a riempire di musica gli avvenimenti, riuscire a dar loro un peso specifico che li faccia galleggiare dentro di noi e non li faccia affondare in un vuoto di memoria e del non significato, questo è fare poesia. E’ un atteggiamento, una possibilità del sentire, che, particolarmente in questa epoca, raramente ci viene concesso. Il perché è presto detto: nella poesia occorre principalmente l’ascolto di se stessi e dell’intorno che ci accoglie. E’ un momento di vuoto, che vuoto non è perché improvvisamente prende forma, ma soprattutto è un momento di non fuga, è un momento in cui “si ristà”, nel quale ci si tende una mano, ci si accoglie e ci si sorride. Ed è vero che momenti così fanno paura perché l’abitudine a stare soli con se stessi non appartiene al mondo moderno in cui tutto deve essere riempito subito, tutto deve essere divorato, digerito per essere poi divorato ancora immediatamente in un circolo vizioso.

La parola, che è elemento costitutivo del linguaggio e quindi della principale modalità relazionale dell’umanità, apparentemente è lo strumento comunicativo più vicino, più facile, più immediato per ciascuno di noi. Questo è vero, ma solo in parte. Oggi le parole vengono dette, messe insieme, utilizzate senza la ricchezza del loro pieno significato che serve prevalentemente per una comunicazione spicciola e stereotipata; prova ne è la contrazione concettuale di quello che si vuole esprimere che porta con sé una povertà lessicale che probabilmente non si era mai vista prima. La metafora, strumento potente di esplicazione di quanto conteniamo, utilizza immagini che attingono al simbolico, all’archetipico, a tutta la complessità dell’esperienza umana nei suoi molteplici aspetti e spesso utilizza possenti figure immaginifiche che attingono alla natura o alla magia di miti e di storie tramandate nel tempo. I dialetti utilizzano, nelle loro modalità espressive questa ricchezza metaforica. Il linguaggio della lingua nazionale corrente diventa per lo più mera comunicazione di avvenimenti, a descrizione di circostanze e, anche quando tocca gli aspetti emozionali ed affettivi dell’individuo; essa prende a modello quanto normalmente utilizzato dagli strumenti dominanti di cultura corrente che sono i mezzi mediatici e il mondo commerciale consumistico che ci circonda, un mondo talmente invasivo che plasma perfino i desideri e, in ultima analisi, la sfera emotiva delle persone.

La parola viene dunque utilizzata in modo utilitaristico e perde la sua potenza, ma soprattutto non è legata ad altre parole nella costruzione di una complessità simbolica che sola può rendere giustizia alla complessità dell’animo umano. Il risultato finale di questa stereotipia e povertà della comunicazione tra le persone è che l’individuo perde la capacità di comunicare anche con se stesso. Le enormi possibilità di descrizione della ricchezza che ci circonda si riduce, utilizzando un linguaggio chitarristico, nel suonare solo la melodia del giro di DO, sufficiente per accompagnare tante canzoni che ci sono care. Ma, appunto, solo accompagnare. E’, infatti, nello scambio, nel continuo confronto con il mondo circostante, nel conflitto tra le diverse istanze emotive che l’anima umana apprende ad essere complessità nella complessità e che, prendendo coscienza di ciò, prende anche coscienza della sua ricchezza. Dunque un individuo che non riesce a scambiare significazioni simboliche con altri individui sarà persona che non riesce a darsi la legittimazione di parlare con se stesso, che non riesce a permettersi una complessità individuale apparentemente non contemplata nel mondo che lo circonda, nel quale la semplificazione sembra essere l’unica modalità possibile. Semplificazione intesa come utilizzo di modelli comportamentali standardizzati, che significa anche tracciare solchi profondi, trincee nelle quali gli individui hanno scarsa possibilità di movimento. Troppo facile è comprendere che individui simili sono molto più facilmente gestibili, a tutti i livelli sociali, politici e consumistici, di individui che possono muoversi liberamente assecondando inclinazioni personali e non collettive.

Poesia e counselling
La poesia che, come tutte le arti, è libertà di espressione, utilizza invece la parola, e soprattutto le aggregazioni di parole, in tutta la sua potenza ed ha il pregio di penetrare nel profondo del sentire umano, scarnificandolo di tutti gli orpelli e gli ornamenti che ne nascondono il vero significato e diventando strumento d'incontro con se stesso e, ancora di più, con l'altro. Quando si accede a questo mondo di parole piene, e soprattutto quando ci si cimenta nello scrivere e dunque nel sentire in modo poetico, spesso accade una rivelazione: ci si sente legittimati al proprio sentire e ci si sente legittimati a penetrarlo, a sentirlo in tutta la sua ricchezza e complessità e, forse, si sente che questa dimensione di profondità può uscire anche dall’involucro chiuso del proprio mondo interiore e venire alla luce, essere comunicata al mondo. Io sono anche questo e voglio essere questo perché è la mia ricchezza. In questo senso la poesia può divenire strumento importante per un terapeuta, se riesce a far comprendere al paziente che il suo linguaggio è una modalità espressiva di unicità, di individualità, che è diversa e che infine è una possibilità di riappropriarsi delle proprie istanze profonde e nascoste.

Un intervento di counselling che possa ottenere dei buoni risultati, si fonda evidentemente sull’ipotesi che il cliente riesca a trovare durante il cammino risorse che gli permettano di individuare le modalità più adeguate per fronteggiare una situazione o, più generalmente, una fase di vita problematica e che vorrebbe risolvere in modo positivo, più equilibrato e confacente alla sua personalità.
L’incontro di counselling è prima di tutto un incontro umano che, attraverso la relazione con il professionista, apre nuove strade e possibilità di riflessione e di presa di coscienza delle proprie modalità di essere nel mondo. All’interno di ogni processo di counselling sono previsti diversi strumenti o tecniche idonei alla definizione ed alla attivazione delle risorse del cliente. Assieme all’ascolto attivo, all’osservazione relazionale, alla risonanza emotiva empatica, alla riformulazione delle domande, la costruzione di schemi di pensiero alternativi a quelli comunemente utilizzati dal cliente è una delle finalità principali dell’incontro e può diventare anche una delle maggiori risorse dell’intervento stesso.

La lettura di una poesia
E’ legittimo ipotizzare che la lettura di una poesia possa aiutare a costruire un diverso sistema di pensiero? Czeslaw Milosz scrive “ Al fondo della poesia c'è una sorta di impudicizia che fa emergere quel che non sapevo di avere dentro...” dichiarando che la peculiarità della poesia è proprio il suo essere espressione diretta dell’animo umano e, in quanto tale, precisa manifestazione di un sentire che il poeta ha già analizzato, elaborato, per cui ha trovato le parole più adatte e capaci di sollecitare il sentire di chi le ascolta.
Utilizzare la creatività poetica nell’ambito di una relazione d’aiuto consente di individuare un nuovo percorso espressivo, privo degli ostacoli e della costrizione tipici della comunicazione razionale; spogliata della censura normalmente agita dalla mente sui propri vissuti più complessi da interpretare e più dolorosi da accettare. La comunicazione mediata dalla poesia tra counsellor e cliente diviene quindi una comunicazione più sincera e profonda. La lettura condivisa di una poesia consente di esprimere se stessi (cliente) e comprendere l'altro (counsellor) ad un livello più profondo della normale conversazione perché è dialogo che afferisce alla sfera emotiva. In più il sentimento di solitudine che deriva dalla quasi convinzione che il proprio sentire sia talmente unico e perciò incomprensibile agli altri, si affievolisce, perché il sentire espresso dal poeta è un vissuto universale pur se declinato in maniera personale. Offrire una poesia, e la propria apertura ad esplorarla insieme, è dichiarare la propria disponibilità ad accompagnare l'altro nel suo sentire nascosto e pudico.

Leggere ed interpretare insieme una poesia non è azione accomunante, perché anzi sottolinea le proprie peculiarità, ma aiuta a riconoscersi e a convalidarsi nella propria precisa individualità e a confrontarsi con l’altrui diversità senza paure.
Responsabilità del counsellor sarà quella di individuare quale poeta o quale poesia siano i più adatti per la necessità del cliente, per il problema che ha evidenziato. La scelta della poesia deve rispettare le inclinazioni espressive del cliente, e quindi il linguaggio da prediligere sarà quello più vicino alla modalità comunicativa del cliente stesso, e dovrebbe basarsi sull’emozione portata nell’incontro.
Non è possibile evitare una reazione emotiva di fronte ad uno scritto poetico, sia essa di accettazione o di rifiuto, e l’elaborazione che ne segue dovrà partire proprio da questa reazione; può succedere allora che, attraverso l'espressione poetica, lati tenuti in ombra riescano a trovare una via espressiva e che l'immaginazione, la creatività, il donarsi e abbandonarsi alle parole poetiche portino in superficie quanto di più profondo possediamo.

Spesso il rifiuto razionale di una poesia e l’eccessiva reazione emotiva di fronte a quanto espresso sono indicativi di un forte coinvolgimento, che deve essere riorganizzato e reso affrontabile per vie meno esplicite o tramite metafore del sentire: attraverso l'ausilio del mezzo espressivo-metaforico-simbolico si può giungere ad una diversa interpretazione della propria sofferenza o semplicemente al prenderne atto e, soprattutto, può diventare possibile parlarne. Nella prima fase elaborativa è importante che il vissuto di cui si discute rimanga di pertinenza del poeta, e che al cliente sia data la possibilità di esprimere liberamente sia un giudizio sullo scritto (indicativo della disponibilità a confrontarcisi o delle resistenze messe in atto) e sia le emozioni provate senza l’obbligo di riconoscerle come personali; il testo poetico è materiale adattabile che deve essere smontato e rielaborato emotivamente, le parole possono trasformarsi senza cambiare di significato e, da vissuto di un altro, diventare proprie emozioni e propri avvenimenti. Il cambiamento nell’interiorità del cliente è frutto di un processo lento di assimilazione delle emozioni descritte dal poeta, di riconoscimento della condivisibilità dei vissuti e di elaborazione delle sensazioni provate: nel passaggio da “testo letto” a “testo sentito” avviene il cambiamento rispetto al proprio vissuto, che da sensazione impossibile da accettare diviene materiale su cui lavorare. Il riconoscimento empatico dello scoglio espressivo del cliente consente di suggerirgli, attraverso le parole poetiche, un’ottica diversa di interpretazione del problema: non quindi un fornire soluzioni su come eliminare le difficoltà, ma un rendere comprensibile la loro pluralità, facendo così emergere reazioni/soluzioni che rispettino l’identità del cliente e che gli consentano di assumersi il senso della propria unicità/responsabilità all'interno della storia personale.

Fare poesia
Scrivere, soffermarsi su un pensiero e inciderlo come fosse un disegno dentro di noi. Utilizzare l’inchiostro come si utilizza la zappa per scavare il solco dove mettere i semi di una emozione che vuole germogliare, che vuole trovare possibilità di luce, di manifestarsi e di manifestare il senso, l’essenza , la verità del cuore che la possiede. Fare poesia, tentare l’arte, è legittimazione di poter esprimere, magari nascostamente, un mondo interiore ricco e magari inesplorato che il pudore, i luoghi comuni, la standardizzazione nella ripetizione di un modello stereotipato nell’omologazione, impediscono spesso addirittura di pensare che ci possa appartenere, che possa essere dentro di noi. I versi di un poeta spesso aiutano a riconoscersi in un sentimento emotivo, in una situazione carica di densità, tanto da dirsi: ma è vero, lo sento anch’io…

Dunque legittimarsi, riconoscersi in una dimensione segreta, pudica, sanguigna, laddove il sangue è il fiume che alimenta vita. La parola diventa dunque il veicolo di questa corrente, del nostro sentire, di un sentire che esce allo scoperto senza vergogna, un sentire che parla di noi, solo di noi, di un noi in relazione con se stessi e col mondo. Fare uscire questa nuova modalità è, nel caso di counsellors che intendono utilizzare questa tecnica, l’obiettivo in grado di far sentire al cliente di essere in grado di accedere ad una dimensione diversa e più profonda di pensiero e che dunque diventa un pensiero anche più complesso, più avvolgente e che contiene le mille sfaccettature di cui è composto il vivere umano. Si può iniziare leggendo poesie o versi appositamente scelti per il cliente e poi chiedergli di sottolineare quale passaggio poetico lo abbia colpito, il perché, e lasciarlo raccontare. E’ probabile che il cliente rilevi un passaggio che rappresenti un nodo, un suo vissuto importante che le parole del poeta, evidenziandolo, caricandolo di pathos, mettono in luce, consentendogli di uscire allo scoperto.

Possiamo chiedere al cliente di prendere spunto da quelle parole, da quel passaggio e di continuarlo, con versi propri, che abbiano però una forma poetica, cioè una forma che esca dal normale scrivere come potrebbe essere un’elencazione di avvenimenti e di utilizzare invece una modalità non mediata dalla ragione ma che sia il più possibile spontanea e sorgiva, un’acqua limpida di un’emozione che esce senza censure, magari arricchita da metafore, cioè strumenti potenti che rendono l’idea, il sentire nella sua pienezza. E’ diverso dire soffro di solitudine o dire sono solo come un cane, sono innamorato o ho perso la testa, dire è un bel tramonto piuttosto che è un orizzonte tinto di un rosso caldo che straccia il cielo. Vedremo che il cliente troverà parole inaspettate, di cui si meraviglierà, di cui sarà contento perché diventeranno anche per lui rivelazione di una possibilità, di una modalità espressiva e di sentimento che forse non pensava di possedere.

Ovviamente questo risultato si può raggiungere per gradini, ma in un tempo relativamente breve. Non si può pensare di creare un poeta, non si può confondere una seduta di counselling con un corso di poesia, ma molto più semplicemente l’obiettivo rimane quello di far comprendere che esistono possibilità più profonde di rappresentarsi nella realtà quotidiana. La poesia è allenamento alla sinteticità, è un trovare l’essenza di quanto conteniamo, sentiamo e vogliamo esprimere, è allenamento alla parola armonica, a creare un legame di suoni che non strida, che sia quasi una canzone, una melodia, è un allenamento a utilizzare gli elementi della realtà che ci circonda – natura, oggetti, persone, paesaggi interiori o esterni, mitologici - e farla diventare intima, parte di chi la scrive. La poesia, per la sua forma rappresentativa in versi abbastanza brevi, è la costruzione di un quadro, di un’immagine che si coglie immediatamente, che deve essere colta se raggiunge il suo scopo, in un soffio di verità, uno sbuffo di rivelazione.
La poesia è un canto dell’anima dalle diverse voci, un urlo, un guaito, un sussurro, un bacio, uno sguardo, la poesia è voce d’uomo.

 

Giancarlo Viganò – counsellor professionista psicosintetico – Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
Roberta Livardi – counsellor professionista psicosintetico – Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

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