AGIRE NELLA COMPLESSITA’. Il consulente socio-educativo tra cooperazione e conflitto

Inviato da Nuccio Salis

cooperazione conflitto

Il lavoro socio-educativo è costantemente contraddistinto dalle variabili “cooperazione” e “conflitto”. All’interno di una visione piuttosto prossimale, il primo termine viene percepito come istanza positiva, al pari della finalità auspicabile che corona il successo delle pratiche educative. La seconda espressione, invece, farebbe più facilmente pensare ad un processo disturbato da tensioni ed incomprensioni fra i diversi bisogni agiti da differenti soggetti coinvolti all’interno dell’azione educativa. Tuttavia, come promotore di rapporti, il professionista che progetta ed implementa il suo agire a favore della persona, non potrà che ritrovare lungo il percorso una complessa ed intricata ragnatela di rapporti, attraversati dalla diversità di esigenze, aspirazioni e obiettivi, retroterra culturali, valori e possibilità di accesso alle risorse. E tanto più risulta complesso e variegato il tessuto dentro cui l’operatore è chiamato ad agire, quanto più la sua attività di servizio alla persona lo obbligherà ad accogliere ogni singola richiesta, ed a confrontarle sapendo che in ciascuna vi è insita una visione di mondo, una ipotesi di realtà, una lettura sullo stato delle cose, giustificata da una viva connessione dinamica di esperienze e di vissuti.

 

Questo aspetto implica un compito assai arduo, specie se il professionista nel campo socio-educativo dovrà nella fattispecie tenere conto non soltanto della presenza strutturale di una moltitudine di soggetti sociali presenti nella topologia di un sistema di rapporti, quanto anche dell’aspetto processuale implicato dal confronto in vivo fra le diverse cellule sociali che ne costituiscono la morfologia. All’interno di questa trama, l’addetto ai processi di facilitazione comunicativa, dovrà assumere una funzione efficace di nodo connettivo fra le realtà eterogenee che possono fra loro non comprendersi. Ovvero, egli dovrà condurre una difficile opera di promozione di incontri fra diverse micro realtà, facendosi ponte fra le stesse, negoziatore e mediatore di peculiarità sociali. Occorre, in questo frangente, non soltanto possedere un affidabile equipaggiamento tecnico-strategico, quanto per giunta aver sviluppato importanti qualità umane che consentono di sostare nella diversità, con spirito esplorativo e non giudicante.

All’interno di una siffatta situazione di immane complessità, non è escluso che egli venga percepito dentro una sorta di investitura che lo fa apparire come una sorta di leader o super-eroe che interviene e risolve sempre, senza mai fallire, forte del suo impeccabile armamentario di soluzioni universali, adatte a ogni problema. Dentro una trama di rapporti in cui vige abitualmente la colpevolizzazione vicendevole, la mancanza di visione matura di un problema e quindi l’assunzione di responsabilità, è più che probabile che una tale attribuzione, viziata da un pensiero magico e disavvezzo nel cogliere un aspetto di problematicità, al professionista dell’aiuto venga attribuito un potere taumaturgico, specie da chi, di solito, prende l’iniziativa di commissionare l’intervento a un esperto esterno. E così, all’interno di una mappa costituita da soggetti diversificati, se da una parte c’è chi vede nel professionista una figura inutile, un teorico sprovvisto di mezzi veramente efficienti per il fronteggiamento di un problema a cui, peraltro, egli può esserne del tutto estraneo, d’altra parte c’è chi invece sente di affidare a un soggetto professionale il compito di gestire aspetti di rilevante difficoltà, nel nome di alcune doti quali neutralità e competenza.

Queste due visioni romanzate della figura del consulente socio-educativo, espongono lo stesso a un forte rischio di equivoci e di svalutazione continua del proprio operato. La committenza, peraltro, che offre l’investitura e reperisce il finanziamento, si attende che l’esperto funga da braccio ausiliario a favore di chi sta delegandogli l’attività. Visto come un alleato da una parte e come eventualmente un nemico dall’altra, egli dovrà sapientemente gestire questo tiro alla fune, derivato molto spesso dall’assenza di una cultura del lavoro socio-educativo, la quale implica inevitabilmente il ricorso a una lettura mitica della figura professionale e della sua reale funzione.

Risulta quindi di notevole difficoltà implementare un progetto a carattere socio-educativo, soprattutto laddove si è chiamati a gestire una situazione in cui sono presenti diversi soggetti (gruppi e associazioni istituzioni ecc.) i cui rapporti sono determinati da tensioni  allergiche, ovvero caratterizzati da potenzialità disgregative.

Il compito del consulente socio-educativo consisterà prima di tutto nel prendere atto del conflitto e nel farlo emergere senza evitarlo, senza minimizzarlo, poiché egli non è venuto stucchevolmente a ‘mettere pace’, quanto a trasformare i processi e gli stili comunicativi, immettendo un modello di confronto costruttivo e fecondo di interessanti e vantaggiosi mutamenti per tutti. Questo principio lo aiuterà anche nel poter finalmente rendere conto della reale funzione della sua identità professionale, restituendole cioè il corretto profilo, ed affrancandola dal rischio di rimanere avulso da rappresentazioni piuttosto approssimative e superficiali.

Forse, ciò potrà anche renderlo inizialmente impopolare, ma è un passaggio necessario per evitare il pericolo del rimanere invischiati e vincolati alle aspettative di queste visioni mitologiche sopradescritte. Il conflitto dovrà dunque essere utilizzato come il motivo principale che sollecita la raccolta delle informazioni, dei vissuti e delle esperienze fra le parti in gioco, facendo emergere ulteriori e legittime domande che prima dell’analisi non erano contemplate.

Il consulente socio-educativo non dovrà accontentarsi di ciò che gli viene descritto, dovrà invece accogliere impressioni, far emergere istanze non altrimenti esplicitate, misurarsi con una mole di informazioni che arricchiscono il suo intervento in corso d’opera.

La sua dovrà essere un’azione connotata da una direzione precisa sotto l’aspetto progettuale, e al tempo stesso flessibile e suscettibile di verifica ed eventuale re-impostazione, anche e soprattutto per accentrarlo sempre sui bisogni della persona, linea guida da cui l’opera di counseling non può certamente esentarsi.

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