Carissimi,
espongo questo manifesto come conseguenza, segnandolo ancora una volta in un percorso d'insegnamento, di teoria, arte, scienza, impresa. Percorso che mi vede coinvolto, sin dal 1981, in una scommessa, nella scena scientifica e culturale. Percorso che conduce inesorabilmente alla clinica della parola e da questa al godimento. Ringrazio Giovanni Grasso e il suo staff per questa ospitalità che mi consente di esternare più volte con lo scritto in questo luogo straordinario, pulsionale, dove tutto è possibile, dove la parola diviene - libera di dirsi - col suo colore, con la sua voce, nel suo idioma. Ringrazio, ancora, per la puntuale attenzione dedicata all'imagine sovra testo, sempre creativa, essenziale e coerente con lo scritto. Da questo luogo di libero scambio, dal quale io traggo a sua volta tanto insegnamento, è posibile correre un rischio illimitato : il rischio di verità.
Non importa quì la cornice, ovvero, il mestiere di psicologo che pure pratico da oltre un trentennio. Non mi accontento. Quel che conta è il fare, al di là da ogni "comfort" d'appartenenza a gruppi sociali o professionali. Quel che urge ora è lo studio, la ricerca e la sperimentazione, indispensabili per la liberazione e la re-invenzione della psicologia come scienza dell'anima, necessari per ricondurla al suo epistemo originario, distante d'ogni tentazione fenomenologica di "visione del mondo". Importa ancora - prendendo spunto dalla attualità di respiro internazionale - la ri-lettura in chiave non antropologico-romantica e non positivistico-fenomenologica dei classici della psicologia d'occidente e d'oriente prodotti negli ultimi cento anni e non solo di quella psicologia tanto gradita e dispensata nelle Istituzioni nostrane considerate "divine". Importa in primo luogo, il desiderio , l'elaborazione personale, e quel che io vado dicendo, scrivendo e facendo. Importa la libertà che mi prendo; libertà d'impresa, ovvero d'intraprendere, puntando su una scommessa scientifica e culturale fatta di parola, scritto, clinica, formazione, senza mai sostare minimamente alla fiera dell'inutile, senza paura di correre il rischio d'esser solo, poichè non ho mai cercato compagnia. Scrivo per ciascuno. Non per chiunque. Non posso, quindi, sacrificare la parola e l'idioma alla comprensione universale, all'apprezzamento, alla condivisione sociale e professionale dell'immobile, all'incultura, al provincialismo di quanti sono soliti identificarsi più col dire che col fare.
Ciascuna volta nella mia pratica clinica e di formazione, al cospetto col singolo parlante, con il gruppo, con l'azienda o con l'organizzazione, constato come la maschera muta mentre ruota tra le pieghe del linguaggio, impegnandosi, suo malgrado, in continue metamorfosi. I vari goffi tentativi, non escluso uno, messi a punto dalle scienze umane, tutti protesi a psicologicizzare e staticizzare la maschera, falliscono proprio a partire dalla medesima ambiguità pedagogica che li determina: la natura stessa delle cose. I romani ponevano infatti la maschera sul podio, per indicarne la sua eterna semovenza e l'impossibilità di renderla ciascuna volta simile a se stessa, mentre i greci la cifravano nel dramma, senza alcuna pretesa di contenerla, senza mai renderla ridicola, senza mai consolarla.
Le teorie della personalità, ovvero della maschera, ora sostenute dall'antropologismo e dalla fenomenologia psichiatrica, escludono il concetto di semovenza, ignorando il film, la cinematica e la meccanica dei quanti; esse finiscono per impantanarsi inesorabilmente nell'eguale, ovvero, nell'universale, affannandosi nella rappresentazione statistico-diagnostica del "patos" e nel conseguente concetto romantico di azione salvifica, di aiuto e di adorazione del cadavere. Ciò al solo scopo di escludere ogni differenza e di normalizzare la parola, sempre anelando romanticamente al bene, mentre viene prodotto l'ultimo male. De rerum natura. Da dove vengono le cose? Lucrezio dice che occorre trattare la struttura fondamentale del cielo e degli Dei per capire il principio delle cose. Egli afferma come, in primo luogo, bisogna abbattere le barriere della "militanza". Lucrezio, come Epicuro, riprende il "clinamen" , la liberazione della paura della morte, del dolore , degli Dei e della spiegazione dell'origine delle cose. Egli, nella sua estrema solitudine, esclude il cerchio ed introduce la spirale, ovvero, nega ogni militanza rinunciando alla comprensione del principio delle cose. La sostanza, quindi, è "eidos", unica ed eterna; essa pone , come oggi io pongo incessantemente, la questione della parola originaria, ovvero della parola libera e liberata dalle discipline e dalla appartenenza a questa o a quella scolastica o scolaresca. Una parola, un ascolto, una cifra rivolta ora alla maschera (persona), ora all'impresa o all'organizzazione. Freud sul percorso della maschera incrocia la psicanalisi e la pone in primo luogo come dispositivo di formazione umana lontana dal concetto di male e di consolazione, rendendola assai distante dalla suggestione psicoterapeutica e dallo psicofarmaco insito in ogni religione della morte. Egli libera la parola dall'associazione forzata e pedagogicamente controllata. Jung, invece, pone la maschera quale effetto dell'archetipo, sottraendola, in una dimensione spirituale e transpersonale, al positivismo antropologico dilagante . Freud, come Jung, come Socrate, rimandano, ciascuno col proprio idioma, alla biologia della parola del "conosci te stesso", ossia ad una "clinica della fisiologia della parola" dove il biologico lo psichico e la spiritualità segnano lo stesso destino. Tale clinica, io, la concretizzo in un setting non grammaticale, fatto di dispositivo d'ascolto, cifra, arte, mito, archetipo, scienza, numero, economia, progetto, obiettivo, insegnamento e formazione; in un setting dove la maschera a volte piange senza lutto, a volte ride nel godimento (non guarisce in quanto non è malata e non si consola poichè non cerca aiuto). La maschera in tanto muta senza tempo in quanto è sostenuta dalla pulsione.
La lezione socratica, freudiana e junghiana, tuttavia, privata dal suo messaggio originario, è stata presa in ostaggio in Italia dalla fenomenologia psichiatrica, dall'antropologia, dall'Accademia e da scuole di pensiero (che separano i saperi anzichè integrarli), sempre in lotta tra loro per definire chi la sa più lunga. La negazione della specificità della lezione socratica, freudiana e junghiana ha il solo scopo di addomesticarne i contenuti, scolarizzarli e renderli ,così, massimamente fruibili al discredito mediatico. Ciò avviene, ora, ad opera di officianti in carriera, adepti, orecchianti e praticoni di varia specie, i quali ignorano la sua portata laica e formativa e la riducono a presidio psicoterapico, ponendola al servizio del "patos". Costoro, tuttavia, hanno tra di loro di certo due cose in comune: il desiderio ossessivo e irrefrenabile di normalizzare la parola e il non aver mai "letto" tanto Socrate quanto Freud e Jung.
Salvatore Arcidiacono
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