Facile? No, grazie (4) Bisogni Educativi Speciali e Normali...


Facile? No, grazie (4)

 

Bisogni Educativi Speciali e Normali...

(seconda parte)

          

            BES=Bravi E Simpatici? Sì, fosse vero! Sarebbe già in gran parte risolto ogni problema se potessimo partire da qui, cioè dalla naturale accettazione delle diversità.

            Il fatto è che in un mondo di uguali, anche nella scuola a qualcuno accade di sentirsi più uguale e conseguentemente a qualcun altro di sentirsi  meno uguale. Categorie, e convinzioni,  più o meno fondate, sono tenaci e occorre una tenacia ancora più esperta e competente per abbattere i numerosi ostacoli che pongono sul nostro cammino. Anche e forse soprattutto per questo merita che docenti, dirigenti, operatori della e nella scuola, tutor...ci occupiamo di BES, di Bisogni Educativi Speciali.

Ognuno di noi ha BES, parola di Andrea Canevaro

 

Dario Ianes: Ognuno di noi è portatore di bisogni normali, autentici, condivisibili,  che diventano Speciali quando qualche aspetto problematico ne ostacola il soddisfacimento (per i motivi più diversi, mediazione contestuale, ambientale e in assenza di diagnosi clinica [ved. ICF Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute. Descrive lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali, sociale, familiare, lavorativo, al fine di cogliere le difficoltà che nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare disabilità].

                        Possiamo anche chiederci: è questione di oggi o anche di ieri?

La normativa più recente, D. M. 27/12/2012 , C.M. 8/2013, affronta forse la problematica delle disabilità nella scuola con altra prospettiva? Era già stato detto tutto?

            Ebbene, la questione non è proprio nuova.

Per quanto riguarda la normativa italiana, potremmo cominciare a ricostruirla a partire dalla fine degli anni Settanta ('77...del secolo scorso ovviamente), così come non sono di recente invenzione metodologie, strategie e strumenti recentemente proposti. In merito ad esempio all'apprendimento cooperativo proposto, Vygotskij nel 1934 così enunciava:

A scuola, l’apprendimento cooperativo: ciò che i bambini sanno fare insieme oggi, domani sapranno farlo da soli. La direzione apprenditiva del comportamento - trasformazione delle forme naturali in forme culturali – va dall’esterno all’interno. L’apprendimento cooperativo metacognitivo si colloca nella zona di sviluppo prossimale.

            Eppure c'è qualche elemento di innovativa chiarezza nei più recenti interventi normativi: certamente una lettura più ampia, cioè secondo criteri pedagogici e didattici, del bisogno; non più una lettura strettamente clinica e demandata ad una precisa certificazione medica, e tuttavia ufficialmente rilevante, la definizione dell'area dello svantaggio, la proposta di una didattica "denominatore comune", strutturalmente inclusiva, che prevede un PDP (Piano Didattico Personalizzato) preventivamente predisposto per diversi livelli di apprendimento e multimodalità, la declinazione di una valutazione che sia prevalentemente formativa, contempli autovalutazione, riconoscimento e correzione degli errori, interazione, solidarietà (imprescindibile condizione dell'apprendimento), abilità trasversali, impegno, assunzione di responsabilità, osservazione, organizzazione del lavoro...tutti elementi,  già noti, da monitorare in tempi ravvicinati.

            L’area dello svantaggio scolastico è molto più ampia di quella riferibile esplicitamente alla presenza di deficit. In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una varietà di ragioni: svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse. (D. M. 27/12/2012)

            Può sembrare un dettaglio o, peggio, questione di abilità retorica, ma passare dall'integrazione all'inclusione può essere la leva che ci consentirà di riappropriarci dell'essenza più pregnante del ruolo sche compete al docente, il primo strumento compensativo di ciascun  alunno, organizzando e predisponendo la lezione, l'ambiente, l'apprendimento, la relazione con figure esterne, ecc...perché siano rispettate ed riconosciute, utilizzate e aiutate ad esprimersi le qualità di ciascuno.

L'integrazione prevedeva che ogni alunno in difficoltà progressivamente "migliorasse" per avvicinarsi al livello della così detta "normalità". L'inclusione,   termine spesso riduttivamente associato ad alunni che presentano problemi fisici o mentali, si riferisce all’educazione di tutti i bambini e ragazzi, con Bisogni Educativi Speciali e con apprendimento normale, come recita l'Index a cui occorre fare riferimento [MIUR, Dipartimento per l’Istruzione l’”Index per l’inclusione”, progetto “Quadis” (http://www.quadis.it/jm/)].

L'attenzione, in una percezione non innovativa ma certamente finora non recepita e che ci auguriamo finalmente realizzi equità di trattamento ad ogni alunno,  si sposta dalle difficoltà incontrate dal singolo alunno agli ostacoli all’apprendimento ed alla partecipazione, ostacoli che possono essere presenti in ogni aspetto della vita della scuola, così del contesto sociale e ambientale e su cui si concentrano le strategie educative con strumenti compensativi e misure dispensative. Equità nella lettura dei bisogni, l'ha definita Dario Ianes.

            Mi piace immaginare che per questa stessa strada finalmente anche l'alunno capace e dotato o addirittura iperdotato avrà opportunità adeguate ai suoi bisogni, personalizzate, in un contesto di didattica flessibile e di apprendimento cooperativo, nel rispetto degli stili di apprendimento, come delle intelligenze multiple (Gardner) e pure nella certezza che l'apprendimento non è direttamente proporzionale al quoziente di intelligenza, semplicemente perché non è un fatto esclusivamente intellettivo.

            In questo ambito, rivestono una peculiare importanza la rilevazione, il monitoraggio e l'autovalutazione del grado di inclusività della scuola, finalizzate ad orientare la consapevolezza dell’intera comunità educante sulla centralità e la trasversalità dei processi inclusivi in relazione alla qualità dei risultati educativi.

            Se la recente normativa è questa e pone la dovuta attenzione ai bisogni di ciascuno, come mai non abbiamo avuto un coro unanime di approvazione dai docenti? Come mai, anziché un "Finalmente!" continuiamo a sentire  pareri contrari, avvertiamo atteggiamenti ostili e soprattutto generale scoraggiamento nei confronti di una "invadente burocrazia che ci costringe a lavorare su scartoffie, ecc..."?

            In recenti incontri di formazione che ho organizzato con i docenti, ho compreso che il punto dolens (non il solo, ma certamente il più preoccupante) è che nella macrocategoria dell'area dei BES, sono comprese tre sotto-categorie: quella della disabilità, quella dei disturbi evolutivi specifici e quella dello svantaggio socio-economico, linguistico, culturale. È questa terza sotto-categoria che li blocca, in quanto non si sentono all'altezza di esprimere un parere di Bisogno speciale che abbia una validità ufficiale; insomma desidererebbero una certificazione esterna per sollevarsi dalla responsabilità che avvertono troppo pesante.

Volendo giocare con gli acronimi ai Bes dovranno necessariamente corrispondere anche gli IES, Insegnamenti Educativi Speciali...

            Facile? credo proprio di no e ripeto: no, grazie! e mi adopero per costruire insieme a questi docenti un comune terreno di reciproca fiducia.

 

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

 

 

 

 

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