LE ILLUSIONI DELL’EGO: liberare la persona dagli inganni dell’omologazione

Inviato da Nuccio Salis

ego

Di solito, quando si usano espressioni come “egocentrico”, “egoista”, ci si riferisce ad assunti appartenenti ad atteggiamenti estremamente autoreferenziali, ovvero che utilizzano l’ego come punto di vista sul mondo. Ciascuno di noi, in effetti, attribuisce un significato ai fatti ed alle esperienze della propria vita, utilizzando il sistema di credenze e convinzioni interno come interfaccia fra l’Io e l’ambiente. Il punto è che questo modello di rapporto fra l’interiorità e l’esterno, se da una parte rappresenta la possibilità di interpretare le dinamiche esistenziali che ci appartengono, introiettandole sottoforma di vissuti, d’altro canto se portato all’eccesso potrebbe in effetti far ripiegare ad una visione esclusivamente centrata su di sé, ed impedire un bilancio oggettivo fra ciò che sperimento all’interno e ciò che accade al di fuori.


Ciò che si rende necessario è infatti un equilibrio, cioè una dimensione dentro la quale possano sostare insieme il senso dell’Io col senso dell’altro, in un rapporto vivo e dialettico, dentro il quale nessuna entità è prevalente o dominante sull’altro.
Il punto di incontro fra queste due componenti è la chiave dell’armonia del Sé in rapporto costruttivo con l’ambiente. È proprio questo connubio sinergico fra mondo interno e realtà esterna a processare percorsi di consapevolezza e di maturità circa la rappresentazione del Sé e dell’altro. Per promuovere questo aspetto di sé, così capace di cogliere e gestire il legame profondamente interconnesso fra Io ed ambiente, occorre che l’ego cessi di assumere una funzione di focus esclusivo, nella lettura del Sé in seno alla realtà, ed approdi a una visione aperta, coscienziosa e responsabile, che permetta di inglobare modelli di realtà prima non percepibili.
L’ampliamento esperienziale che deriva da una struttura così flessibile del Sé, permette l’arricchimento di stimoli vitali e occasioni di crescita, e promuove un atteggiamento di accettazione positiva per le sfide, riparando il soggetto dall’inerzia e dalla staticità, che creano spesso disagi interiori e blocchi nel problem-solving.
Un ego sano, dunque, è quella parte di se che si spoglia delle sovrastrutture più ingannevoli che lo incrostano, e le rimuove, ritrovando autenticità e tensione alla vita.
Quali sono, in buona sostanza, gli elementi da distruggere, affinché l’Io viva esprimendosi nel pieno della sua più utile ed importante funzione: quella relativa ad esercitare un ottimale loop di controllo, garantire all’individuo una conoscenza il più possibile autentica di se, promuovendo inoltre l’oggettivazione e l’aderenza al piano di realtà, ovvero quella condizione di base grazie a cui è possibile progettare e sperimentare. È l’Io deputato ad occuparsi del monitoraggio di sé, dunque, mediando fra le nostre pulsioni di base e le nostre aspirazioni, permettendoci integrità e tenuta strutturale della nostra identità e personalità.
Le funzioni dinamiche dell’Io sono dunque di indiscutibile e capitale importanza, e per tale ragione è necessario prendersene cura. E farsene carico significa renderlo vincitore supremo innanzi a tutte le falsità a cui è soggetto, in quanto invaso da un ambiente costruito per manipolare la nostra parte cosciente, ottunderla e occultarla a se stessa.
Liberare la persona, significa dunque liberarne l’Io, e pertanto gli aspetti da affrontare, per poter promuovere e favorire questa spinta alla crescita, saranno inerenti ad una riflessione e ad un piano strategico di azione tendenti a scoprire gli inganni di cui è ammantato il nostro Io. Soltanto un Io franco e decontaminato dai tranelli di una cultura mediocre ed omologante, può ambire ad manifestarsi in tutta la sua vitalità e potenzialità espressiva.
Conoscere le maschere dell’Io, che lo hanno raggirato nel tempo, equivale a identificare le illusioni che devono essere sciolte e superate. Fra queste possiamo certamente riconoscere:

 

_ Ciò che abbiamo: L’Io è spesso confuso con ciò che possediamo. Egli si autopercepisce come avente dignità di valore soltanto se si orpella dei beni e degli status symbol imposti dalla società materialista sottoforma del ricatto aut/aut il quale prevede l’esclusione e il non riconoscimento della persona come membro di un gruppo, nel caso non adotti stili e tendenze caratterizzate da prodotti ed usi massificati.
L’Io debole, cede a questo ricatto, l’Io forte è in grado di replicare “Voi ridete di me perché sono diverso, io rido di voi perché siete tutti uguali”

 

_ Ciò che facciamo: È noto come l’attribuzione del livello di accettazione dell’altro sia spesso rapportato a ciò che si fa. Un’attività o una professione comunemente considerata con rispetto, genera per riflesso un più facile livello di accettazione nella persona che la esercita (si pensi al potere attrativo esercitato dal mestiere dell’attore o del musicista, solo per fare qualche esempio). Ma noi non siamo il nostro mestiere, noi facciamo qualcosa, forse perché ci aggrada anche o forse solo per sopravvivere, ma la nostra identità non è la sovrapposizione della parte nel Tutto. Questo è utile che lo tenga a mente chi si proietta verso una dimensione evolutiva. La prestazione dell’utile e della cultura dell’homo faber, non può permettersi di sostituire la gratuità del valore della persona.

 

_ Ciò che appariamo agli altri: L’Io reagisce inevitabilmente ai feedback dell’ambiente sociale. Senza questa necessaria retroazione, tuttavia, non vi sarebbe interazione col mondo, né influenza, né crescita e nemmeno una scienza sociale attenta a scoprirne le dinamiche. L’adesività alle aspettative altrui può far naufragare l’Io in una rotta dentro cui dimentica se stesso, la propria forza, la propria missione, la propria fonte vitale, il proprio potere e il proprio talento. Un Io non espresso è un Io mortificato, un Io che ha obliato se stesso è un Io sprecato, e la conseguenza è la malattia, il disagio, il malessere, una qualche forma di espressione disfunzionale che lo richiama al senso del suo percorso che ha smarrito.
Purtroppo, disvalori come la popolarità e la reputazione sono come le pietre che si trasformano in pani dopo giorni di digiuno nel deserto; una tentazione abile e sottile nel sedurci, e che quando ci cattura, non fa che aumentare l’arsura e l’appetito, creando proprio dentro di noi un deserto di valori.
Un Io autentico è un Io che agisce canzonando le maschere e rifiutando i copioni. Un lusso che è concesso solo a certi artisti, ai guitti ed agli squilibrati mentali. Per tutti gli altri è sono prescritti e riservati soltanto l’aplomb e la falsità.

 

_ Ciò che sembriamo a noi stessi: Quando l’Io non viene educato a disinquinarsi dai condizionamenti, finisce che procede in automatico nell’ingannare se stesso. Si identifica cioè con la propria apparenza. L’immagine del Sé ideale e fasulla diventa l’idea di Sé, una finta realtà prospettica che nasconde la verità che attende di prorompere in tutta la sua trasparenza. È il tranello più surrettizio dentro cui l’Io malauguratamente cade o meglio, per fragilità, deficienza assertiva e impotenza decisionale, si ritrova a sottostare.
In questo caso, a prevalere e la convinzione costruita circa il nostro ruolo e la nostra identità da assumere agli occhi degli altri. È questa condizione a dare avvio ad una procedura di autoetichettamenti , al di fuori dei quali si rende difficile pensare di collocarsi. In pratica si esiste soltanto se il modo attraverso cui si agisce determina prevedibili conseguenze intorno al soggetto, i cui rimandi da parte dell’ambiente costituiscono la conferma del suo habitus che gli da diritto ad esserci. In questa situazione, l’individuo è soltanto comparsa e non protagonista della propria storia. È un Io delegante, esposto cioè in modo acritico e non responsabile a ciascun tipo di influenza. È questa una condizione oltremodo straziante, da cui si necessita urgente liberazione.

 

Per concludere, la libertà dell’Io è essenzialmente un cammino di disidentificazione da tutte le cialtronerie mediocri, sviluppatesi in una società malata di controllo, dove al posto delle persone ci sono ruoli, dove al posto di vite ci sono copioni drammatici, dove la pulsione di vita è castrata da una subcultura infima, retriva e bigotta, che rende dipendenti, deleganti e sempre sotto giudizio.
L’autonomia creativa dell’individuo è esattamente un percorso di riaffermazione di sé, condotto secondo un principio di non dipendenza e non attaccamento che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, vivifica la via dell’incontro fecondo e costruttivo con l’altro da sé, perché solo dove c’è libertà interiore, le relazioni interpersonali escono fuori da una avulsa drammaturgia che ne mortifica ogni potere espressivo, e possono consegnarsi vicendevolmente alla gioia dell’incontro con ciò che è diverso, quindi con ciò che nobilita ed arricchisce l’anima.
 

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