Lo spunto di questo progetto nasce dalla lettura del libro di Umberta Telfener - psicoterapeuta sistemica - “Le forme dell’addio”, in cui viene approfondito il tema dell’amore e dell’abbandono, attraverso una serie di accurate riflessioni.
La letteratura sull’argomento è vastissima, fiumi di inchiostro sono stati versati e hanno generato prodotti artistici di somma ed eterna bellezza.
Il più delle volte, ed è pensiero comune, il vero amore, quello con la A maiuscola, è spesso associato all’idea della separazione, come se il sentimento dell’amore acquistasse autenticità, forza e valore solo se conquistato con fatica e perso con sofferenza e affanno.
Spesso dimentichiamo, invece, che l’amore è linfa vitale, è un sentimento positivo, giocoso ed irrazionale, un completamento spirituale ed un valore aggiunto della nostra vita.
La sfida di questo laboratorio, quindi, è quella di poter condividere e sperimentare, all’interno di un luogo protetto, e con il sostegno del gruppo, le fasi della separazione, e al tempo stesso, avere l’opportunità di ritualizzarne creativamente la fine, per essere pronti ad un nuovo ciclo di vita.
Il Gruppo diventa quindi il contenitore protettivo in cui il disagio vissuto in solitudine, trova un luogo in cui possa essere esplicitato e condiviso, e, allo stesso tempo, permette alla persona di prendere coscienza delle proprie potenzialità e risorse, stimolando le capacità di scelta.
I riti sono eventi fondamentali, perché servono a segnare le fasi di passaggio, i cambiamenti nello spazio e nel tempo. Sono riti i battesimi, i matrimoni, i funerali, ma anche le feste di laurea, gli addii al nubilato, le occasioni speciali che facciamo accadere per sottolineare un evento significativo, ma stranamente, nella nostra società, non ci sono riti pubblici per segnare la fine di un amore; questo evento, molto spesso, viene vissuto solamente nella sfera intima, attraverso rituali privati.
Sono rituali privati le chiacchierate con “l’amico o l’amica del cuore”, sono rituali privati i racconti che si fanno al proprio terapeuta, dove l’esplicitazione chiara del dolore, per fortuna ci da la possibilità di manifestare in qualche modo la sofferenza. E’ una forma di rituale, anche se molto doloroso, il ricorrere ai tribunali e agli avvocati nelle separazioni contestate, e ancor più doloroso se in questo rituale sono presenti anche i figli. Creare dei rituali pubblici, potrebbe significare spostare l’attenzione dalla fine e dalla negazione dell’amore ad una nuova fase di vita, ad una fase di crescita sia sul piano emotivo che sessuale.
Una donna che ha avuto l’intuizione e il coraggio di ritualizzare pubblicamente la fine del sua relazione d’amore, e che è d’obbligo citare, è Sophie Calle, artista parigina, che nel 2007 partecipa alla Biennale con un progetto corale sulla fine dell’amore. L’idea è interessante, e stimola la possibilità di ritualizzare con forme e modalità diverse, e più specificatamente, l’abbandono nell’amore.
Avendo ricevuto una e-mail di rottura dal suo amante, con la frase di chiusura - “abbi cura di te” - alla quale non ha saputo rispondere, ha deciso di darla ad un certo numero di donne, 107 per l’esattezza, perché la interpretassero in senso letterale e figurato alla luce della loro professione, chiedendo alle cantanti di cantarla, alle ballerine di farne una coreografia, alle attrici di metterla in scena…
A ciascuna ha chiesto cosa significhi “abbi cura di te”, come si fa ad averne, come si affronta e come si supera il vuoto spaventoso dell'assenza?
Nelle mani di una cartoonist diventa una striscia comica.
L'avvocato suggerisce due anni di carcere e trentasettemila euro di ammenda per il soggetto, colpevole di truffa e contraffazione.
La criminologa analizza il soggetto mittente: "Un uomo intelligente, colto, di buon livello socioculturale, elegante, seducente, orgoglioso narcisista ed egoista". "Psicologicamente pericoloso o/e grande scrittore".
La redattrice di parole crociate ne fa un fenomenale cruciverba: memorabili le definizioni di "benefico", "irrimediabile", "amante".
La maestra elementare, in bella calligrafia, la propone come compito agli alunni con cinque consegne: "Dai un titolo a questo racconto, chi è il protagonista? qual è il problema? In che modo il protagonista lo risolve? Trova un altro finale alla storia"……
L'addio diventa poi un libro e una mostra.
Ecco, l’obiettivo del progetto “Diario di un Disamore”, intende ricalcare questa modalità, attraversare le fasi cruciali di un abbandono - quella del dolore e della rabbia - vivendole fino in fondo, ma con la possibilità di poter andare oltre, e di chiudere la gestalt attraverso un rituale creativo, corale e soprattutto catartico.
Il progetto intende anche proporre il legame d’amore come forma di vita, sempre e comunque, e la separazione, quando avviene, come un’opportunità per comprendere meglio i propri meccanismi caratteriali, di attaccamento e distacco, di poter riflettere sulle proprie convinzioni limitanti, sia su di sé che sul mondo; convinzioni che spesso ci impediscono di ricominciare a vivere in modo pieno e consapevole; in fondo, solo se riusciamo a dichiarare la morte di un amore, sarà possibile ricominciare a vivere.
Gerarda Urcioli
Formazione * Coaching * Counselling
Cell. 347.421.65.63
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