La comunicazione non verbale nella relazione d'aiuto


La comunicazione non verbale nel counselingIl linguaggio non verbale è parte costitutiva e integrante della nostra esperienza quotidiana. Dare una definizione alla comunicazione non verbale significa prendere in considerazione i molteplici aspetti di uno scambio comunicativo, che non si esauriscono sul livello del contenuto del messaggio.
L’osservazione dei fenomeni comunicativi extraverbali riveste un ruolo decisivo nel lavoro del Counselor e, più in generale, nell’intervento di qualunque operatore della relazione d’aiuto; prescindere dalla componente non verbale significherebbe, infatti, rinunciare all’approfondimento del complesso universo comunicativo costituito da gesti, sguardi, posture, espressioni del volto. Di fatto, nelle relazioni interpersonali la comunicazione non verbale può specificare, rafforzare e, addirittura, contraddire il messaggio verbale.

“Il comportamento non ha un suo opposto. In altre parole, non esiste qualcosa che sia un non-comportamento o, per dirla ancor più semplicemente, non è possibile non avere un comportamento. Ora, se si accetta che l’intero comportamento in una situazione di interazione ha valore di messaggio, vale a dire è comunicazione, ne consegue che comunque ci si sforzi, non si può non comunicare” (Watzlawick, Beavin, Jakson, 1967; p. 41).

Tale estratto è conosciuto come il primo assioma della comunicazione secondo Watzlawick. Tutti i contesti in cui ha luogo una comunicazione sono, dunque, caratterizzati da messaggi verbali e componenti non verbali. Mentre questi ultimi specificano il linguaggio delle parole e si caratterizzano per l’aspetto relazionale, i messaggi verbali veicolano gli aspetti di contenuto:

“Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione, di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione”(ivi).

La comunicazione non verbale si configura, allora, come metacomunicazione, ovvero come il contesto relazionale e comunicazionale in cui si completa il significato delle parole, sulla base di dinamiche consapevoli o inconsapevoli. La metacomunicazione può non essere pienamente controllata dagli interlocutori e ciò permette ad un attento osservatore di cogliere molte sfaccettature che il messaggio verbale (intenzionale) riesce a celare. Così un’emozione può essere espressa attraverso fenomeni comunicativi extraverbali che sfuggono al controllo dell’individuo, come nel caso di un improvviso rossore in volto che testimonia uno stato di imbarazzo.

“Ogni parola, ogni frase possiede un alone semantico più o meno vasto, un’area cioè di significati possibili […] Il suo significato dipenderà da una serie di variabili, compreso il contesto in cui viene formulata.” (Giannelli, 2006; p. 76).

La comunicazione non verbale investe simultaneamente una molteplicità di canali: lo sguardo, la gestualità, la postura, la mimica facciale, gli elementi paralinguistici. A quest’ultima categoria appartengono le tonalità e i timbri vocali, le pause che spezzano il discorso, il silenzio che è esso stesso comunicazione. Il silenzio può indicare comprensione o intolleranza, protesta o ascolto (Volli, 1994). Tutti gli elementi paralinguistici sono intrinsecamente comunicativi, e consentono non solo di sottolineare o modificare il significato espresso con le parole, ma anche di indagare lo stato d’animo dell’individuo.
L’espressione facciale veicola emozioni e sentimenti mediante l’immediata attivazione dei muscoli del viso; ci consente, inoltre, di decodificare più agevolmente il significato dei gesti che accompagnano la comunicazione.
Gli individui trasmettono informazioni anche attraverso la postura, che segnala lo stato d’animo o il ruolo che l’individuo riveste all’interno di un contesto comunicativo (Giannelli, 2006).
Tenere in considerazione tutti gli aspetti dello scambio comunicativo facilita l’indagine del vissuto emotivo del Cliente o, più in generale, del destinatario dell’intervento di aiuto; inoltre, la lettura dei messaggi extraverbali permette all’helper di maturare una maggiore disposizione all’empatia. Infatti, nell’ambito dell’accoglienza e dell’ascolto attivo, è importante scindere l’evento oggetto della narrazione dal vissuto emotivo esperito dal Cliente; entrambi gli aspetti rivestono un ruolo fondamentale per il Counselor. Attraverso la rivelazione del fatto, il Counselor acquisisce i dati oggettivi che caratterizzano l’evento problematico del Cliente; il vissuto, invece, permette al professionista di entrare in contatto empatico con l’insieme degli stati emotivi del soggetto alle prese con il fatto problematico (Papadia, 2005). L’empatia che il Counselor stabilisce con il Cliente si configura come perdita transitoria della propria individualità in virtù dell’esperienza di profonda condivisione del vissuto emotivo dell’Altro, resa possibile anche grazie all’immediatezza comunicativa dei segnali extraverbali.

Riferimenti bibliografici
Giannelli M. T. (2006), Comunicare in modo etico, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Papadia M. (2005), Il counseling come riprogrammazione, Armando Editore, Roma.
Volli U. (1994), Il libro della comunicazione, Il Saggiatore, Milano.
Watzlawick P., Beavin J. H., Jakson D. D. (1967), Pragmatica della comunicazione umana, trad. it. Astrolabio, Roma, 1971.

Serena CapparellaSerena Capparella
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