IL "GENIO DEL NULLA"


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La legge n°4/2013  non riconosce, lo ribadisco, le professioni non regolamentate da Ordini Professionali ma rischia, tuttavia, di creare lo scenario per l’introduzione di nuovi vincoli e nuovi costi per i professionisti, senza assicurare alcuna effettiva tutela della qualità e della professione e senza affrontare i veri problemi dei professionisti autonomi. La legge stabilisce che le associazioni possano proporre una definizione ai sensi UNI della professione. Vale a dire che attraverso un percorso regolato da una norma (privata) saranno stabilite  quali caratteristiche e abilità deve avere il professionista per svolgere quella professione che, comunque, non potrà (questa è l’unica cosa certa) esercitare competenze esclusive delle professioni regolamentate. Sarà obbligatorio attenersi alle norme UNI? Certamente NO! La legge parla di volontarietà.

I promotori della legge sottolineano, peraltro, che vi potranno essere quattro livelli di professionisti: quelli  privi di certificazione; quelli che sono coerenti con la norma UNI; quelli che sono coerenti con la norma UNI ed associati  ad una Associazione di riferimento; quelli che oltre alle due cose precedenti hanno anche la certificazione delle competenze rilasciata da enti certificatori. Con la certificazione UNI sul mercato privato non cambia nulla. Il mercato ha ampiamente dimostrato che la certificazione UNI non garantisce affatto la qualità dei servizi in quanto interviene solo ed esclusivamente sui processi. Sulla formazione la Legge stabilisce che le Associazioni promuovono la formazione dei propri iscritti. E ovvio che non  si può non  essere  favorevoli alla promozione della formazione, ma non ritengo che le associazioni siano in grado di controllare l’effettivo processo di aggiornamento dei propri iscritti. Conoscenze, saperi e competenze dei moderni professionisti spesso sono acquisite mediante percorsi complessi e articolati, a volte mediante esperienze di vita e lavorative che, com’è noto, spesso sono il risultato di un processo formativo individuale. In atto, molte associazioni richiedono che ogni aspirante iscritto dimostri di aver seguito un percorso di formazione professionale, ma spesso non viene riconosciuto il percorso formativo  ed il titolo di qualifica, post secondaria,  rilasciato da Enti statali o Regionali o posti sotto il controllo e la vigilanza della Pubblica Amministrazione. Tali percorsi, quantunque ispirati alla consulenza socio educativa e con rilevante numero di ore (quasi sempre di 1800 - 2000 ore, con regolare tirocinio e tesi finale) non vengono riconosciuti dalle associazioni (che invece, di contro, rilasciano pezzi di carta privi di alcun valore legale) in quanto non corrispondenti a quelli offerti dalle scuole di pensiero cui l’Associazione fa riferimento o perché sul titolo rilasciato non c’è scritto il termine “counselor”. Ciò, a mio avviso, creerà qualche problema alla professione  in quanto ci saranno altri soggetti nel libero mercato che eserciteranno legalmente la professione di counselor con titoli legali, magari non riconosciuti dalle Associazioni ma riconosciuti dallo Stato dalle Regioni e dalle Direttive Comunitarie e che nei loro profili professionali ( sempre stabiliti da Decreti Ministeriali e/o Assessoriali) è esplicita la competenza socio educativa e la relazione d’aiuto alla persona ed ai gruppi. Peraltro la formazione erogata dalle Associazioni può essere offerta ma non imposta e non può costituire criterio di esclusività (la legge lo vieta) Nessuna Legge  prescrive percorsi formativi per counselor  e, lo ricordo, si è in assenza di titoli formali specifici. Ritengo ( e non sono il solo a pensarla così) che da  questa Legge i counselor (ma anche le altre professioni non regolamentate) non trarranno alcun vantaggio. Nel migliore dei casi, si tratta di una legge che non serve a nulla, nel peggiore una legge che fa spendere soldi al professionisti senza portare vantaggi.  Le Associazioni hanno fortemente voluto questa Legge e personalmente ne ho seguito l’iter sin dal primo censimento CNEL (metà anni novanta). Ritengo che le Associazioni l’abbiano voluta anche perché forse pensano di poterne ricavare dei vantaggi in termini di iscrizioni e di centralità. La situazione attuale in Italia è tale che nemmeno gli Ordini Professionali sono più in grado di garantire le tutele del passato, figuriamoci questa forma di  pseudo riconoscimento ispirata al “genio del nulla”. Tanti professionisti si aspettano che il riconoscimento darà più valore alle loro professioni, ma sono certo (mi dispiace deludere il lettore in questo momento di enfasi) che si tratta di pura illusione. Ritengo che è necessario fare al più presto qualcosa di più: auspicare l’istituzione di libere Associazioni che possano fare da coagulo a tutti quei professionisti  che non aspirano a pseudo riconoscimenti ma che  effettivamente procedano dalla  garante certezza che le arti e le scienze sono libere e che tutto ciò che non è regolamentato è libero. Il vero ruolo delle Associazioni libere (o meglio liberate dagli  orpelli di marchio e da ogni altro tipo di interesse) potrebbe essere, così come accadeva nel lontano Rinascimento, quello di favorire libero scambio di idee, distanti da ogni etichettatura e da ogni scolastica, distanti da ogni orientamento esclusivo e militante; la libera Associazione diviene, così, il luogo della pluralità e della libertà (che non vuol dire improvvisazione) nella certezza che counselor è ciascuno. Non chiunque lo voglia. E’ ciascuno che abbia la cultura scientifica e professionale per esserlo e che per ciò stesso viene riconosciuto dal libero mercato.Counselor è ciascuno che abbia le capacità personali per esserlo in progress e non una volta per tutte. Counselor è ciascuno che sappia esserlo e che viene riconosciuto tale dall'altro nell'atto, nel fare, ciascuna volta. Del resto, com’è noto, non sono le credenziali di questa o quella Associazione che garantiscono al counselor il lavoro, ma solo le sue esclusive capacità di esser tale, di accreditarsi tra coloro che richiedono il suo aiuto: Il vero statuto del counselor  risiede nella sua libertà, nella pluralità dei saperi che costituiscono il suo armamentario,nella sua arte, nella sua "follia creatrice e generativa"nel suo continuo prendere forma in un debutto che non finisce. E’ possibile che tra breve man mano che aumentano i malcontenti, ci si possa avviare verso un secondo Rinascimento delle libere professioni. Le Associazioni libere, che non si identificano con il “genio del nulla” potranno assumere una autentica forza di tutela del professionista e di garanzia per il cittadino utente. Potrebbero, per esempio, investire energie e mezzi per rendere visibile la percezione sociale del counselor, magari occupandosi di pubblicazioni scientifiche, di editoria di settore, di divulgazione mass mediale. Magari creando riviste di respiro  multimodale e non settoriale o per scuola di pensiero (il vecchio peccato originario di imitare altre categorie professionali non porta , di certo,  benefici al caunselor, anzi, ritengo, molti gravi malefici). Compito delle libere Associazioni  potrebbe essere quello di trovare nuovi spazi che non sia la solita manfrina del counseling psicologico, magari opportunamente camuffato. Nuovi spazi di mercato ce ne sono di certo. Basta cambiare orizzonte di senso com’è avvenuto nei paesi anglosassoni o ancor di più negli Stati Uniti d’America, dove il counselor ha quasi smesso di occuparsi di counseling psicologico  (nonostante che negli USA, contrariamente da quanto accade nel nostro ordinamento, non è vietato dalla legge per un counselor sconfinare in ambito psicologico  stante che esistono percorsi universitari specifici) ma ha trovato nuove linee epistemologiche e nuove modalità di seetting, in ambito socio educativo e socio assistenziale, della disabilità (intesa come condizione di impedimento a svolgere una esistenza normale e tipica), dell’accostamento all’adolescente, alle famiglie, allo sviluppo individuale,alle condotte di vita, alla formazione ed educazione  umana e manageriale, alla consulenze in ambito aziendale, creativa, sportiva, del tempo libero. Tutto ciò va immediatamente ricalcato anche in Italia per far si che i counselor, soprattutto i giovani possano lavorare. Lavorare, questo è il vero problema che la comunità libera dei counselor deve affrontare con maggiore coraggio e senza aspettarsi autorizzazioni o Sacre unzioni.

 

Salvatore Arcidiacono

 

 

 

 

 

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