COUNSELING E TRASCENDENZA. I diritti dei chakra superiori

Inviato da Nuccio Salis

meditazioneSe l’intervento di counseling vuole prestarsi ad essere un modello di cura olistico, deve necessariamente rivolgere la sua attenzione all’intero sistema dei bisogni di cui ciascuna persona è portatrice. Il complesso e variopinto mondo interiore di desideri, emozioni, convinzioni, motivazioni e obiettivi che ciascuno di noi si pone, necessita di un’accoglienza piena, totale e incondizionata; ma ciò non si limita soltanto al clima di alleanza e fiducia che il counselor crea col cliente, ma dovrebbe diventare un paradigma di azione che tende una volta per tutte ad incoraggiare e sostenere il pieno compimento della persona, intesa in termini non soltanto legati ai propri elementi identitari, culturali e relazionali, ma quanto anche in termini propriamente metafisici e spirituali.
L’approccio aperto e flessibile implicito nella natura del counseling, rende tale tipologia operativa vocata alla reciproca contaminazione con varie discipline, vecchie e nuove, ponendola in una situazione di grande prova per costruire con autorevole sicurezza i suoi confini epistemologici e far comprendere con estrema chiarezza e assertività il proprio credibile statuto scientifico. Soltanto una disciplina sicura, infatti, può permettersi di mettersi in gioco sempre, dal momento che è consapevole della propria direzione, dei propri strumenti e delle proprie finalità.

E se il counseling attraverserà questo periodo fecondo di contaminazioni interdisciplinari, uscendone arricchito e al tempo stesso indenne dal rischio di una Torre di Babele che implode nella sua eccessiva frammentazione, allora potrà presentarsi assai ricca e credibile, di fronte alla necessità urgente sull’avere una scienza dell’uomo che esca dai modelli monolitici darwiniani e freudiani. Se la scienza umanistica non farà organicamente questo passo, potrebbe rischiare di essere superata paradossalmente dalla scienza medica che, tradizionalmente qui in Occidente, si è sempre appiattita sul dualismo cartesiano che ha scisso l’idea stessa di uomo, allontanandoci dal senso di una verità suprema, ritenuta a torto poco utile o insignificante ai fini della ricerca. Oggi, questa imperdonabile trascuratezza non può più essere ammessa, ed anche le scienze propriamente dette e riconosciute come tali, stanno via via rivedendo la loro obsoleta visione organicista e meccanicista dell’uomo e dei fenomeni dell’Universo (ora chiamato, per l’appunto, Multiverso).

Insomma, se il counseling si basa su un approccio teso a smuovere e mobilitare le risorse personali e collettive verso un nuovo orizzonte di vita e di significati, con maggiore valenza produttiva dal punto di vista esistenziale, allora non può limitarsi a scimmiottare l’ispirazione accademica propria delle scienze completamente riconosciute. Deve cioè essere in prima linea promotore di cambiamento. La sua credibilità, a mio discreto parere, si gioca proprio su questo. Ed un cambiamento non può auspicarsi soltanto sulla linea di una risultante statistica a riguardo dei cambiamenti ottenuti nella vita delle persone, ma dovrà essere prospettato ponendo il counseling stesso come mezzo sovversivo di cambiamento radicale nello stile di vita e nella mentalità delle persone. Se non punta ad un approccio ecologico che illustri a ciascuno il legame responsabile e costruttivo fra individuo e ambiente (sociale e naturale), da parte mia non può avere nessun valore.

Per come lo vedo io, il counseling deve avere l’immaginazione di un bambino, la forza onirica di un utopista, la fede di un asceta e la concreta sapienza di un artigiano. Questo me lo renderebbe simpatico, perché avrei la sicurezza che quantomeno ci proverebbe a demolire il mondo stesso di cui fa parte, pronto perfino ad autodistruggersi, pur di contribuire al parto della tanto attesa nuova creatura di una nuova generazione umana. Un counseling che ti aiuta ad adattarti in un ambiente dove soffri e non sei sereno, o un counseling che addirittura ti sostiene per incollarti al mondo, scalando il successo verso una carriera, a chi può giovare? Non credo in un counseling che non vince il mondo.

Ed allora come dobbiamo intervenire? Quali attrezzi del mestiere occorrono? Quali contenuti dobbiamo affrontare, e con quali obiettivi? Sono certamente domande che ispirano numerose riflessioni e confronti, ma che per quanto stimolanti ed aperti, non dovrebbero essere confusi con una arbitrarietà dove il relativismo è tale che ciascuno, perfino un non addetto, può affermare ciò che gli aggrada di più. Alcuni punti fermi devono esserci. Ed a mio parere, tale stabilità può essere garantita soltanto dal momento che il counseling decide di spazzare via ogni dubbio circa la fondatezza dell’uomo come essere spirituale, naturalmente portato alla trascendenza ed alla ricerca di un Sé superiore, intuito e vissuto nella consapevolezza di essere un microcosmo speculare del divino.

Approcci eccessivamente pragmatici, mascherati da agnostica o neutra ricerca sarebbero da considerarsi residui di una pavida cecità nel cogliere l’individuo umano come entità soprattutto metafisica. Se si vuole aiutare l’essere umano a ricercare la verità, allora questo mi pare il percorso, ovvero aiutare ciascuno a sentire e cogliere pienamente la sua scintilla animica, la vera psychè; diversamente il counselor sarebbe un traghettatore di mistificazioni, un illusionista che vende prodotti artefatti, che trascina il suo cliente da una cornice di non-senso ad un’altra, intrisa dei significati conferiti dalla priorità storica e culturale di un dato momento, nonostante e alla faccia di tutti i bei comizi sull’accettazione incondizionata, la sospensione del giudizio e l’autenticità. Come si fa ad essere accettanti incondizionatamente se non si è in grado di cogliere che il cliente è un essere eterno, vestito soltanto provvisoriamente di un corpo? Se non si raggiunge questa consapevolezza, la dimensione dell’altrui rimarrà sempre incompiuta, e di conseguenza non può esserci nessun intervento in grado di generare un’assoluta emancipazione ed autonomia dell’individuo.

Ammettere il bisogno ed il diritto alla trascendenza nell’altro, non può limitarsi soltanto a un mero fattore di rispetto deontologico professionale, perché se non si sente con lui questo bisogno come si può ambire ad essere accompagnatori speciali di una realtà che non ci appartiene? Si mancherebbe quantomeno di empatia e di un sano e vicendevole coinvolgimento, che solo se realmente avvertito da entrambi può essere vissuto solo a quel punto come autentico.
Ed allora, quando parliamo di uomo come creatura, parliamo con questa prestando ascolto anche alla sua dimensione dell’oltre che è già in essa. A questo punto il counseling è ben altro che un intervento di superficie. Non esiste un intervento di promozione dell’agio e del benessere che sia di superficie. Forse anche l’ignoranza di un passante a un nostro saluto può non essere un evento di superficie. E allora il counseling ha il dovere di prendere consapevolezza della sua responsabilità, e di interloquire con l’individuo elevandolo sul piano che gli spetta, rivolgendosi non soltanto alle sue pulsioni, motivazioni, emozioni e capacità comunicative attribuite alle famose ruote-chakra poste nei punti bassi, medi e medio alti della colonna vertebrale, ma anche al sesto e settimo chakra, ovvero, rispettivamente le sedi delle tendenze più elevate dell’essere umano.

Il sesto chakra, chiamato anche Ajna, secondo la tradizione indiana, e noto anche come Centro Frontale o terzo occhio, risulta situato in mezzo alla linea delle sopracciglia. Associato al colore indaco, dalla sua fluida apertura dipende il funzionamento della nostra intuizione profonda, legata alle capacità di preveggenza ed in generale a tutto il mondo onirico.
Il settimo chakra, denominato in lingua originale Sahasrara, e conosciuto anche come Centro Coronale, associato al colore viola, è deputato propriamente alla trascendenza, alla percezione della realtà extradimensionale, alla consapevolezza del rapporto Io-Dio.
Queste dimensioni costitutive dell’essere umano meritano non soltanto di essere conosciute ed affrontate, ma attendono anche uno sguardo privilegiato e devoto, forse l’unico in grado di offrire piena consapevolezza e riscatto verso quell’alterità così bramante di nuova vita, spesso carica di un dolore che può diventare, in modo insospettabile, una via verso la ristrutturazione di sè in chiave spirituale, per poter imparare a vivere dentro il corpo, sapendo di non essere il corpo.
 

Potrebbero interessarti ...