Intervista a Loris Adauto Muner, direttore dell’Istituto Dialogos, per Auraweb.
Loris Adauto Muner è un counselor esperto di dipendenze (da sostanze e relazionali), perché lui stesso ne ha personalmente fatto esperienza. La nostra società si presenta sempre piú dipendente: dalle droghe, dall’alcol, da relazioni non appaganti e irrisolte, dalla televisione, dal computer, dal lavoro, perfino da “guru” e “maestri”.
Muner intende la Sacra Scrittura come un percorso per imparare a vivere meglio. “Il Vangelo” dice “ha diversi livelli di lettura. Io utilizzo le parabole come visualizzazioni che mostrano in modo archetipico un percorso di liberazione dalle forme di dipendenza.”
Perché riproponi il Vangelo come strumento terapeutico?
Innanzitutto è un testo radicato nella cultura e nella spiritualità occidentale, a cui appartengo, quindi mi viene spontaneo volerlo conoscere e vivere a fondo, prima di andare a cercare piú lontano i messaggi delle altri correnti spirituali tanto in voga. Il Vangelo poi non è un’opera destinata a pochi, ma un messaggio per tutti, che suggerisce insegnamenti da vivere concretamente. Le parabole sono state dette ai semplici e agli umili. A mio avviso ha una portata rivoluzionaria: racconta la terapia dell’Amore. Gesú parla sempre di amore, e soprattutto insegna a vivere con amore.
Penso al comandamento “Ama il prossimo tuo come te stesso”. É stato spesso mal interpretato e frainteso con il significato di “ama l’altro piú di te stesso”. Ma essenzialmente sta a significare che tra noi e l’altro non c’è differenza. É il preludio alla pace, alla fine del conflitto con il prossimo (il marito, il compagno, la madre, il padre, il diverso, ecc.) e ricorda la necessità dell’integrazione per creare un’unità interiore. A un livello piú profondo, è un messaggio che permette l’elevazione verso la ricerca dell’Unità, per arrivare alla percezione di essere uno con il Tutto. É dunque un invito alla riconciliazione con sé e gli altri, condizione oggi divenuta indispensabile alla sopravvivenza planetaria.
In che senso il Vangelo è rivoluzionario?
Gesú era un rivoluzionario non violento, come Gandhi e San Francesco. Ai suoi tempi, insegnava alle donne e alle prostitute, preferiva gli umili, evitava le persone ipocrite e dogmatiche. La portata rivoluzionaria del Vangelo è che Gesú è venuto a dirci che siamo tutti figli di Dio, e che fra noi siamo fratelli. Ci ha detto che tutti possiamo realizzare quello che lui ha realizzato, e che viviamo di una natura divina, celata in noi.
Mi sono accorto che ci sono due tipi di religiosità. La prima è “infantile”. Sintetizzando è il credere che il regno di Dio sia fuori di noi, che esista un inferno o un paradiso; questo induce a seguire le “norme”, i comandamenti, ad appellarsi ancora a qualcosa di esterno a noi.
L’altro tipo di religiosità è “matura”, e io la intendo come la comprensione che il regno dei cieli è dentro di noi. In questo caso possiamo parlare di spiritualità e il Vangelo diventa terapia, nel senso di un percorso interiore ed un confronto con la propria umanità. Tutti i personaggi e le situazioni narrate nel Vangelo sono spunti per conoscere se stessi e da cui si puó imparare a seguire la legge della coscienza etica e a divenire responsabili della propria vita.
Nella tua ottica, la via di liberazione dalle dipendenze è un percorso per diventare autonomi. Puoi spiegarmi?
C’è un passo nel Vangelo di Matteo che mi ha fatto riflettere, quando Gesú incita un uomo a lasciare la sua famiglia, per seguirlo. Persino a un uomo intento a sepellire il proprio padre, dice “Seguimi. Lasciate che i morti sepelliscano i morti”. A tutti gli effetti, l’individuo prima o poi deve separarsi dai legami infantili e dal karma familiare e andare alla ricerca dei valori fondanti il suo essere adulto. Senza questo passaggio si rimane puer aeternus. La terapia è quel percorso di crescita attraverso cui il paziente lascia gli attaccamenti infantili e si libera dalle forme di dipendenza. Una volta conquistato questo stato di consapevolezza, l’individuo, sempre che ne senta l’urgenza interiore, puó intraprendere un percorso per centrarsi nel Sé transpersonale*.
Negli anni che ho trascorso con i tossicodipendenti, mi sono accorto che la maggior parte di loro cerca in modo sbagliato un contatto con il trascendente. Non si rendono conto che il paradiso è uno stato di coscienza e ricercano il “paradiso artificiale”, attraverso l’uso di sostanze che in realtà spengono a poco a poco la loro anima. Molti alcolisti e tossicidipendenti sono guariti dalla dipendenza proprio attraverso un contatto profondo con il loro Sé. Un tale contatto innesta un processo di redenzione dell’Ego*, in cui si cerca di fare propri e incarnare i valori spirituali. Quando ho chiesto a Padre Anthony Elenjimittan (l’ultimo discepolo di Gandhi che ha dedicato la sua vita a sostenere il dialogo interreligioso) cos’è la croce, mi ha risposto che é l’Ego. Per me l’Ego non va rifiutato, ma accettato e trasformato. Come suggerisce il Vangelo, il fine non è la crocifissione ma la risurrezione, che in termini terapeutici è la trasformazione di un essere umano dipendente in un adulto autonomo e responsabile.
Glossario:
Sè transpersonale: è l’anima, il filo che ci lega al Tutto e attraverso cui si può intuire e ricollegarsi al Tutto. Il lavoro di “ritorno a casa” è il ricongiungersi al Tutto. Se non ci si arrende all’anima immortale è impossibile integrare l’Ego.
Ego: è uno schema mentale in cui ci si identifica, l’aggregato di tutte le nostre paure e delle nostre difese. La Personalità in cui ci identifichiamo. La somma di tutti i vizi capitali. Nel momento in cui lo accettiamo, accettiamo l’incarnazione e l’Ego può venire redento. I vizi capitali rivelano allora la loro natura spirituale e la materia si fa Spirito.
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