Il centro di ascolto della mia scuola di formazione mi ha inviato Stefania perché la accompagnassi in un percorso di empowerment. La cliente, 26 anni, si era rivolta al centro con una richiesta ben precisa: voleva riprendere in mano le redini della sua vita e riuscire a capire se preferiva riprendere gli studi o cercare un lavoro stabile. Malgrado il suo essere confusa circa la strada da prendere, di fronte ad un utente tanto motivata al cambiamento, ho sentito che fosse importante darle innanzitutto una sorta di sponda di “accogliente contenimento” per la sua vaghezza. Stefania, infatti, aveva iniziato il primo colloquio in maniera molto confusa con l’unica certezza di voler essere aiutata da me a capire esattamente cosa volesse per realizzarlo e regalare al suo futuro una nuova possibilità. La determinazione mostrata nel portare avanti il suo progetto mi hanno indotto a ritenere che l’intervento operativo migliore, potesse essere quello di imprinting cognitivo. Ciò, a mio parere, avrebbe messo la mia cliente nella condizione di avere, con una certa rapidità, maggiore chiarezza.
Tra l’ altro, l’aver deciso di ricorrere all’uso di riformulazioni ha permesso all’utente di incominciare a de confondersi velocemente. Chiaramente il momento dell’ accoglienza resta sempre il punto di partenza fondamentale per impostare nel modo migliore le basi per un’ ottimale alleanza operativa. A prescindere dall’ ovvia considerazioneche non riservare la giusta attenzione ai primi istanti di conoscenza del cliente, significa, con buona possibilità di approssimazione , andare incontro ad un drop out, saper creare, fin dal principio, un buon clima di empatia permette al counselor, non solo di non perdere il cliente, ma di aiutarlo nel modo migliore. In questo caso il suo bisogno per Stefania diventava anche il suo scopo; ed entrambi nella loro precisione potevano permettere la costruzione di una motivazione al cambiamento sufficientemente solida. Ma, per far sì che quello stesso scopo si trasformasse in un obiettivo possibile occorreva fare ordine rispettando il suo tempo interiore di consapevolezza . Stefania ha iniziato il percorso di Counseling manifestando più volte il senso di frustrazione che le provocava il confrontare il vuoto delle sue giornate e della sua vita con la molteplicità di impegni che, al contrario, caratterizzava l’esistenza delle amiche della sua età. Nel raccogliere i dati personali per la compilazione della cartella anamnestica, avevo saputo che la mia cliente, già nel momento in cui si è rivolta al centro di ascolto, era seguita in terapia farmacologia presso la Asl di riferimento.
La diagnosi era quella di una leggera depressione accompagnati da stati d’ ansia. Venire a conoscenza di questo particolare mi ha fatto supporre che Stefania potesse alternare stati d’ ansia a stati depressivi nel tentativo ripetuto di apportare dei cambiamenti alla sua situazione e nel verificare, altrettanto ripetutamente, la propria incapacità nel realizzarli. Queste considerazioni hanno messo in evidenza le implicazioni etiche delle scelte metodologiche fatte. Infatti se da un lato è stato subito chiaro quanto fosse funzionale per Stefania avere accanto un helper “morbidamente “ direttivo, dall’altro era altrettanto chiaro come fosse importante rispettare il suo tempo. Muoversi e operare in maniera etica ha significato, nei fatti, da un lato rispettare le inclinazioni della mia cliente e, nello stesso tempo, agevolare l’inizio del processo di cambiamento attraverso la definizione, durante ciascun colloquio, di una sorta di micro- obiettivi che l’utente avrebbe dovuto e potuto facilmente realizzare nell’ arco dell’ intera settimana intercorrente tra ogni singolo incontro. Il primo step concordato insieme a Stefania fu quello di cercare un istituto che le consentisse di potersi iscrivere per poter terminare gli studi e conseguire un diploma. Infatti, durante il colloquio la cliente era arrivata autonomamente ad individuare nella ripresa della carriera scolastica il punto da cui ripartire per riorganizzare in maniera concreta il proprio futuro.
Procedere secondo questo patterrn voleva dire lavorare contestualmente anche sulla costanza sia della motivazione sia della effettiva concretizzazione di quanto concordato settimanalmente. Questo piano di intervento piacque molto all’ utente che concluse il colloquio prendendo appunti su tutto quello che avrebbe dovuto fare durante la settimana e sincerandosi, nel contempo, del fatto che ci saremmo effettivamente potute incontrare di nuovo dopo sette giorni. L’ utente venne al secondo appuntamento molto soddisfatta per essere riuscita a portare a compimento il task definito insieme in precedenza. Difatti, con meticolosa precisione Stefania mi informò puntualmente circa la scelta dell’ istituto fatta, abbastanza semplicemente, tra quelli trovati. Proseguì poi il racconto comunicandomi che aveva già provveduto a stabilire un primo contatto e che aveva comunque intenzione di andare personalmente a prendere tutte le informazioni ed i documenti necessari per perfezionare l’iscrizione. Il momento impiegato da Stefania per fare Focusing sull’emozione che le procurava aver saputo individuare e realizzare un obiettivo, è stato il punto di partenza per arrivare alla definizione di uno step successivo. Infatti il colloquio è poi proseguito con l’analisi dei nuovi bisogni che la recente conquista fatta dalla cliente aveva determinato.
Così Stefania manifestò con molta chiarezza la volontà di iniziare a cercare un lavoro compatibile col suo stato di salute psicofisica- al riguardo è da non dimenticare che, secondo quanto riferito dalla cliente stessa, era espressa indicazione della terapeuta di riferimento quella di impegnarsi esclusivamente nel trovare un lavoro che le comportasse un limitato dispendio di energie fisiche e mentali-. L’acquisizione di questo ulteriore elemento di conoscenza, rimandava nuovamente alla dimensione etica dell’ intervento operativo adottato dal counselor. Ad esempio, nel caso specifico di Stefania nessun cambiamento sarebbe stato eticamente proponibile se non fosse stato promosso ed agevolato tenendo nel debito conto la sua fragilità emotiva. Stefania aveva ritrovato molta energia dall’ aver realizzato quanto stabilito insieme a me all’ interno del setting. A questo punto diventava di fondamentale importanza individuare un secondo step idoneo ancora una volta a far sì che l’utente, potesse nuovamente a metterlo in pratica.
A mio parere, infatti, riuscire ad individuare il giusto task significa agevolare Stefania nel processo di fortificazione della personale costanza nella motivazione stessa al cambiamento, ed, in secondo luogo, nel verificare e mantenere la costanza nel voler ancora perseguire il medesimo obiettivo. Grazie al ricorso a tecniche cognitive la mie cliente , già nel corso del secondo incontro, è stata in grado di individuare una serie di opzioni possibili. Così, i colloqui seguenti sono stati funzionali a circoscrivere il campo a quei lavori a cui Stefania, in relazione a tutte le sue personali esigenze, poteva concretamente aspirare. Contestualmente gli incontri avevano cominciato progressivamente ad arricchirsi di contenuti sempre più intensi. La cliente, infatti, prese abitualmente a portare nel setting contenuti ed emozioni sempre più intime finché mi chiese di lavorare espressamente sul potenziamento dell’autostima. Il fatto che avesse esaurito il numero di incontri a titolo gratuito previsti dal centro e la circostanza che le sue condizioni economiche non le consentissero di proseguire il percorso, non scoraggiò per nulla Stefania.
Forte dei risultati concretamente ottenuti in neanche due mesi di colloqui, venne, fino all’ ultimo appuntamento col suo “quadernino della consapevolezza” ansiosa e desiderosa di compilare i suoi elenchi ed annotare gli insights cui arrivava durante ogni incontro. Più di una volta la cliente mi aveva raccontato di quanto il materiale diligentemente cristallizzato sul notes nel momento in cui ne comprendeva il senso le fosse stato funzionale nell’ arco delle sue grigie giornate. Ciò mi confermava che la scelta di un intervento di imprinting cognitivo, seppure non eccessivamente direttivo, si era rivelata adeguata. Nel frattempo, infatti, Stefania era andata ad iscriversi a scuola ed aveva iniziato a frequentare un corso regionale di formazione. Inoltre, tutti gli obiettivi che aveva saputo conseguire dall’inizio del percorso di Counseling, unitamente alla soddisfazione per il fatto che la terapeuta dell’ ASL ,constatando dei miglioramenti aveva iniziato a scalarle il farmaco prescritto, avevano reso la mia cliente ancora più determinata nella costruzione di un’ esistenza qualitativamente differente. Inoltre Stefania si era pienamente conto che per continuare a perseguire questa sorta di generale obiettivo, doveva concentrarsi sul potenziamento del quotidiano. Un passaggio ulteriore era stato acquisire la consapevolezza che il miglioramento della propria vita, e della relativa gestione, passava, necessariamente da una diversa percezione di sé : in buona sostanza doveva imparare a stimarsi realmente per poter cominciare a consapevolizzare la possibilità stessa di regalarsi un futuro migliore.
L’esperienza maturata nell’agevolare lungo il percorso di counseling un cliente con problematiche afferenti l’ autostima o l’ autoefficacia mi porta a ritenere che il rapporto tra Etica e Cambiamento trova la sua ratio nella capacità personale dell’ helper di saper , grazie all’ empatica, capire quale sia il cambiamento realmente sostenibile dal cliente nel momento in cui decide di dare avvio ad un processo di auto- esplorazione. Così, per tutte queste considerazioni non posso fare a meno di chiedermi quanto importi nella propria vita non essere realmente forti ma, piuttosto, sentirsi tali!
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