Dipinto, 'The Lost Sheep' di Alfred Soord, 1868-1915
Contesto Spirituale
L’essere umano, perché capace di interrogarsi sulla propria esistenza, è un essere spirituale: oltre alla percezione della realtà oggettiva circostante, ha facoltà di definirsi come soggetto, osservare la propria realtà interiore, interagire tra i diversi livelli del suo essere, consapevolizzare le proprie scelte, attribuirsi un significato, decidere il proprio percorso di vita. In aggiunta alla cognizione individuale, la persona è dotata di consapevolezza sociale, e si caratterizza all’interno del contesto delle sue relazioni interpersonali e di valori condivisi.
Il Counseling considera la domanda d’aiuto da questa duplice prospettiva, dell’individualità della persona e della sua espressione all’interno del proprio sistema di riferimento relazionale. L’individuo esprime il proprio disagio non solo riguardo alla percezione del proprio livello emotivo, cognitivo e comportamentale, ma anche nei confronti dei valori di cui è portatore. Nella relazione d’aiuto è dunque fondamentale individuare il contesto dei significati in cui si esprimono le azioni e le reazioni della persona.
Nel caso delle dinamiche spirituali, gli ambiti di intervento del counseling possono essere molteplici; da qui, la necessità di individuare un contesto specifico di applicazione per evitare la dispersione della nostra riflessione. La nostra attenzione sarà quindi rivolta al campo specifico del christian counseling, molto praticato nei paesi anglosassoni, e che si muove in un paradigma biblico all’interno dei valori propri della cristianità.
Nelle comunità cristiane sono generalmente praticate forme d’intervento relazionale con il presupposto di indirizzare o riportare la persona a pensare secondo la dottrina, uniformarsi al dogma, alle regole, ai parametri etici della religione. Il disagio non è spesso considerato possibilità di crescita, piuttosto un contrattempo fastidioso da cui liberarsi il più presto possibile. In questo caso, la relazione d’aiuto tende ad essere fortemente direttiva, normativa, autorevole, con un carattere di assoluzione, avvertimento, approvazione o disapprovazione, e con l’obiettivo di “cambiare la persona”.
In questo caso, l’operatore che riceve la domanda di aiuto si pone nella relazione come chi ha già la risposta, la soluzione; si sente fortemente investito di autorità e infallibilità; non tollera essere contraddetto dalla persona che chiede sostegno; le idee della persona diverse dalle proprie sono lette come segno di disubbidienza, ribellione, mancata sottomissione. Alla fine, la persona segue queste direttive autoritarie, o perché si sente in colpa oppure per timore di essere emarginata dalla comunità, ma non sperimenta alcuna possibilità di crescita e consapevolezza delle proprie risorse cognitive, emotive e comportamentali.
Diverso è il christian counseling e pastoral counseling: una proposta di relazione d’aiuto fondata sul modello centrato sulla persona, in cui è integrata una percettività teologica e pastorale per laaccoglienza e la comprensione della domanda di aiuto.
Contesto Biblico
La sensibilità e l’empatia del christian counselor trovano un preciso riferimento nel paradigma biblico. Il termine counseling deriva appunto dal latino consulo, con il significato di offrire aiuto a chi ne ha bisogno. In effetti, il counseling è più vicino al concetto di alleviare la sofferenza, contenere un disagio, recare consolazione (1), incoraggiare, piuttosto che al consiglio normativo, alla consulenza tecnica.
Nel testo biblico, la natura psicologia dell’essere umano è riconosciuta come parte integrante della sua personalità, descritta nel suo conoscere, nell’essere e nel fare; sono messi in evidenza il nostro bisogno di significato, di scopo nella vita, di liberazione dalla colpa, di autorealizzazione. La testimonianza biblica non risparmia l’analisi dolorosa dell’essere umano, non cerca rifugio nel misticismo, ma è calata profondamente nella storia dell’umanità: ne condivide le perplessità, le incongruenze ma anche le speranze e le possibilità di riscatto.
Nella riflessione teologica sull’esistenza umana nella sua totalità, le realtà psicologiche sono quindi concretamente presenti. In questa prospettiva, la teologia (il discorso su Dio) e la psicologia (il discorso sull’uomo) (2) trovano una correlazione: la prima studia, descrive, e formula i principi che regolano il rapporto tra Dio e l’uomo; la seconda studia, descrive, e interpreta la fenomenologia dei processi mentali e delle relazioni umane.
Una comparazione dei modelli biblico e psicologico può essere realizzata rispetto all’atto del conoscere.
L’apostolo Paolo afferma: ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente affinché conosciate per esperienza…(Romani 12:2). La conoscenza qui indicata differisce da quella filosofica greca, dove l’atto del conoscere era rivolto alla pura osservazione e teorizzazione, e non al rapporto tra l’osservatore e l’oggetto osservato; una conoscenza puramente estetica, esteriore, che contemplava un dio senza nome.
Or tutti gli Ateniesi e i forestieri che dimoravano in quella città non avevano passatempo migliore che quello di dire o ascoltare qualche novità. Allora Paolo, stando in piedi in mezzo all’Aeropago, disse: «Ateniesi, io vi trovo in ogni cosa fin troppo religiosi. Poiché passando in rassegna e osservando gli oggetti del vostro culto, ho trovato un altare sul quale era scritto: “Al Dio sconosciuto”. Quello dunque che voi adorate senza conoscerlo, io ve lo annunzio»(Atti 17: 21-23).
Paolo fa invece riferimento a una conoscenza partecipativa, percettiva, esperienziale, formativa della persona, da acquisire attraverso l’essere e il sentire, che ci riporta al concetto di empatia nel counseling: pensarmi nella persona dell’altro, provare le sue emozioni.
Il più alto esempio di empatia biblica è rappresentato dalla figura sofferente di Cristo. Isaia lo descrive 700 anni prima in una profezia, ma ne parla al passato come se le azioni di Cristo fossero già avvenute, dichiarandone così l’universalità del sacrificio, nel brano più drammatico dell’intera narrazione biblica:
Disprezzato e rigettato dagli uomini, uomo di dolori, conoscitore della sofferenza, simile a uno davanti al quale ci si nasconde la faccia, era disprezzato, e noi non ne facemmo stima alcuna. Eppure egli portava le nostre malattie e si era caricato dei nostri dolori; noi però lo ritenevamo colpito, percosso da Dio e umiliato. Ma egli è stato trafitto per le nostre trasgressioni, schiacciato per le nostre iniquità; il castigo per cui abbiamo la pace è su di lui, e per le sue lividure noi siamo stati guariti: Noi tutti come pecore eravamo erranti, ognuno di noi seguiva la propria via, e l’Eterno ha fatto cadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltratto e umiliato non aperse la bocca. Come un agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi tosatori non aperse la bocca (Isaia 53:3-7).
Isaia profetizza su Cristo e lo definisce Counselor:
Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato. Sulle sue spalle riposerà l’impero, e sarà chiamato Counselor ammirabile (Isaia 9:6). (La versione italiana della Bibbia traduce consigliere, quella inglese, counselor).
Cristo stesso afferma:
E io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore (Counselor), (gr. Parakletos, tradotto come counselor, soccorritore, consolatore) (3) che rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità…ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto (Giovanni 14:16, 17, 26).
La mission di Cristo come counselor è ancora profetizzata da Isaia (Isaia 61:1-3), e confermata da Cristo stesso all’inizio del suo ministero (Luca 4:16-21):
Lo Spirito del Signore Dio, l’Eterno, è su di me, perché l’Eterno mi ha unto per recare una buona novella agli umili; mi ha inviato a fasciare quelli dal cuore rotto, a proclamare la libertà a quelli in cattività, l’apertura del carcere ai prigionieri…per consolare tutti quelli che fanno cordoglio, per accordare gioia a quelli che fanno cordoglio… per dare loro un diadema invece della cenere, l’olio della gioia invece del lutto, il manto della lode invece di uno spirito abbattuto.
Le qualità della relazione d’aiuto, dell’empatia e dell’atteggiamento non giudicante, evidenziate da Rogers erano presenti nel continuo interagire di Cristo con le persone, come nell’episodio della donna sorpresa in adulterio dalla gente:
“Chi di voi è senza peccato scagli per prima la pietra contro di lei.” Quelli allora, udito ciò e convinti dalla coscienza, se ne andarono ad uno ad uno, cominciando dai più vecchi fino agli ultimi; così Gesù fu lasciato solo con la donna, che stava là in mezzo. Gesù dunque, alzatosi e non vedendo altri che la donna, le disse: “Donna, dove sono quelli che ti accusano? Nessuno ti ha condannata?”. Ed ella rispose: “Nessuno, Signore.” Gesù allora le disse: “Neppure io ti condanno; và e non peccare più”(Giovanni 8:7-11).
La missione di Cristo non era giudicare ma risollevare l’essere umano dallo stato di prostrazione, per riaffermare il valore della persona anche tra tutte le sue contraddizioni. Le parole del Counselor non erano teoretiche ma dirette alle necessità più profonde dell’animo umano, quali: il bisogno di significato, di identità, di accettazione incondizionata.
La relazione d’aiuto nel christian counseling accoglie spesso persone che si sentono in colpa per non avere soddisfatto l’immagine che il sistema comunitario esige da loro; di conseguenza, percepiscono di “avere peccato”.Da un punto di vista teologico, il termine peccato è associato alla trasgressione del comandamento, della norma, della regola. Tuttavia, l’analisi del suo significato ne evidenzia la connotazione psicologica, in relazione alla ricerca di autorealizzazione, valore e identità della persona.
Nel suo significato originale, il peccato è essenzialmente: mancare l’obiettivo della responsabilità, perdere riferimento, non ritrovare il Sé, mancare il Sé, alienazione morale. Da questa prospettiva, il peccato è visto non tanto quanto inadempienza, piuttosto come distacco, smarrimento, scissione, conflittualità, fragilità. Questa condizione di instabilità genera appunto la colpa morbosa evidenziata da Rollo May; non colpa teologica per un “peccato teologico”, ma colpa psicologica interiorizzata, perché la persona si percepisce frammentata interiormente.
Per questo, dobbiamo tenere presente che, prima di impegnarsi in un nuovo obiettivo, la persona ha fondamentalmente necessità di non colpevolizzarsi per il momentaneo disagio o fallimento, di abbassare il proprio livello di tensione interiore, per rimettere ordine nelle percezione della propria personalità, e soprattutto perdonarsi.
La sensazione di colpa diventa ancora più acuta se la persona si confronta con un modello religioso rigido e idealizzato che vorrebbe un credente sempre positivo, determinato, controllato, incrollabile, infallibile, insensibile ai sentimenti. In un tale sistema religioso “militarizzato”, il disagio non trova spazio; l’intellettualismo teologico è esasperato nel raggiungimento di più alti livelli di conoscenza dottrinale; le relazioni interpersonali sono solo funzionali a mantenere l’efficienza operativa delle attività comunitarie. Soprattutto, le debolezze del singolo sono considerate invalidanti dalla comunità stessa, perché costituiscono una minaccia alla stabilità dell’intero sistema; alla fine, la persona precaria è emarginata. Questo non fa altro che aggravare il suo senso di fallimento.
È evidente che la relazione d’aiuto in un tale contesto è non solo sperabile ma addirittura indispensabile: lo spazio in cui accogliere con calore la persona oppressa, sfinita, demotivata, isolata, che ha bisogno di scaricare la propria tensione, frustrazione, rabbia; per sentirsi normale, non infetta, non contagiosa, non giudicata; e credere che è ancora possibile ricostruire dalle macerie della propria vita, della famiglia e degli affetti. Il counselor deve allora ascoltare, e, quando ha ascoltato, continuare ad ascoltare, quello che sarebbe impronunciabile, scandaloso, vergognoso, intollerante per il perbenismo della comunità religiosa, tutta tesa a difendere la propria “integrità comunitaria”.
Ma la mission del counselor deve potersi estendere oltre i limiti del disagio del singolo e giungere al cuore delle relazioni all’interno della comunità intera. Il problema del singolo è in definitiva il problema di tutta la comunità. Questa non può allora sottrarsi ad una revisione onesta e profonda sulla qualità delle relazioni che ha prodotto: E se un membro soffre, tutte le membra soffrono; mentre se un membro è onorato, tutte le membra ne gioiscono insieme (1Corinzi 12:26)…perché siamo membra gli uni degli altri (Efesini 5:25).
1. consolàre, confortare, alleviandone la sofferenza: consolare gli afflitti, consolare un amico di una disgrazia, consolare con parole affettuose; ridare forza; compensare, rallegrare: tuttavia mi consola sapere che ci rivedremo presto
sinonimi: incoraggiare, rasserenare, rassicurare, rianimare, rincuorare, rinfrancare, risollevare, tranquillizzare.
Data: av. 1294.
Etimo: lat. consolare, comp. di con- "assieme, con" e solari "confortare".
consólo, consolazione, conforto
- cibo o bevanda preparati per ristorare i viaggiatori
- merid., uso funerario, per cui parenti e amici offrono cibo alla famiglia di un morto nei primi giorni di lutto durante i quali il focolare rimane spento
Data: av. 1306.
Etimo: der. di consolare.
2. (gr. Theos, Dio; logia, discorso; psuchē, psiche, tradotto nella Bibbia come anima )
3. Parakletos, letteralmente “chiamato a fianco di qualcuno per assisterlo”. Denota la capacità o l’adattabilità a prestare soccorso. Termine usato in tribunale per denotare un assistente legale, consulente per la difesa, un avvocato; generalmente, chi intercede per la causa di un altro, intercessore, mediatore, come in 1 Giovanni 2:1; un soccorritore, consolatore, counselor. Cristo attribuisce Questa definizione allo Spirito Santo, un altro Consolatore (un altro delle stesso tipo e non diverso). Lo Spirito Santo è chiamato “un altro parakletos”, perché continua e universalizza il ministero di Gesù (Giovanni 15:28). Lo Spirito Santo dimora nei credenti, come Gesù dimorava tra loro nel suo ministero terreno (Giovanni 14:16-17). Il Counselor, lo Spirito della verità, ricorda ai credenti quello che Gesù ha annunciato e li conduce alla verità, non li abbandona. Consolatore o Counselor corrisponde al nome Menahem, attribuito dagli Ebrei al Messia.
W. E. Wine, Expository Dictionary of New Testament Words.
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