Non metterla sul personale “ : luogo comune o processo formativo ? – 2


lite in_parlamentoIn queste note ci siamo posti l’obiettivo di valutare la praticabilità e l’efficacia di esortazioni ad agire un in dato modo che immediatamente si presentano alquanto sensate ma che hanno, tutto sommato, il sapore di vuoti luoghi comuni.

E’ il caso, ad esempio, di “ non metterla sul personale “, invito / consiglio rivolto in genere a chi, per professione, si confronta quotidianamente con reazioni “ aspre “  da parte degli interlocutori, in particolare quando si tratta di  clienti ed utenti.

Abbiamo già evidenziato nel precedente articolo come tali reazioni, sottoforma di obiezioni o critiche oppure netti rifiuti, il più delle volte non abbiamo contenuti specifici bensì consistano in generici giudizi, pregiudizi, opinioni, “ sentito dire “.

 

In queste circostanze è arduo, per il professionista, favorire una comunicazione fluida dato il forte carico emotivo a cui è sottoposto dal momento che la risposta negativa viene percepita come relativa non ad un singolo aspetto della discussione ma al complesso delle proprie caratteristiche personali e professionali.

Diventa perciò essenziale, in questo genere di relazione, porsi un obiettivo che non sfoci nel confronto etico – cognitivo con l’interlocutore ma che invece sia fortemente ancorato al tema prioritario della comunicazione. Può trattarsi, ad esempio, del prezzo del prodotto o della sua qualità tecnologica o altri suoi aspetti che ne riguardino l’utilizzo e i vantaggi da esso derivanti.

Il primo passo per “ non metterla sul personale “, insomma, consiste nel ben definire l’obiettivo della relazione – che non è modificare il sistema di riferimento dell’interlocutore – e restarvi saldamente connessi. Il professionista, in sostanza, deve continuamente ripetere a sé stesso “ Per quale motivo mi trovo qui? Qual è lo scopo di questo dialogo ? “.

Per provare a spiegare meglio ciò che intendiamo dire facciamo un esempio.

 “ Come fa a dire che … ? “

Questa espressione rappresenta l’esordio di una vera e propria competizione verbale e ciò, il più delle volte, a prescindere dalla “ qualità “ del linguaggio non verbale che la accompagna. Intendiamo dire che, pur se pronunciate con modi e maniere, queste parole rischiano di assumere comunque un significato di “ sfida “. Accade in qualsiasi tipo di relazione  ed in particolare tra venditore e cliente così tra operatore call center o front office ed utente. Rappresenta la tipica affermazione con cui il professionista obietta ad una critica generalizzata dell’interlocutore.

Ad esempio :

Venditore : “ Avrei un prodotto da proporle “;

Cliente : “ Non mi interessa “;

Venditore : “ Come fa a dire che non le interessa se non sa nemmeno di cosa si tratta ? “;

Cliente ( assumendo, probabilmente, un non verbale “ aspro “ ) : “ Ho detto che non mi interessa ! “.

Questi scambi, anche se sintetici, evidenziano la trappola linguistico – cognitiva in cui scivola il professionista, una impasse difficilmente risolvibile una volta verificatasi. In tali circostanze, infatti, diventa prioritario per ognuno dei parlanti risolvere il rispettivo carico emotivo piuttosto che elaborare soluzioni al contrasto. Sono i casi in cui la meta del dialogo è avere “ l’ultima parola “, a prescindere dai contenuti.

“ Gli / Le ho fatto capire chi sono !”, “ Gliene ho detto quattro !”,  “ Glielo ho detto chiaramente che non capisce proprio niente !”:

Questi, in sintesi, sono le conferme che i parlanti cercano per sé stessi. Che poi il problema non si sia risolto, che forse si sia anche amplificato, poco conta. L’incomprensione diventerà l’oggetto della prossima battaglia verbale anche se combattuta con interlocutori “ materialmente “ diversi.

Se c’è ben poco da fare, allora, quando queste dinamiche si scatenano, come si possono prevenire ?

Discuteremo nella terza parte di questo articolo delle strategie linguistiche – cognitive da adottare allo scopo.

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