QUANDO IL COUNSELING E’… UN’IMPRESA. Servizi aziendali alla carriera e alla produzione

Inviato da Nuccio Salis

 counseling per business

I numerosi cambiamenti sociali di cui siamo protagonisti nella nostra epoca, stanno coinvolgendo notevolmente ogni settore della vita quotidiana e delle organizzazioni. Ci stiamo lasciando alle spalle, ancora con fatica, un vecchio ed obsoleto paradigma concentrato maggiormente su parametri di stabilità, abitudine e tendenza alla conservazione. A torto o ragione, questa inesorabile trasformazione costringe a mutare il quadro dei nostri modelli interpretativi sul mondo, con effetti sui nostri comportamenti e sulle modalità attraverso cui ci rapportiamo agli altri e alle cose.

La richiesta di una maggiore flessibilità nelle strategie adattive si sposa con un quadro culturale che sta evidentemente facendo emergere un nuovo ordine di bisogni e di competenze progettuali dapprima non considerate, che tendono a rivalutare la raffinatezza delle risposte a problematiche complesse che affiorano nelle contingenze del divenire storico.

Dentro queste nuove dinamiche culturali si inserisce a pieno titolo il counseling, sostanziato da princìpi e tecniche che ben sembrano adattarsi all’interno di un panorama che sollecita sempre più il potenziamento di abilità quali la creatività, l’autoefficacia, la pianificazione efficace, la metacognizione; tutte doti sempre più richieste dentro la realtà dei gruppi formali che sviluppano un lavoro per progetti e per obiettivi.

È facile associare queste caratteristiche nel contesto di un team aziendale, interamente dedito a realizzare i percorsi ed i traguardi che occorrono per affermarsi sul piano della produttività e della competitività secondo i termini del mercato.

Cambiamenti radicali sono infatti avvenuti in quest’area così specifica, interessata inevitabilmente da una serie di significative novità introdotte da una società da cui emergono domande inedite da intercettare e soddisfare.

Alcune rilevanti prospettive alternative a quelle già conosciute, possiamo dire che risultano certamente le seguenti:

 

_ Dirigismo verticalista VS Cooperazione funzionale: si tratta di un passaggio significativo che ha determinato anche una vera e propria rivoluzione nell’ambito del pensare e concepire un team working diretto e strutturato a uno specifico scopo. Se prima, era possibile contemplare ed accettare che soltanto il soggetto con maggiore autorità dettasse la linea del percorso, senza mediazioni e feedback diretti, ed assumendosi gran parte della responsabilità delle sue conseguenze decisionali, col tempo si è potuta verificare l’inefficacia e quindi l’obsolescenza di un modello che, se da una parte semplifica e facilita certi tortuosi percorsi dovuti nella fattispecie al tempo speso in confronti, riunioni e dibattiti, d’altra parte fa sentire a lungo termine il peso di scelte improprie e calate dall’alto, senza che tengano debitamente conto di esigenze ed istanze emerse in situazione. L’antistoricità a cui va incontro un tale modello, con tutto il carico di malcontento che è in grado di sviluppare, non può che rivelare il suo potenziale allergico e disgregativo sulle dinamiche di un gruppo centrato su obiettivi.

L’urgenza di riscoprire il significato e la progettualità improntata alla cooperazione, in tutti i campi della produttività e dei servizi, rimane la chiave di lettura mediante cui poter ampliare spazi aperti e significativi di confronto, e per avviare programmazioni costruttive ed una sana negoziazione dei conflitti fra le parti interessate.

 

_ Unilateralità asimmetrica VS Leadership autorevole: la grande sfida per un conduttore o coordinatore responsabile di gruppi, riguarda principalmente la capacità di farsi investire del suo ruolo in virtù delle proprie reali abilità e competenze sia tecniche che relazionali. Sarebbe troppo facile, infatti, avere la previa approvazione e deferenza da parte dei membri del gruppo, soltanto in forza della propria autorità legittimata, per la propria posizione di comando prestabilita e sfoggiata come una divisa gallonata. La leadership è piuttosto un’attitudine che va costruita, mostrando in primis le proprie reali capacità direttive e curando congiuntamente l’aspetto comunicazionale ed emozionale da cui dipende la forza di tenuta di un gruppo e la sua generale motivazione ed alleanza fra i membri che condividono le medesime finalità e aspettative.

 

_ Evitamento ed occultamento conflitti VS Espressione conflitti come risorsa: lo stesso termine “conflitto” è ancora largamente e quasi sempre usato con accezione negativa, associato magari a immagini di guerre e di catastrofi, ma se ricontestualizzato dentro un setting laboratoriale di group-training o team building, questo può essere accolto come l’occasione immancabile per valutare il livello di soddisfacimento/malumore fra i vari membri del gruppo, misurando con maggiore precisione le loro coordinate legate a un quadro complesso di bisogni e richieste, riaggiustando il tragitto perché si prevengano i sabotaggi interni, venga gestito il rischio della deviazione dagli scopi preposti e l’inefficienza delle prestazioni, con relativa caduta degli standard richiesti ed attesi. Il successo è dovuto quanto più spesso non si immagini, all’atteggiamento e al grado di benessere e di riconoscimento che si ottiene dall’esperienza di cui si sta prendendo parte. Non è sufficiente condividere obiettivi comuni, è necessario che questi possano essere discussi in modo itinerante, per rispondere ad eventuali rinnovati bisogni e modi diversi di guardare ai fatti in divenire.

Il conflitto potrebbe essere concettualmente riammesso propriamente nel senso del percorso divergente del pensiero, la cui “divergenza”, infatti, che rimanda spesso all’idea di separazione, contiene invece anche il potenziale creativo di un pensiero in grado di valutare o costruire ipotesi e opzioni strategiche dapprima non contemplate, e magari per questo risolutive.

 

_ Attaccamento modalità obsolete VS Tensione innovativa e visione di futuro: anche nell’ambito della promozione dell’impresa prevale la legge darwiniana secondo cui a sopravvivere non è esattamente la specie più forte (secondo i canoni comuni dell’accezione di forza), ma quella che sa adattarsi meglio. L’organismo che ha sempre vissuto sulla terraferma, se sconvolto da mutate condizioni naturali che lo obbligano per esempio a ri-adattarsi in un contesto acquatico, egli dovrà imparare a nuotare, sviluppare le branchie, nutrirsi di alghe o pesci.

Pertanto, la resistenza al passato nel nome della tradizione, alla lunga non paga, e produce il decadimento e il depauperamento di tutte quelle potenzialità progettuali che non trovano invece approdo e realizzazione perché non si è in grado di cogliere la portata e l’offerta dell’innovazione in atto. Lo sguardo diretto al futuro è essenziale e d’obbligo, in chi si impegna in progetti industriali e intende promuovere i suoi prodotti. Che poi si debba non per questo perdere una visione di marketing legata anche all’etica dei consumi e dell’impatto sull’ecosistema, è semmai un valore aggiunto che rientra sempre nel tentativo di contenere la propria presenza dentro i limiti accettabili che devono essere previsti e regolati, anche in funzione di parametri fissati secondo un gradiente di intrusività e di rischio per le comunità. Non si tratta, cioè, a scanso di equivoci, di accettare acriticamente e in modo irresponsabile tutto ciò che proviene dai settori dell’innovazione, ma anzi di esserne possibilmente co-protagonisti, orientati secondo una imprescindibile bussola di valori interni ed universalmente riconoscibili e condivisi, adeguati al tempo stesso dentro una cornice storica da osservare con curiosità ed attenzione.

 

_ Obiettivi eterodiretti VS Obiettivi autodiretti: in linea con quanto già sostanzialmente discusso, è importante che le mete ideate e programmate dai partecipanti corrispondano anche al quadro concettuale attraverso cui il gruppo percepisce e rappresenta a se stesso la validità e l’importanza degli obiettivi. Strategie e direttive impersonali e che non appagano il clima di lavoro e di attività attraverso cui un gruppo si esprime, può finire per frantumare la compagine in un percorso disordinato e non condiviso nelle scelte, nei metodi e nelle strategie. Il rischio che la squadra si sfaldi e riveli tutta la sua entropia disgregativa, è un pericolo assai serio da tenere in considerazione. Tale situazione è ancora più prevedibile quando gli appartenenti al gruppo per obiettivi risultano anche personalità dai profili altamente qualificati, che attendono di eseguire il loro lavoro secondo i loro rispettivi arnesi del mestiere, ed esperire il contributo per il quale sono chiamati ad operare, riscuotendo anche il riconoscimento e la gratificazione psicologica. Insomma, non basta più emettere un ordine ed aspettare che venga correttamente eseguito soltanto perché la persona che l’ha ricevuto è pagata apposta per fare quello. La gestione di un’attività produttiva dev’essere senz’altro più complessa, ed arricchita da un numero imprecisato di variabili combinate fra di loro, verso cui bisogna essere in grado di riconoscere, interpretare ed accogliere, al fine di favorire una manifestazione funzionale di sé e quindi della persona che prende parte al processo.

 

_ Rigidità dei ruoli e conservazione del meccanismo VS Accoglienza di soft skills e abilità trasversali: non si potrebbe che parafrasare e riepilogare in modo sintetico quanto scritto finora, rafforzandone di proposito i concetti di fondo. Sarebbe opportuno prevedere ed anzi incentivare la possibilità di produrre nuove idee, autorizzando senza censura di immaginare anche le cose più assurde e paradossali, per poi far confluire questo capitale dentro una sorta di rielaboratore che restituisce l’ossatura di un’idea pronta ad essere delineata come quella che potrebbe essere realizzata ed implementata. Ecco che allora, in questo rinnovato contesto, ogni pensiero non viene bloccato e bocciato da giustificazioni che si appellano alla procedura o alla “fattibilità” del momento, ma valorizzato ed accolto come possibile mattoncino di una casa delle idee più grande e fortificata dai contributi creativi di ciascuno. Si supera, in pratica, anche la configurazione limitata del lavoratore come semplice anello produttivo della catena. Nessuno può essere concepito più nella ristretta visione dell’ingranaggio umano, e non solo per valide ragioni legate ai diritti elementari della persona, ma anche perché, specie in ambito produttivo, il lavoratore valorizzato per il suo capitale di idee e per le sue risorse trasversali, si sente più partecipe e coinvolto, finendo per costituire un ulteriore punto di forza in senso all’organico che lo assorbe all’interno delle sue dinamiche. Vi sono peraltro numerosi studi a riguardo, che vanno esattamente nella direzione di una conferma in merito alla relazione influente che esiste fra produttività e livello di soddisfazione psicologica durante la propria permanenza in azienda. Il contributo di ciascuno cresce, se valorizzato e riconosciuto in luce della sua totale identità storica, personale e professionale.

 

Tali questioni costituiscono un nuovo modo di pensare anche il mondo del lavoro, territorio sempre più complesso al’interno del quale, chi vi sosta, può trascorre comunque una parte significativa del suo tempo, ridisegnando i confini del suo mondo e delle sue percezioni, rivedendo le sue abitudini o ricollocando l’importanza attribuita alle sue esperienze.

Il counseling è in grado di offrire un incentivo utile e costruttivo a questo indirizzo, accompagnando e supportando ciascuno a sviluppare autocoscienza e autodirezione, ovvero maturando una crescente capacità di ri-conoscersi e di dichiarare con assertività ed autorevolezza il valore delle sue decisioni. In un ambito riservatamente costruttivo e formale, questo aspetto potrebbe costituire il valore determinante per orientare un gruppo ad essere efficace e raggiungere i traguardi per i quali è stato composto e strutturato.

Occorre a questo punto che anche il concetto stesso di formazione si modifichi e segua i percorsi di un nuovo divenire epocale, rinunciando per esempio a svolgersi sempre e soltanto nel chiuso delle aule, benché si adottino importanti aggiustamenti prossemici e didattici, ed estendosi anche alle esperienze outdoor, d cui ricavare nuovi elementi e nuovi contesti di osservazione e di interazione, che mettono alla prova e testano le capacità stesse del formatore, coinvolto egli stesso in un contesto che chiede di misurarsi con la propria voglia di crescere e di cambiare. È un territorio che pone una sfida aperta, evocando come sempre l’elemento della percezione del rischio con quello della curiosità. La gestione di tale alchimia può fare la differenza nella qualità della risposta professionale e personale da parte di un addetto ai lavori.

 

dott. Nuccio Salis 

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