COUNSELING ON LINE. Posizioni a confronto sull’ascolto via web

Inviato da Nuccio Salis

 counseling online

La tecnologia ha sempre mediato i modelli della relazione e non soltanto a partire dall’era moderna. L’invenzione della ruota e di arnesi con punte ha decisamente rivoluzionato il carattere dell’organizzazione comunitaria e ridefinito un quadro di bisogni sia individuali che allargati, nonché rimesso in gioco il complesso e dinamico rapporto con l’ambiente e il territorio. Insomma, ogni volta che un nuovo artificio tecnologico, più o meno complicato, fa il suo ingresso nella quotidianità della vita umana, è in grado di stravolgere abitudini e di cambiare il modo di lavorare, comunicare, apprendere, fino a ristrutturare i modelli del pensiero e della percezione.

Questo accade soprattutto in forza del livello di intrusività e invasività delle tecnologie attuali, così sofisticate e al tempo stesso progettate per un facile accesso ed un fruibile e agevole utilizzo. Tale impatto ci riguarda ormai da molto vicino e non possiamo fare finta di ignorarlo. Tutti noi che abitiamo nella parte del mondo capitalista usiamo la tecnologia e ce ne serviamo per i nostri scopi. Ciò da una parte facilita e semplifica gran parte delle nostre attività, permettendoci di realizzare obiettivi dapprima impensabili, specie se i propri interessi hanno a che fare con il contatto al pubblico e la promozione dei propri servizi o prodotti di qualunque natura. La raggiungibilità di un targetche prima era di esclusiva di grossi competitor, oggi è immaginabile anche da parte di chi si prodiga e si impegna nell’uso delle piattaforme e delle piazze sociali del web.

Come professionisti sociali, sento che abbiamo il dovere di esaminare ciò che sta accadendo in questo tempo, e credo che dovremmo impegnarci di più per superare quelle resistenze generazionali della mia generazione che chiamo “analogic native”, che spesso ancora fa fatica a decodificare le metafore e le suggestioni evocative del linguaggio contemporaneo. Ciò invece sarebbe utile per vincere e rifuggire dalla manipolazione indotta, per capire e spiegare come la pubblicità venda emozioni, allegorie e status symbol, sogni e non solo prodotti. quindi rimanda a un processo di costruzione di significati, opinioni, stili di vita, cornici culturali. Siamo cioè chiamati a comprendere ed agire nella complessità. E’ necessario saper guardare al progresso senza passività e rassegnazione, senza evocare scenografie catastrofiche e nel contempo senza subirlo mentre lo si vede asfaltare inesorabile la qualità dei rapporti umani o sviluppare nuove forme di dipendenza e di alienazione. Occorre un giudizio equilibrato, sobrio e rigoroso per decriptare il tutto secondo chiavi di lettura propriamente scientifiche, in quanto rappresenta allo stesso tempo un rischio e una sfida per potenziali futuri scenari di cambiamento. E’ essenziale ricorrere a parametri di osservazione del fenomeno che bypassino la tentazione di spiegazioni riduzioniste e modelli teorici obsoleti, dovuti alla paura del cambiamento, alla non conoscenza sul possibile ed accattivante uso funzionale dell’equipaggiamento digitale, che può essere volto al servizio della crescita e della vera evoluzione.

Chi ha il dovere di seguire le trasformazioni sociali dovrà mantenere certamente uno sguardo critico, aperto e curioso al tempo stesso su quanto è in atto nelle dinamiche del divenire storico. Le discipline sociali, con la loro insita tendenza all’interdisciplinarietà dovrebbero svolgere un ruolo risolutivo, offrendo modelli in grado di inquadrare questo processo epocale di profonda metamorfosi delle strutture del vivere umano. Chi ha già assunto la funzione di counselor, per esempio, è consapevole che la connotazione epistemologica del suo sapere e delle sue pratiche non verrà trasfigurata a minarne i princìpi basilari quanto nelle modalità. La sua opera viene cioè ridisegnata e declinata in nuove forme e contesti che ne configurano una rinnovata e specifica etica deontologica in grado di accogliere misurarsi con i linguaggi alternativi della comunicazione sociale e di vari stili di vita e di espressione di sé, incluse le cosiddette “subculture".

A questo proposito ho ideato un dibattito immaginario fra due ipotetici counselor che chiamerò SImòn e NOrberto. IL primo opta a sottolineare esclusivamente i vantaggi offerti e derivati dalla conoscenza e dalle applicazioni in ambito tecnologico, mentre il secondo ne mette in evidenza i limiti e ne solleva principalmente i punti critici.

 

Questo è quanto asserisce SImòn:

“In linea con la complessità e la multimedialità dei modelli comunicativi contemporanei, l’offerta dei servizi destinati all’aiuto alla persona possono ampliare i loro orizzonti operativi. Il setting “perde” i suoi confini tradizionali, limitati alle mura del luogo dentro cui si svolge l’intervento di ascolto, per disporsi in una zona indefinita, con un contenitore informe ma che può essere altrettanto valido ed autorevole. Esiste la possibilità di conservare i dati dell’incontro con diverse tecniche, e di illustrare percorsi mediante strategie tecnologiche accattivanti e funzionali, in linea anche con i gusti e gli interessi del cliente. Prende strada la possibilità di personalizzare l’intervento e far sentire maggiormente il cliente a proprio agio. Si pensi soprattutto ai soggetti molto giovani già formati ad una fruizione competente e disinvolta dei diversi dispositivi digitali.

Essi potranno usufruire di un contesto che non li obbliga ad impegnarsi dentro un territorio già dato, ripetitivo e magari reperibile facilmente se consideriamo l’esigenza di privacy richiesta e desiderata.

Le procedure e le iniziative del counseling on line hanno la prerogativa di abbattimento virtuale (ma con conseguenze concrete) delle barriere fisiche e spaziali, ed agire a favore di soggetti con gravi impedimenti organici ed evidenti e oggettive limitazioni nell’autonomia funzionale e nella mobilità. Si procede similmente alla rottura della rigidità spazio-temporale del setting. Tali circostanze costringono ad una rilettura del proprio agire professionale in termini di ri-adattamento e flessibilità. Si ottiene peraltro un positivo effetto di assottigliamento dell’inibizione e dell’autocensura nell’esprimersi. Si può altresì tutelare maggiormente la privacy dell’utente fino ad accettarne la possibilità dell’anonimato. So bene che questo potrebbe sollevare alcune importanti critiche all’indirizzo di questi propositi ed affermazioni. Cercherò di anticipare e prevenire alcune (seppur riconosco valide o costruttive obiezioni), sostenendo che ciò può essere una regola protettiva che può valere solo entro un certo tempo concordato con il cliente stesso, al quale può essere riconosciuto all’inizio il diritto a presentarsi senza essere visto.

Altri vantaggi possono consistere nel progressivo allentamento di ostacoli preconcettuali dovuti a significative differenze negli aspetti etnici o fisici degli interlocutori (es: counselor africano e cliente caucasico, counselor anziano e cliente giovanissimo, counselor uomo e cliente donna con storie di abusi sessuali). Provo a controreplicare anticipatamente che nel counseling strutturato per percorsi brevi, potrebbe non esserci la sufficiente quantità di tempo necessaria per gestire efficacemente il confronto senza subire troppo i condizionamenti di notevoli caratteri marcatamente distinti, che la distanza aiuta invece a regolare senza esserne dominati troppo dalla loro influenza. D’altra parte resta anche da dire come il counseling via web non si presenti come sostitutivo ed opponente a quello realizzato nel setting diciamo tradizionale, ma anzi può rapportarsi con lo stesso secondo una linea di continuità. Penso ad esempio a quelle rivelazioni in cui tocca constatare e verificare come il soggetto arrivato ad affrontare il percorso di counseling in realtà non risulti adatto per un tipo di trattamento a distanza, e quindi debba essere inviato ad esplicitare il suo problema ad un professionista che può accoglierlo secondo le modalità più conosciute”

 

NOrberto: “Credo che gran parte di ciò che viene presentato esclusivamente come vantaggio, possa invece includere anche dei fattori di rischio, che sarebbe imprudente e poco scientifico non considerare. Quando si prospetta il vantaggio di attraversare senza impasse le differenze sostanziali fra operatore e soggetto supportato, io penso invece che questi aspetti devono emergere e devono essere gestiti nella relazione, e che ciò riguarda esattamente proprio una delle competenze del counselor che agisce in funzione di un principio interculturale, riducendo col tempo le distanze psicologiche e gestendo e semmai valorizzando le differenze. Insomma è una sfida da cogliere, non un ostacolo da evitare.

Desidero inoltre far emergere quanto possa essere azzardato scambiare e ricevere feedback da un luogo o persona addirittura ignota. A parte qualche problema diciamo ‘politico’ nell’applicazione delle stesse tecniche e procedure, specie se non è possibile giuridicamente identificare il luogo geografico che  regola legislativamente l’operato del counseling. Potrebbe essere un problema di non poco conto. Dico che nulla può essere trascurato. Offrire sostegno e consulenza nella rete telematica può rappresentare un rischio del tipo ‘effetto paradossale’: per esempio quando siamo impegnati a seguire un soggetto per il suo problema di fobia sociale, permettendogli al tempo stesso di nascondersi! Col nascondimento si tratta a tutti gli effetti di un appuntamento al buio; c’è il rischio di falsità, di non poter cogliere incongruenze, sotterfugi o vere e proprie bugie da parte dell’appellante. Si potrebbero nutrire seri dubbi sull’autenticità della sua richiesta. C’è il rischio di poter subire minacce o intimidazioni da uno sconosciuto, di essere subissati dal cyberbullismo. E’ davvero importante considerare questa possibile e clamorosa discrepanza, quale per esempio occuparsi mediante sessioni di counseling via web di un soggetto che soffre di dipendenza da internet!

L’obiezione più facile è senza dubbio quella relativa ad una vera e propria assenza di feedback regolativi comunicazionali ad appannaggio esclusivo delle modalità comunicative cinestetico- specifica e mimico-facciale. Questa componente globale è decisamente quella più consistente nel processo comunicativo: determina la relazione stessa, e non la si può derubricare addirittura vedendone il vantaggio nella sua mancanza. Nel repertorio di competenze di un counselor è inclusa anche e soprattutto questa capacità di gestire l’intero momento comunicazionale nella sua complessa circolarità, e nel poterne fare a meno viene anche a mancare un imprescindibile requisito nel portfolio di abilità di un professionista dell’ascolto. Questo è per giunta un doppio svantaggio, visto che non solo perché viene sottratta al counselor la possibilità di osservare l’intero repertorio espressivo del cliente, perdendo informazioni preziose, ma viene meno anche la facoltà, da parte dello stesso professionista, di utilizzare il suo corpo per promuovere orientamento e dare direzione alla struttura relazionale in corso. Questa condizione potrebbe addirittura assumere una valenza vitale nelle situazioni di maggiore emergenza, laddove si rende necessario leggere e interpretare correttamente il linguaggio corporeo, magari di un aspirante prossimo suicida o altro.

Insomma, quello che voglio ribadire è come si possano esasperare proprio quelle caratteristiche disfunzionali sulle quali invece il cliente stesso lavora per il loro ridimensionamento accettabile. Un soggetto abituato a nascondersi e vergognarsi di sé o del suo aspetto fisico continuerà a farlo, e potrebbe da un momento all’altro lasciarci senza preavviso, interrompere cioè bruscamente il suo impegno di crescita e sviluppo, svincolato dal rendere conto almeno con la propria immagine e la propria reperibilità. E mi riferisco in particolare a quei casi in cui si consente al cliente di proteggersi col massimo dell’anonimato, ovvero venendo meno all’indispensabile criterio della fiducia nel concetto di alleanza fra specialista e cliente.

Sento inoltre di ribattere che anche nel contesto tradizionale può essere consentita l’archiviazione della sessione e la registrazione della stessa, se approvata formalmente dal cliente. E che peraltro, tale archiviazione potrebbe essere più sicura nella modalità di conservazione tradizionale che nelle cartelle informatiche, sempre così esposte ad utilizzi impropri da parte di eventuali estranei o pirati del software. Intendo inoltre replicare sulla necessità del contenimento e della sicurezza che deve essere offerto da un contesto dalle precise coordinate, quale è quello del setting spazio-temporale, in grado di metacomunicare stabilità e ordine nel processo di accoglienza e di sostegno alla persona.

Questo discorso è provato dal fatto che quando una persona può agire e intervenire dall’al di qua di uno schermo, le sue emozioni risultano amplificate, ed ecco allora che se uno è arrabbiato lo sarà ancora di più, se uno è impaurito lo stesso e così via con tutta l’altra gamma di emozioni, che potrebbero dare luogo a comportamenti non congrui con la reale portata emotiva a carico del soggetto.

Ma forse, il rischio decisamente più rilevante che si corre consiste nel trasformare una relazione a distanza non bene definita in un sottile e invischiante gioco di proiezioni, in grado di attivare drammi ed aspetti disfunzionali delle parti coinvolte.

Altro limite da contestualizzare però nel tempo, e quindi relativo all’epoca storica che stiamo attraversando, è che ancora una gran parte del target potenziale che costituisce la clientela del counseling, non si ritrova del tutto preparata culturalmente ad accettare questa tipologia di offerta alternativa a quella più nota e tradizionale, creando categorie sociali di veri e propri esclusi dai servizi”

 

Questo dibattito per l’appunto “virtuale” ci suggerisce di approfondire molti aspetti della questione.

Forse bisognerebbe chiedersi se davvero in un futuro il counseling come lo conosciamo noi oggi subirà una radicale trasformazione, o se prevarrà alla fine un modello combinato che prevede l’integrazione di entrambe le tipologie conosciute. Vale anche domandarsi se tale proposta si sposa con tutti i soggetti, se sarà possibile fissare e riconoscere precisi criteri di identificazione di un cliente adatto.

Infine, se questa pratica dovesse prendere piede e diffondersi a ritmi incalzanti, come sembra comunque avvenire, bene sarebbe che vi fosse parallelamente anche una politica di formazione atta a prevenire la chiusura all’accesso a chi non possiede ancora la connessione telematica o non è in grado di disporne in maniera efficace e produttiva.

Alla fin fine, in pratica, nonostante lo spessore immane dei cambiamenti in progress, la rotta verrà indicata comunque da un assetto di valori sociali la cui prerogativa consisterà nel prendersi cura in maniera efficace di chi richiede il servizio della consulenza e del sostegno, e di farlo compatibilmente con ciò che ciascuna epoca storica è in grado di offrire nel suo orizzonte di tempo.

 

dott. Nuccio Salis

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