L’obiettivo di questo lavoro, giunto al quarto step, è individuare un tipo di comunicazione che favorisca, in situazioni più o meno conflittuali, una mediazione tra le persone coinvolte che vada al di là del puro compromesso, spesso solo anticamera di futuri contrasti.
Un passo decisivo in tal senso è stato riconoscere che solo la sospensione del giudizio, ossia focalizzarsi sull’aspetto specifico del conflitto piuttosto che sulle componenti caratteriali di chi vi partecipa, permette la realizzazione dell’obiettivo.
Nello stesso tempo abbiamo evidenziato uno tra i principali ostacoli a che ciò accada e cioè l’emergere di una emotività negativa connessa ad una visione socio – culturale della comunicazione come strumento per affermarsi sull’altro invece che per esprimere e confermare il proprio punto di vista. La relazione, cioè, in tale ottica è luogo di scontro piuttosto che di confronto semmai anche aspro ma sempre centrato su argomenti specifici e non su sistemi di riferimento cognitivi e valoriali.
Il prevalere di emotività disfunzionale trae origine inoltre dalla nostra tendenza, in momenti di contrasto relazionale, a ritenere il modo in cui reagiamo alla difficoltà la sola possibilità comportamentale di cui, in quel momento, possiamo disporre anche se essa si rivela inadeguata e controproducente. In sostanza percepiamo il versante negativo dell’emozione come comprendente ogni altra risorsa emotiva. La paura bloccante o la rabbia distruttiva o la tristezza vissuta come perdita definitiva, connesse ai pensieri altrettanto negativi che le accompagnano, definiscono e completano ciò che noi sentiamo di essere in quel momento. Tale distorta percezione inevitabilmente finisce per alimentare la stessa emotività disfunzionale da cui trae origine generando un logorante circolo vizioso il cui argine, così stando le cose, non può che essere un momentaneo compromesso.
In caso di conflittualità, dunque, ci sentiamo spesso come un monoblocco capace di esprimere una sola e standardizzata modalità comportamentale.
L’ Analisi Transazionale, al contrario, sostiene che anche in situazioni conflittuali non siamo mai una sola persona vale a dire che persistono in noi, pur se in forma latente e fuori dalla nostra consapevolezza, ulteriori opzioni emotive/cognitive/comportamentali. Né che a pensieri negativi debba seguire necessariamente una reazione forte.
In cosa consiste, perciò, questo spessore tra stimolo e risposta oltre che tra pensiero negativo e risposta distruttiva ?
L’ A.T. distingue, nella struttura caratteriale di ognuno, tre dimensioni emotive/ cognitive/ comportamentali che definisce Stati dell’Io. Senza addentrarci troppo in questo tema, che resta il fondamento dell’intero corpo teorico, ci basti adesso ricordare che una di queste parti è detta Stato dell’Io Adulto 1.
Tale fattore caratteriale, continua l’ A.T., appartiene ad ogni individuo anche se non sempre se ne è consapevoli.
L’Adulto è la risorsa grazie alla quale la persona analizza i dati di realtà e da essa trae informazioni scevre da contenuti emotivi o etici, frutto di interpretazioni e rimandi, ed elabora azioni e soluzioni sulla base di quel che effettivamente è la realtà del momento.
Le altre due dimensioni della struttura caratteriale individuate dall’A.T. sono gli Stati dell’Io Genitore e Bambino.
Nel primo sono inclusi valori e comportamenti, riconducibili a figure parentali, appresi dall’individuo nel corso della sua infanzia ed adolescenza e che agiscono ancora nell’adulto ( cronologico ).
Lo Stato dell’Io Bambino, custode di emozioni, sentimenti, percezioni, sensazioni, rimanda alla fase in cui l’individuo bambino, o infante, ha incontrato il mondo ( essenzialmente quello costituito dalle cure genitoriali ).
Il Bambino, dunque, è il luogo dei bisogni e desideri, della creatività e della fantasia, di una tensione verso vissuti passati mediata dal confronto con il presente.
L’Adulto si pone, dunque, come spessore tra emozione/ pensiero negativi e reazione comportamentale “ forte “ .
E’ attraverso questo Stato dell’Io che la persona può realizzare la revisione delle proprie mete relazionali, scivolare da una emotività disfunzionale ad una funzionale ai nuovi scopi, superare la visione della comunicazione come strumento per emergere sull’altro.
In riferimento al tema che stiamo trattando, un processo di mediazione che non si risolva in un semplice argine alla conflittualità implica, perciò, l’attivazione dello Stato dell’Io Adulto di ognuno dei partecipanti.
A questo punto, comunque, si pone la solita domanda : trasferire attenzione ed energie intellettive da uno Stato dell’Io ad un altro, più congruo al contesto, è frutto di una semplice tecnica? Basta premere un interruttore interiore per realizzare lo scopo?
Evidentemente le cose non stanno così. La consapevolezza delle proprie risorse emotive/ cognitive/ comportamentali è l’esito di un processo informativo e formativo necessario lì dove non sempre è possibile l’intervento di un mediatore esterno o dove, rispetto a tale presenza, si auspica ad una definitiva autonomia.
1L’iniziale maiuscola evidenzia che non ci si riferisce ad un adulto cronologico ed in “ carne ed ossa “.
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