Collaborazione vs competizione: rivoluzione radicale per un pianeta abitabile

Inviato da Nuccio Salis

collaborazione competizioneSarà capitato a ciascuno di noi sentirsi chiedere se “si nasce o si diventa?” Basta un convegno, un corso, un incontro pubblico per illustrare e promuovere le proprie opere ed il proprio lavoro, e prima o poi qualcuno solleverà quella sua manina, c’è da aspettarselo, non si sfugge. Si parla di creatività, “si nasce o si diventa?”, di empatia, “si nasce o si diventa?”, di assertività, “si nasce o si diventa?” e così via. Il pensiero dualistico, che ha spaccato a lungo perfino il pensiero scientifico, scindendolo nelle due scuole dell’innatismo da una parte e dell’empirismo dall’altra, sembra avere contaminato irrimediabilmente il pensiero comune, rendendolo incapace di pensare i fenomeni psicosociali secondo un paradigma integrato. Superare la concezione di matrice dualistica nel pensiero scientifico occidentale sembra essere un percorso tuttaltro che compiuto e definito.  Occorrono ancora tanti sforzi, evidentemente, e fortunatamente  alcune declinazioni e campi di applicazione del counseling stanno aiutando un percorso di crescita e diffusione di una mentalità olistica, dischiusa quindi all’intero universo intrapsichico e relazionale dell’individuo umano come creatura capace di attivazione ed autonoma iniziativa.

 

Insomma, non ci rimane che superare la nota diatriba fra la filosofia idealistico-romantica del Rousseau, che imputa all’essere umano esclusivamente propensioni tendenti ad ideali nobili ed esaltanti, per natura, e la visione del soggetto umano homini lupus di Hobbes, pronto a screditare l’immagine idilliaca dell’individuo come agente positivo di socialità, presentandolo invece come una sorta di crudele caimano pronto a sopraffare il suo prossimo per egoismo e per autoaffermazione. Se pensiamo chi dei due ha ragione potremmo commettere anche noi l’errore di fondare un falso scientifico, con tanto di accreditamento accademico e riconoscimento culturale. Gli avvenimenti riportati dalla cronaca, i vissuti e le percezioni personali, le convinzioni maturate da concezioni dell’uomo come erede del toporagno o dominato da impulsi incontrollabili, ci porterebbero a votare per Hobbes. In siffatto modo, naturalmente, per amor di onestà intellettuale, dovremmo ammettere che anche noi siamo homini lupus. Se pensiamo in alternativa che abbia ragione l’intellettuale di Ginevra, la musica non cambia: siamo sempre dentro gli steccati del dualismo. Questo, infatti, tradotto nel linguaggio del dualiano che non si perde un convegno, suonerebbe così: “Si nasce buoni o cattivi?... o si diventa?”

Il fatto è che sto cercando di scrivere qualcosa sul tema della cooperazione vs competizione, e mi chiedevo… “ma cooperativi si nasce o si diventa?” Scherzo, naturalmente. In ogni caso, se cominciamo a racimolare spiegazioni secondo un approccio a carattere biologico, gli evoluzionisti cominceranno a spiegarci  che è nella legge della natura competere, e che questo fenomeno è funzionale alla conservazione e continuità di ogni specie. In natura, infatti, la specie che prevale guadagna il successo riproduttivo e sgombera la rivale, garantendo l’equilibrio dell’ecosistema. Sembra crudele, ma la natura non conosce morale. I cuccioli con difetti congeniti e malformazioni non vengono riconosciuti dalla specie e vengono abbandonati e lasciati morire, gli anziani vengono destituiti dal branco perché non più in grado di assolvere funzioni di riproduzione o difesa; i maschi lottano furiosamente per ingravidare le femmine e spesso si feriscono e vengono allontanati, perché feriti e deboli rendono vulnerabile anche il gruppo. In natura, spesso, ognuno fa per se, se sei forte sopravvivi, se sei debole soccombi:  il cerbiatto più lento viene raggiunto dal felino inseguitore e gli ippopotami non hanno la cassa integrazione.

Certo che, questo paradigma, applicato alla vita dell’essere umano, significherebbe giustificare l’eccidio eugenetico di invalidi e menomati. Significa che solo gli uomini alti, prestanti e muscolosi possono accoppiarsi con le femmine; per fortuna noi abbiamo inventato la carta di credito. E già, allora mi sa che questo parallelismo darwiniano è un tantino pittoresco.

L’essere umano, infatti, ha maturato strutture sociali che non trovano pari in nessun’altra specie. Nessuna specie, infatti, può competere con l’uomo nel controllo delle risorse del pianeta, solo l’uomo stesso, che, paradossalmente, se le contende, provocando collassi all’ecosistema e generando disgregazione sociale. Quindi, se competere e confliggere è funzionale e addirittura necessario, in natura, l’essere umano non potrà permettersi di avere una lunga aspettativa di vita, come specie, soprattutto a livello di qualità di vita, se persevera nell’organizzare la sua società civile planetaria secondo modelli esclusivamente legati alla selezione, all’esclusione e alla competizione, dove il più debole, cioè  il più povero, l’emarginato, il profugo, fanno la parte delle prede destinate ad essere espropriate del loro territorio. Se vorrà sopravvivere, ed anzi, degnamente vivere, l’ospite di questo pianeta dovrà imparare a collaborare, a rovesciare cioè i modelli di una società che ha fatto del conflitto e della lotta per il potere il suo (dis)valore principale di riferimento, che rappresenta le coordinate principali ed il punto centrale intorno a cui si svolge ogni evento della vita di ciascuno di noi. La competizione è naturale, è vero, ma difficilmente è avvertita o vissuta con una sana rivalità, cioè corretta, costruttiva, tendente al miglioramento delle parti in gioco ed ispirata a sentimenti di lealtà e cavalleria. Essa, piuttosto, degenera molto facilmente nella deliberata sopraffazione, nello smodato desiderio di essere i primi, i vincitori, i più acclamati, i medagliati, con a cascata tutti gli atteggiamenti di disprezzo, invidia e rifiuto che si provano. Costruire gruppi efficaci di lavoro, infatti, è attualmente uno degli impegni più gravosi ed obiettivi più ambiziosi che si possa immaginare di programmare. Da tempo immemore, infatti, i modelli di comportamento nei gruppi si sono ispirati alla cultura della competizione con vinti e vincitori, secondo il principio bestiale di mors tua vita mea. L’essere umano sarà chiamato su questo punto a modificare la sua genetica, a rifondarla e riscoprirla anche sulla base di tutte quelle nuove scoperte (si pensi alle neuroscienze e alla fisica quantistica) che sono molto più importanti a livello etico dei neutrini e della bomba H. Come può l’uomo rimanere indifferente di fronte alla scoperta dei neuroni specchio o del “cervello del cuore”, dal momento che la portata di tali argomenti lo devono indurre a ripensarsi dentro nuovi contenitori di valori, dove dovrà reinventarsi come essere sociale, e radicalmente modificare tutti quegli schemi ed abitudini rinforzati anche dal clima socio-culturale e da tutte le sue determinanti politiche in senso ampio. L’uomo non sopravviverà perché riuscirà ad andare su Marte, a far che, a fare strutture di sabbia o far detonare missili al plutonio? L’uomo si potrà dare una possibilità se rivoluzionerà il sistema basato sulla competizione, che produce guerre fratricide, penuria, miseria umana, sofferenza, aberranti ingiustizie, discriminazioni e mostruosità di ogni genere, a favore di un’organizzazione che poggia su inattaccabili radici di un umanesimo cosmico. Dovranno dunque essere i rapporti di solidarietà, di partecipazione attiva e i processi decisionali largamente democratici, a prevalere sulle rovine di un vecchio mondo da seppellire. Per fare questo, naturalmente, oltre ad un necessario sforzo comune da parte di tutte le agenzie deputate a promuovere processi educativi, l’uomo dovrà prima di tutto iniziare a crederci!

 Volare è stato possibile non soltanto perché sono stati messi i bulloni al posto giusto, ma perché due ingegneri sognatori volevano fare questo regalo al genere umano, che irriguardosamente li scherniva, come oggi si fa verso i portatori di pace. Sviluppare le abilità prosociali si può, soprattutto se si dimostra che l’essere umano ha tutto da trarre giovamento dal gruppo. Se vogliamo stare nel tema della natura, infatti, se da una parte essa persegue il suo equilibrio nella corsa alla sopravvivenza mediante competizione, è anche vero che una sola leonessa non può uccidere (in fretta e senza rischiare di perderla) una grossa preda, e difenderne poi la conquista se gli appartenenti al branco non accorrono per aiutarla. E che dire degli elefanti? L’animale più forte della Terra si muove in branco, proteggendo i membri più anziani e sofferenti, e soprattutto mettendo al centro i cuccioli, rendendoli intoccabili e formando un gruppo coeso di corpi mastodontici che tengono alla larga chiunque. Anche la natura, dunque, conosce il successo selettivo mediante coesione e supporto. Il detto l’ “unione fa la forza”, per quanto semplificativo resta comunque edificante. Certo, il lavoro da fare è veramente immenso. Una quantità incalcolabile di persone, per varie ragioni psicologiche, ha strutturato legami di dipendenza col prossimo, o è comunque portata a cinturarsi con l’altro da se secondo questa modalità disfunzionale.

I programmi di apprendimento cooperativo, a questo proposito, prevedono infatti lo sviluppo della qualità dell’interdipendenza. Essa definisce con estrema chiarezza la possibilità di pensarsi come utili all’interno di un gruppo, allo stesso modo con cui gli altri lo sono, per le loro diverse abilità, competenze e profili identitari. L’interdipendenza mette tutti sullo stesso piano, riguardo all’attribuzione di valore e poi in merito alle conseguenze sulla qualità della relazione. L’interdipendenza non prevede né Salvatori o Persecutori né Vittime. Essa provvede a prevenire e spezzare ogni ipotesi di simbiosi. Grazie all’interdipendenza siamo tutti OK. Tale concetto è così importante che non mi astengo mai dal farlo leggere a qualcuno durante i miei corsi. Lo riporto secondo l’enunciato che propone Pio Scilligo:

“L’interdipendenza relazionale si verifica quando le persone interagiscono secondo una modalità che non si limiti alla situazione di semplice richiesta di informazione di ritorno sul proprio modo di agire per scopi di auto-monitoraggio, perseguono obiettivi propri e nell’interazione ognuno cerca di regolare i propri obiettivi tenendo conto anche degli obiettivi dell’altro”.

 L’interdipendenza deve costituire il nuovo substrato psicologico da cui partire per intessere nuovi rapporti sociali mediante valori che già conosciamo ed in parte applichiamo, ma che tendono ancora di germogliare per divenire il patrimonio abituale dell’intera umana, non soltanto una encomiabile eccezione. Sviluppare le capacità prosociali, secondo una chiave olistica, deve essere il compito principale di una società educante, di una comunità allargata che si prende cura dei bisogni educativi di ogni soggetto umano di qualunque ceto e condizione, per costruire quella nuova civiltà dove un giorno (spero il più vicino possibile) il lupo pascerà con l’agnello, e dunque i dualismi scompariranno, sostituiti da una visione integrata, dinamica e complessiva di ogni fenomeno, di modo che realizzare l’impossibile sarà uno sforzo auspicabile e verificabile, e l’energia creativa potrà finalmente erogare, urlando tutta la sua gioia. 

Potrebbero interessarti ...