Le dinamiche di gruppo secondo il modello di Karpman


stephen karpmanL’obiettivo di quest’articolo è sottolineare come lo schema teorico Vittima – Persecutore – Salvatore, ideato da Stephen Karpman, sia utile non solo per studiare le relazioni tra singoli individui ma anche per dare senso, in alcune circostanze, alle dinamiche di gruppo.

Per tali si intendono, in estrema sintesi, le modalità con cui i suoi membri agiscono ed interagiscono per realizzare lo scopo, dichiarato e manifesto, da essi  condiviso.

Per meglio definire il nostro campo di azione è opportuno specificare, anche se sinteticamente, alcuni concetti su cui si struttura l’argomento di cui ci occuperemo.

 

- Gruppo:

per tale si intende un evento relazionale e non solo quantitativo. Il gruppo, cioè, rappresenta il risultato di ciò che accade, in termini emotivi/ cognitivi/ comportamentali, tra le persone quando  si mettono insieme sulla base di obiettivi comuni.

 

- Cosa distingue il Gruppo da altre forme di aggregati umani  ( es. folla, pubblico, massa ) :

alto grado di interazione;

 

scopo comune;

 

identità comune;

 

alto grado di controllo ed organizzazione interni ed informali;

 

alto grado di consapevolezza di appartenenza al gruppo.

 

- Obiettivi:
le mete manifeste del gruppo sono diretta conseguenza della sua natura
( religione, politica, sport,ecc ) ossia del suo valore fondante.

L’obiettivo può essere transitorio ( un problema occasionale e specifico per la cui soluzione le persone si riuniscono ) oppure strutturale e persistente.

 

- I ruoli :

nel gruppo la relazione è tra ruoli.

Ruolonon è solo compito/ funzione ma anche veicolo di convinzioni, idee, opinioni, aspettative, motivazioni.

Il ruolo, punto di incontro tra soggettività e collettività, nasce dalla consapevolezza delle attese altrui nei propri confronti e di quelle proprie verso gli altri. Il comportamento di ruolo è il risultato dell’integrazione tra questi due tipi di istanze.

 

- La leadership:
spesso si confonde il leader con il capo. In  organizzazioni di ridotte dimensioni le due figure coincidono ma in  collettività più estese la separazione tra i ruoli è netta.

Il capo è chi stabilisce i compiti pertanto deve  avere il polso delle capacità e delle attitudini, rispetto a quanto deve essere svolto, di ogni membro del gruppo.

 

E’ colui che dice cosa fare, dove e quando, stabilisce le regole ed è attento affinchè esse siano rispettate.

Il leader definisce gli obiettivi rispetto ai quali si impegna a coinvolgere le energie materiali, morali e psicologiche proprie e dei membri del gruppo.

L’autorità del capo viene riconosciuta in base alla sua competenza.

L’autorità del leader è data dall’essere e dal fare.

La forza del leader è il carisma, sintesi di esempio/ competenza/ qualità morali, dote non sempre definibile in base alla pura logica in quanto contiene una forte componente emotiva.

 

- Il concetto di Triangolo drammatico:

Stephen B. Karpman, uno studioso statunitense, nel 1968  scrisse un articolo in cui indicava, nel triangolo drammatico, un modello comportamentale secondo cui le persone, quando si relazionano, spesso assumono una posizione esistenzialedi Vittima oppure di Persecutore o di Salvatore. Tale collocazione si esprime attraverso un ruolo non dichiarato ma ad alto contenuto emotivo e simbolico.

E’ proprio questo ruolo, secondo l’Autore, che orienta nei fatti la comunicazione al punto che agire da Carnefice o Salvatore, oppure da Vittima, diventa spesso l’obiettivo prevalente della relazione nonché la sola modalità comportamentale riconosciuta come legittima.

Sia chiaro che ci riferiamo a meccanismi al di fuori della coscienza vigile e che poco hanno a che fare con i ruoli sociali ( è il motivo per cui sono indicati con l’iniziale maiuscola). Sono automatismi in cui ci si ascolta poco e si filtra attraverso i propri vissuti la realtà che a quel punto non è più un complesso di stimoli ambientali ma è essa stessa, da sola, l’esterno ed l’interno. Persecutore, Salvatore e Vittima, insomma, intendono tali sé stessi e gli altri a prescindere da ogni concreto esame di realtà.

 

Per giungere ad una migliore definizione della problematica di cui ci stiamo occupando è opportuno, a nostro avviso, effettuare ulteriori specificazioni. 

Nella dinamica del triangolo drammatico la percezione che la persona ha del proprio ruolo, che sia di Vittima o Salvatore oppure Persecutore, è da distinguere da come la  medesima posizione viene vissuta all’esterno.

Intendiamo dire che, ad esempio, un soggetto è capace di  sentirsi Vittima in quanto ritiene di potere solo soggiacere agli eventi, di non possedere dunque alcun genere di risorsa per agire su di essi.

Nello stesso tempo, però, la passività che segue tale percezione di sé  può essere sperimentata dall’esterno (il singolo o il gruppo con cui quella persona è in relazione continuativa o episodica) come un comportamento che si impone e non si propone, rispetto a cui, cioè, non c’è alcuna possibilità di confronto e trasformazione. E’ pertanto un modo di agire che determina, nel contesto relazionale, un blocco della comunicazione .

 

La dissonanza tra riconoscimento interno ed esterno del medesimo ruolo è ipotizzabile anche nella circostanza in cui il soggetto si senta Salvatore o Persecutore.

 

Consideriamo, a questo punto, la relazione tra il gruppo ed il suo leader alla luce delle precedenti argomentazioni.

Abbiamo già elencato quelle che sono le condizioni attraverso cui si realizza la leadership.

Tali circostanze rappresentano l’esito, oltre che di evidenti doti caratteriali della persona che si pone e si propone come leader, di una chiara consapevolezza del proprio ruolo rispetto al gruppo, delle istanze del collettivo verso la leadership e di quali richieste questa può rivolgergli, dati contesto e risorse ( tra cui inseriamo anche il grado di coesione interna ).

L’intervento, però, di variabili emozionali e cognitive impreviste ed indesiderate può generare, tra leader e gruppo, il medesimo meccanismo Salvatore – Vittima – Carnefice che si riscontra nei rapporti a due.

La tipologia delle dinamiche che in queste situazioni  può prodursi è:

a) leader : Salvatore /  gruppo : Vittima

Questo processo si realizza in genere quando il primo si percepisce non più come guida e riferimento bensì come sostituto di un collettivo vissuto aprioristicamente ( vale a dire senza conferme esperienziali ) inadeguato a tradurre in realtà gli obiettivi.

Da questo genere di percezione è ipotizzabile che derivi una leadership invasiva e pervasiva  che sarà sperimentata, dal gruppo, come persecutoria, iper - critica e bloccante. Il leader, in sostanza, non guiderà più il collettivo ma si sostituirà ad esso.

 

b) leader : Persecutore / gruppo : Vittima

Tale evento relazionale si verifica, come già detto, come esito della circostanza precedente o quando il leader, spinto dalla svalutazione riguardo le capacità del gruppo, assume un atteggiamento giudicante allo scopo di alimentare la motivazione del collettivo verso la realizzazione della meta.

 

c) leader : Vittima / gruppo : Persecutore

 E’ un mutamento di posizione che esprime la frustrazione avvertita dal primo se e quando avverte ( non necessariamente in base a dati concreti bensì a seguito di distorsioni cognitive quali, ad esempio,  aspettative grandiose riguardo sé e/ o gli adepti ) di non essere apprezzato dal gruppo.

Una siffatta dinamica può essere anche l’esito della modalità b) . In ogni caso il leader sperimenta un senso di inutilità,  disagio, demotivazione .

 

Qualsiasi tipo di dinamica si concretizzi tra quelle indicate, essa rappresenterà comunque l’esito della distorsione del ruolo della leadership, segno di una inefficace comunicazione tra  vertice e gruppo .

Pertanto, così come nel caso delle relazioni a due, un riallineamento delle posizioni su livelli paritari , dunque dell’uscita dal triangolo drammatico, diventa ipotizzabile solo attraverso un ripristino dei canali comunicativi tra leader e collettivo.

In ogni caso, oltre l’elemento spiccatamente tecnico e pragmatico che caratterizza le procedure adottate, ogni conferma o variazione normativa necessita, quale sua inevitabile premessa, di un’amplificazione delle disponibilità e capacità del leader all’ascolto.

 

Ascoltarevuol dire, per chi è guida e riferimento, acquisire consapevolezza delle istanze manifeste, ma prevalentemente non manifeste, del gruppo ( quale insieme relazionale ) e dei suoi singoli membri .

L’ascolto dell’altro, che sia singolo o collettività, in ogni caso non può avvenire nel senso indicato se non come risultato della disponibilità e capacità, da parte del leader, a riconoscere, accogliere ed ascoltare le

proprie istanze (emozioni, sentimenti, percezioni, convinzioni, pregiudizi, motivazioni, aspettative) riguardo sé stesso/ a  ed il gruppo.

Questa disponibilità, legata alle procedure esperienziali indicate, è, dal nostro punto di vista, il solo strumento adatto a prevenire o interrompere la dinamica Vittima – Salvatore – Carnefice in cui leader e gruppo possono a volte cadere, con esiti drammatici ( demotivazione, frustrazione, disagio ) sia sul piano personale che sociale.

                                                                                                                                

 

 

  

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