Una corretta relazione terapeutica, condotta in ambito specialistico, necessita di una struttura che offra contenimento e sicurezza. Da una parte si pone dunque come una proposta in grado di garantire a ciascun cliente un percorso in cui potrà affidarsi a itinerari collaudati e provvisti di robuste certezze e conquiste sotto il profilo clinico e scientifico, dall’altra colloca il professionista dentro un ruolo su cui egli può contare sotto l’aspetto delle competenze e degli strumenti di cui lo stesso è equipaggiato. Al tempo stesso, chi riceve ed ascolta il cliente condivide con lo stesso la responsabilità dell’evento in divenire, in merito al progetto in atto, misurandone l’efficienza durante il percorso svolto. Diventa cioè possibile rimandare al cliente la co-verifica dei risultati raggiunti, richiamando lo stesso all’impegno e all’automonitoraggio delle proprie mansioni operate al di fuori del setting. Dentro una prospettiva collaborante e di co-creazione, a tale opzione deve peraltro essere ascritta una decisa nota di merito.
Laddove è possibile sviluppare la compliance attiva da parte del cliente, maturandone la sua struttura integrante, si procede sottoscrivendo insieme allo stesso un patto terapeutico che esplicita le richieste e delinea le profonde ragioni per le quali ci si è appellati all’interno di una relazione di aiuto, cogliendo cioè la propria domanda interna con l’impegno di trasformarla in comportamenti adeguati che producano risultati efficaci e tangibili.
Tale alleanza bilaterale, non può comunque essere più schematicamente ridotta a uno schematismo semplice secondo il quale le parti risultano in interazione reciproca fra di loro ma astratti rispetto ad un ampio contesto socio-culturale che li contiene. Dentro i processi del confronto e dello scambio, infatti, si inseriscono variabili quali le aspettative e gli effetti sociali delle proprie scelte. Quindi si considerano le ricadute delle proprie azioni non soltanto in termini strettamente individuali. L’individuo è sempre entità in relazione, e lo stesso evento dell’incontro in setting potrebbe inoltre avvicendarsi all’interno di un ente o di un’istituzione i cui regolamenti interni possono avere un’influenza nell’esercizio della propria professione, vincolata ai criteri di efficienza e di controllo dei quadri normativi dichiarati dalla struttura dentro cui si svolgono i fatti.
Esiste dunque, insieme alla coppia counselor/cliente, un terzo soggetto che produce di fatto una triangolazione, a sua volta situata all’interno di una mappa ecologica ancora più estesa, e che re-indirizza comunque all’analisi accurata ed approfondita di tutti i fattori combinati nella complessa relazione di aiuto.
A questo punto, peraltro, è indispensabile considerare quanto l’operatore provveda ad effettuare il suo intervento sentendo più l’alleanza e le pressioni da parte della ragione “politica” dell’ente o associazione di cui fa parte, rispetto alle reali ed autentiche esigenze di cui è portatore il cliente. È necessaria un’attenta riflessione su questi punti critici, in modo da non disperdere il valore insito nella domanda di aiuto di cui il cliente è primo interprete.
Dal punto di vista schematico, quindi, si articola una struttura triangolare piuttosto curiosa ed anche suggestiva, che potrebbe essere configurata come la seguente:
ISTITUZIONE
COUNSELOR CLIENTE
Fino a che tale triangolazione prevede il triangolo equilatero, può significare che il rapporto fra istituzione/counselor/cliente è sostanzialmente equidistante fra le parti in termini di riconoscimento di diritti, istanze e doveri, con al vertice comunque l’ente di controllo. Diverso è il caso in cui una istituzione ospita al suo interno un cliente verso il cui interesse si applicano le forme e le procedure standard previste dai protocolli di intervento in linea con i principi e le finalità dell’ente. IL counselor, a quel punto, ridimensiona tempi ed obiettivi in funzione dell’organizzazione a cui deve rendere conto come dipendente o saltuario collaboratore. L’alleanza appare più solida fra le parti deputate all’intervento. Le richieste intrinseche al cliente, potrebbero non essere accolte ed accettate incondizionatamente per come si presentano, e ciò potrebbe generare una distanza psicologica di non poco conto fra lo stesso ed i soggetti a cui si affida per la sua crescita e la sua tutela. Pressappoco, per dare un’idea, il triangolo può essere rappresentato così:
ISTITUZIONE
COUNSELOR CLIENTE
Dal punto di vista figurativo, in pratica, si passa dal triangolo equilatero a quello scaleno. Ciò rende più complicato il passaggio significativo al cambiamento a cui è chiamato il cliente.
La psicologa Petruska Clarkson ha distinto 5 possibili tipologie di percorsi, legati proprio alla qualità e alla volontà di cambiamento del cliente. Ha associato a ciascuno di esse un mito, rendendone le spiegazioni più suggestive, pertinenti e più facili da ricordare:
.a) IL cambiamento “stile Odissea”, ricorda un percorso tortuoso, accidentato e pieno di errori, che come Ulisse poi riesce comunque nell’impresa di ritornare nella sua patria perduta, rinnovato nello spirito.
.b) IL cambiamento apparente prevede un piccolo passo che non apporta significative trasformazioni nella vita del soggetto, che sostanzialmente decide di rimanere intrappolato a replicare i suoi drammi come unica ipotesi di controllo, sicurezza, contenimento e gestione dell’imprevisto. Come la ninfa Eco che respinta dall’amato Narciso si ritira nella grotta che le rimanda soltanto la sua voce.
.c) L’accettazione compiacente riflette il comportamento di chi, nella convinzione di sviluppare autonomia, sta invece realizzando inconsapevolmente la paventata profezia di sventure e drammatici scenari. La mancanza di assertività e di chiarezza dei propri bisogni ed obiettivi, può rendere sicuri solo fino a che qualcuno stimola a proseguire. In mancanza di tale presenza, la persona non basta a se stessa e si disorienta, precipitando dalla sua illusione all’attivazione di un dramma dall’increscioso finale. Come Edipo, che pur elevatosi a Re, scopre di essersi congiunto con la madre e si acceca dalla vergogna e dal disonore.
.d) La non accettazione o il mancato calcolo del rischio, può implicare l’assunzione di comportamenti diretti al raggiungimento eclatante della soluzione, con un epilogo infruttuoso e infelice. La convinzione di essere dotati di risorse adatte, o sovrastimate rispetto allo spessore del problema da fronteggiare, può far capitolare per via di comportamenti di azzardo che non tengono appunto in debita considerazione la discrepanza nel rapporto risorse/competenze, producendo aspettative illusorie e irrealistiche di successo. In mancanza di adeguata protezione, In mancanza di adeguata protezione, il tutto si conclude nel ritrovarsi avviliti e costretti a fare i conti dei propri limiti. Il mito collegato rievoca il tragico volo di Icaro.
.e) IL finale volgerà verso l’autodistruzione quando si è trascorsa una vita a rafforzare le proprie errate convinzioni, sabotando ogni proposta di aiuto, per compiere l’epilogo già scritto del proprio annientamento. È quello che in analisi transazionale prende il nome di copione amartico di terzo grado. IL mito associato è quello di Medea.
L’aggiunta di questi preziosi ed arricchenti contenuti ci introduce inevitabilmente a considerare quanto sia intricata e complessa l’opera diretta alla relazione di aiuto. Stabilire contratti che contengano elementi funzionali include un impegno la cui realizzazione ci obbliga a prenderci cura di una costellazione complessa di aspetti e di elementi interdipendenti ed intrecciati fra loro. Tenute in considerazioni queste imprescindibili premesse, può essere sempre agevole ricordare le caratteristiche principali attraverso cui formalizzare il senso e la struttura dell’alleanza terapeutica. Ne parlano con competenza Ian Stewart e Vann Joines, noti autori ed osservatori dell’orientamento analitico-transazionale, i quali elencano i criteri del’efficacia dei contratti di crescita e training, sviluppo e potenziamento delle risorse umane:
.1) Formulazione positiva. In termini verbali, è più che frequente e quasi certo che qualsiasi cliente esprime di se stesso tutto secondo un linguaggio concentrato prevalentemente sulla negazione, sulla mancanza, sul deficit e sulla privazione, raccontando di ciò che non ha, che non può fare, di ciò che gli manca in termini di risorse, competenze e abilità. Aiutare a definire il problema in termini di riconoscimento e sviluppo delle risorse residue, e trasformare le proibizioni interne in permessi sarebbe di quanto più promettente si riuscirebbe a fare nell’interesse del cliente in termini di autogestione di sé.
.2) Realismo e verificabilità. Tutti gli obiettivi proposti ed eventualmente enumerati nel contratto, devono possedere il carattere della effettiva realizzabilità, al fine di far procedere il cliente su una piattaforma sicura e nell’impegno di sviluppare realmente risorse e potenzialità che poi possono essere investite nel raggiungimento misurabile degli obiettivi. La realizzabilità della conquista ridimensiona nel cliente la qualità delle sue percezioni. Lo rende maggiormente concreto, autonomo e propenso alla pianificazione secondo regole legate a principi logici e causali. Secondo l’ottica analitico-transazionale si parlerebbe di “ri-adultizzazione”.
.3) Specificità e osservabilità. Ciascun obiettivo deve rispecchiare le reali e profonde richieste e aree dei bisogni del cliente, che va protetto da rischi o atti contro la sua natura personologica e la sua etica. Pertanto ogni obiettivo va calibrato in virtù delle circoscritte peculiarità dell’individuo, che ha diritto di poter contare sul potenziamento delle proprie abilità, nel rispetto delle proprie inclinazioni e della sua autenticità. Sarà egli stesso, infatti, a monitorare l’espressione dei propri bisogni realizzati attraverso il suo percorso ed il suo impegno che ne promana.
.4) Liceità. Le rivendicazioni del cliente sono da considerare entro i limiti previsti dalla legge al di sopra degli statuti che normano le professioni. Il cliente va difeso da eventuali sue stessi attitudini improprie ed intenzioni a carattere illecito. E dunque dissuaso a commettere azioni discutibili, spregevoli o irriguardose. Egli deve essere messo a conoscenza che in tal caso, peraltro, il professionista è obbligato a svincolarsi dal segreto, per non rendersi complice di atti non leciti.
.5) Accettazione della perdita. Perseguire il cambiamento include un rinnovamento tale che spesso mette alla porta le proprie sicurezze e ci allontana anche dalle nostre conquiste più certe e dalla prevedibilità degli eventi, mettendoci in discussione per ritrovarci in una dimensione più autentica e aperta di nuove ipotesi e possibilità di svolta. Questo include un preventivo ed oculato bilancio di costi/benefici e la considerazione che ciascun vantaggio comporta lasciare alle spalle qualcosa che ritenevamo magari anche prezioso. La gestione del lutto e della perdita è un argomento toccante e delicato, che merita peraltro approfondimenti speciali e rigorosi.
.6) Condivisione, impegno e pratica. IL cliente è richiamato a comprendere, fin da subito, che egli è l’unico titolare della sua impresa di cambiamento, e che l’aiuto che gli si offre è un ausilio temporale a vantaggio della sua autonomia. Soltanto attraverso tale ottica può avvenire un percorso di counseling, rivolto a personalità sane ed integrate, che si assumono la responsabilità di accogliere in vivo le dinamiche del cambiamento.
Prima di cominciare, dunque, a seguito di preliminare conoscenza, è opportuno definire un piano di lavoro che riporti criteri che stabiliscano la possibilità di condividere un percorso realmente costruttivo e fecondo. Tale struttura, ridimensionata nella flessibilità operativa e nella cordialità del rapporto fra le parti, rimane comunque necessaria per indicare una rotta, dare permessi e sviluppare potenzialità in un contesto protetto, affermando la validità scientifica e pianificata della relazione di aiuto.
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