Facilitare l'esplorazione del significato. L'approccio logoterapico come strumento di aiuto

Inviato da Nuccio Salis

motivazione forzataCosa rende veramente l’esistenza degna di essere vissuta? Per quale ragione un individuo dovrebbe manifestare la volontà del vivere, del proseguire il suo cammino non soltanto perché si nutre, respira o si da al totoscommesse? Ciascuno di noi coglie l’essenza della propria vita dall’attimo in cui ne ricava anche la sua utilità. E quando un soggetto umano percepisce tale utilità? Forse dal momento in cui ne coglie e ne deduce uno scopo. Avere un fine da realizzare, una direzione da percorrere, un obiettivo da raggiungere, significa accostarsi ad un impegno che offre il perimetro dentro cui si costruisce il proprio orizzonte di senso, e se ne segue la rotta per la sua possibile concretizzazione. Ciascuna persona acquisisce il senso pieno e maturo della propria esistenza nell’istante in cui incontra totalmente se stesso ed il proprio scopo. E poiché si nasce già se stessi, si è già portatori del proprio scopo, almeno fino a quando questo viene adombrato o celato da una costellazione di bisogni esulanti dalla sostanza individua che abbiamo il compito di elevare a piena forma.

Molti degli scopi che ci poniamo sono la risultante fra bisogni massificati indottrinati dall’esterno ed ambizioni personali adatte a raggiungere le mete indicate dai primi. Molto spesso, dunque, il senso della vita viene affidato al nostro ruolo sociale, allo status, ed ai suoi socialmente graditi principi legati al tema della stabilità, della sicurezza economica, del matrimonio; in buona sostanza di tutti quei parametri riconosciuti dalla collettività che, facendo parte di sovrastrutture a carattere storico, sono destinati a trasformazioni che ne svelano nel tempo la loro relatività, la loro caducità o addirittura fallacia. Il ruolo sociale, a quel punto, smette di rappresentare le autentiche, profonde e sane velleità di un individuo, e costui entra puntualmente in “crisi”.

Un uomo spogliato di tutti i falsi miti, costretto alla nudità e alla trasparenza, che proprio come chi si ritrova nudo e prova vergogna per il proprio corpo esposto, rivolge tutto il suo imbarazzo alla sua anima, quando invece né il corpo né l’anima meritano di essere osservati con abominevole ignominia, anche se su questo pianeta si deve spiacevolmente constatare che accade proprio questo.

Allora, mi chiedo con una certa ridondanza, poiché svolgo un’attività di sostegno psico-sociale alla persona, se è sufficiente organizzare una scala di bisogni a cui tendere sotto l’aspetto progettuale per avere la certezza di adempiere al proprio ruolo di temporanei facilitatori di un percorso di crescita. Mi rispondo che questo aspetto è certamente rilevante, e che al tempo stesso è utile domandarsi se la tassonomia dei bisogni è realmente, fino in fondo, quella autenticamente valida nei confronti della persona a cui dedico la mia cura educativa. Chi siamo per sapere di cosa hanno bisogno veramente gli altri? E se ci sbagliassimo? E se portassimo l’individuo al di fuori della sua piena autenticazione? Se ne travisassimo i vissuti, fuorviandone i percorsi di individuazione? Quale oltraggio si compierebbe nel non essere totalmente rivolti all’ascolto della voce interiore del nostro prossimo, del suo daimon portatore della vera essenza, che pre-esiste a ogni forma preconfezionata di identità, di ruoli o di status sociali.

Come agire, allora, per non ritrovarsi paralizzati da un senso di giusta sacralità che si deve all’individualità di ciascuno? Tale consapevolezza, infatti, se da una parte mi ricorda che in ciascuno di noi abita già la verità, depositaria del motivo per il quale esistiamo, dall’altra tale considerazione sviluppa in me sempre una forma di attenzione particolare alla quale, comunque, una volta che ci si incarica dell’impegno di prendersi cura dell’altro da noi, bisogna pur assolvere.

Procedo, di solito, cercando di attivare nell’altro, riservatamente alle sue presenti ed attuali capacità, l’esplorazione di bisogni e significati che sottendono a quella genuinità primigenia verso cui è possibile guardare e quindi recuperare e riscoprire, fortificandosi nel giusto valore di se. Scoprire i propri bisogni autentici equivale a riconquistare un senso di se a valenza autoaffermativa, ed al tempo stesso vuol dire aprirsi a valori che meritano di acquisire un rinnovato spessore. Significa cioè implementarsi a nuova vita, ad una straordinaria e possibile esperienza di rinascita che spalanca a una visione complessiva delle cose e che, infatti, può rivelarsi all’inizio anche come un accadimento di natura destabilizzante. Del resto è proprio nella inevitabile fase di transizione che acquista piena legittimità e pertinenza la figura del counselor.

Partire dunque dall’esplorazione dei bisogni esercita nell’altro una visione articolata del proprio sistema di valori. Non è pertanto più ammesso percepirsi come soggetti passivi, quanto invece come costruttori di una propria scala gerarchica di valori attraverso i quali profilare in termini pienamente attivi la propria esistenza. Scegliere diventa l’atteggiamento funzionale per assumere decisioni responsabili, riflettendone e saggiandone le conseguenze sociali, lasciando sempre margini flessibili di ridimensionamento e ridefinizione. Saper scegliere significa maturare una colma consapevolezza di se, del proprio statuto individuale e del corollario di principi e valori a cui esso è ispirato.

Tutto ciò diventa molto più che un atteggiamento resiliente, poiché diviene la piena assimilazione di un proprio disegno personale che si delinea coincidendo col senso stesso della vita. E questo non soltanto è protettivo, ma è la meta più assoluta verso la quale far tendere.

Quindi, se mobilitarsi per ricercare i propri bisogni significa crearsi uno scopo, significa anche allargare la propria dimensione motivazionale, espandendola in modo ramificato, e cogliendone la complessità, come anche al tempo stesso il suo rispettivo nucleo fondativo: il significato.

L’essere umano va perciò aiutato a scoprire il motivo ed il significato della propria esistenza. Offrire un aiuto efficace significa aderire a questo piano di concetti.

Di quali strumenti disponiamo, come operatori dell’aiuto, per indicare al richiedente il nostro sostegno e la nostra consulenza un adeguato percorso di crescita verso l’autonomia e la globalizzante emancipazione di se?

Stando in linea col tema del significato, possiamo espletare alcuni interventi che rimandino, o anzi propriamente rispecchino, i valori più o meno esplicitati o percepiti dal nostro interlocutore. Le ipotesi di intervento si rifanno alle esperienze di consulenza dirette dagli operatori specificamente formati all’orientamento logoterapico, che incentra il suo paradigma sulla ricerca e la costruzione di senso proprio come il fattore determinante di risoluzione assoluta per una vita percepita degna di essere condotta. I logoterapeuti prevedono per i loro clienti il passaggio verso una nuova forma del concepire le esperienze, che consiste nel restituire o ricercare significati positivi sottostanti ai comportamenti ed ai pensieri. Nell’approccio logoterapico, tale intervento prende il nome di dereflessione, la quale viene considerata una possibilità di gestire contenuti e processi dei propri pensieri al servizio di uno sguardo endoscopico che faccia affiorare valori che magari fin troppo a lungo sono stati giacenti nelle profondità delle cave intrapsichiche di ciascuno.

Un primo suggerimento tecnico che ci viene offerto riguarda la possibilità di modellare un “linguaggio del significato”. Utilizzare un vocabolario contenente parole come: significato, valore, senso, motivo, intenzione; per esempio, nella forma del “Il significato che dai a questo è per te…”, oppure “Il motivo per il quale hai scelto questo percorso è…”; significa immettere nella cornice relazionale fra noi e il cliente un registro tale da influire sulla ricerca di senso. Sono indicate inoltre possibili domande strutturate che viaggiano comunque su tale verso. Alcuni esempi:

“Che cosa significa questo per te?”, “Quali sono i valori che ti hanno condotto a scegliere questo comportamento?”

Da evidenziare come, sulle domande, strumento di per se semi-direttivo, è vivamente consigliato un utilizzo parsimonioso, che segue le regole generali della comunicazione efficace, quindi esse saranno formulate in modo aperto, non saranno troppo intrusive, e soprattutto dovranno associarsi in maniera congruente ad un atteggiamento complessivo da parte del counselor che denoti reale accettazione, spontaneità, accoglienza e non giudizio.

La logoterapia, infatti, non si presenta come una mera tecnica da applicare, ma è in gran parte soprattutto un modo di approcciarsi all’altro che sottolinea l’aspetto più urgente da sviluppare e far emergere: il senso che attribuiamo alla nostra vita e, di conseguenza, quali modalità concrete possiamo proporci per conseguirne la piena realizzazione.

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