Counseling: un aiuto efficace nello shopping compulsivo


love-shoppingLo shopping compulsivo va concepito come un tipo di dipendenza che ha la sua base nei cambiamenti economici, sociali e culturali che sono avvenuti nell’ultimo secolo nel mondo occidentale. Negli ultimi anni spendere denaro senza realmente possederlo è diventato molto facile, le carte di credito e i nuovi modelli bancari offrono una spinta enorme verso il consumo, poiché si ha l’illusione di avere un credito sempre disponibile. L’individuo è sempre più preda di nuove tecnologie, nuove mode, nuovi bisogni che devono essere soddisfatti prontamente. Viviamo in una cultura di “consumo competitivo” (Shor, 1998) in cui si tende ad identificare la felicità con i beni che possediamo, gli oggetti comprati ricoprono un significato emozionale poiché forniscono un mezzo di identificazione di sé, e un significato sociale perché tramite gli oggetti comunichiamo al mondo chi siamo o chi vorremmo essere. (Franzen, Brouwman 2001).

Lo shopping compulsivo nasce contemporaneamente alla grande distribuzione. Il primo a parlare di mania di comprare o “oniomania” è lo psichiatra Emil Kraepelin nel 1915. Poco dopo cominciano a diffondersi i grandi magazzini: a metà del XIX secolo a Parigi per poi espandersi a Londra, Berlino e negli Stati Uniti, nascono le grandi marche e la pubblicità: acquistare diventa un evento sociale. Francisco Alonso-Fernandez (1999) propone un tipo di classificazione delle dipendenze basato sulle regole sociali:

  • Dipendenze sociali o legali: costituite da droghe legali o farmaci e da attività socialmente accettate come mangiare, giocare, comprare ecc.
  • Dipendenze antisociali o illegali: costituite da droghe ed attività illegali.

Le dipendenze della prima categoria sono agevolate dall’innovazione tecnologica e da una civiltà che stimola la tendenza all’immediata gratificazione. Per questo motivo diventa ovvio definire le dipendenze legali della civiltà occidentale con il termine new addiction, che comprendono tutte quelle nuove forme di dipendenza in cui non sono implicate sostanze chimiche. L’oggetto della dipendenza è un’attività lecita e   catalogare come patologia un fenomeno socialmente accettato risulta difficile. Secondo i manuali, i soggetti affetti da questa patologia sostengono di essere assaliti dall'urgenza di comprare, come in preda ad un'ossessione che li costringe a mettere in atto il comportamento. Molti di loro descrivono questo impulso irrefrenabile come intrusivo (Christenson et al., 1994). Inoltre secondo McElroy e coll. (1994), tale disturbo presenta caratteristiche sia di tipo egosintonico, sia di tipo egodistonico. Per ciò che riguarda il disturbo del controllo degli impulsi, la sua caratteristica principale è data dalla difficoltà della persona a resistere ad un particolare impulso. Vi è la necessità di appagare tale impulso nel minor tempo possibile. Solitamente l'individuo afflitto da un disturbo del controllo degli impulsi avverte un sentimento di progressiva tensione, agitazione ed eccitazione poco prima di mettere in atto l'impulso a livello comportamentale. Nel momento successivo all'azione impulsiva egli sperimenta piacere, sollievo e/o gratificazione. La perdita di controllo a favore di un improvviso ed incontrollabile impulso porta la persona verso la messa in atto di una azione potenzialmente dannosa per sé e per gli altri. I Disturbi del Controllo degli Impulsi sono una categoria diagnostica riconosciuta solo recentemente. Disturbi quali il gioco d’azzardo patologico, la piromania, la cleptomania e il disturbo esplosivo intermittente hanno ricevuto inquadramento diagnostico solo col DSM III (American Psychiatric Association, 1980). Solo sette anni dopo, nel DSM III–R (American Psychiatric Association, 1987) è stato riconosciuto valore diagnostico anche alla tricotillomania (caratterizzata dallo strapparsi ricorrente di capelli o peli per piacere, gratificazione, o alleviamento della tensione e che causa una rilevante perdita di essi). Sebbene non sia inserito nel Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali, attualmente si tende a considerare come un Disturbo del Controllo degli Impulsi anche il Disturbo da Shopping Compulsivo. Ciò in virtù di alcune caratteristiche che accomunano le due patologie come la tensione che precede la messa in atto del comportamento, la ricerca di gratificazione immediata, e l'incapacità di sopportare la frustrazione derivante dall’evitare tale comportamento. L'appagamento degli impulsi di tutti i Disturbi sopra brevemente descritti porta alla persona piacere, gratificazione, e/o alleviamento della tensione psicologica interna. Spesso chi spende in maniera compulsiva è una persona con una scarsa autostima, ma a volte possono essere persone molto rigide che, resistono ai cambiamenti, immobilizzando la propria crescita e il conseguimento di una maturità. Secondo Shapiro (1981) lo shopping compulsivo è un tentativo di compensare una distorsione dell’autonomia derivante da esperienze infantili. L’oggetto che vogliamo comprare ci ricorda i giocattoli consolatori che avevamo da bambini; tramite il piacere ci proteggiamo dalla paura. Alcuni comprano nell’illusione di poter superare con degli oggetti i traumi dell’infanzia, o comprano perché sono cresciuti con genitori costantemente indebitati e a volte si cerca, inconsciamente di ricreare il malessere e le situazioni dell'infanzia, alcuni invece sono portati a spendere senza freni per viziare il bambino che sono stati. Secondo Krueger, nello shopping compulsivo c’è anche una componente di aggressività che si può individuare nel costringere le figure genitoriali o il partner a provvedere al denaro necessario per compensare il supporto emotivo che queste persone hanno fallito a fornire. In questo modo comprare diventa un tentativo di aggiustare una rottura tra il sé e la persona significativa. Uno dei meccanismi di difesa messi in atto dallo shopper compulsivo è l’annullamento retroattivo, ciascun acquisto viene annullato dalla sua carica angosciante nel momento in cui si mette in atto un acquisto successivo; si crea quindi un circolo vizioso in cui il tentativo di sanare l’angoscia ne crea immediatamente un’altra. La compulsione è indotta dall’impellente bisogno di annullare ciò per cui ci si sente in colpa. Questo disturbo, come abbiamo già visto, non viene ancora considerato una dipendenza perché non comporta l’uso di sostanze esterne come alcol o droghe. Questo aspetto è di fondamentale importanza: infatti non essendoci il rischio di mettere a repentaglio la propria vita, induce nella società una visione poco critica sulle conseguenze che lo shopping compulsivo può generare nella vita dei soggetti che ne soffrono. I soggetti afflitti da questo disturbo possono arrivare ad impostare l’intera giornata su questa attività, nient’altro li gratifica in maniera così soddisfacente. Ovviamente le conseguenze più evidenti sono a livello economico. Non sempre gli acquirenti compulsivi hanno grandi disponibilità economiche, inizialmente chiedono prestiti a parenti ed amici per poi arrivare ad indebitarsi con banche e finanziarie. I problemi finanziari danneggiano anche la vita sociale e matrimoniale dei shopaholic, innescando un meccanismo di bassa autostima , solitudine e isolamento. Nel caso dello shopping compulsivo la domanda del cliente tende ad essere quella di rivolgersi al sintomo, che deve essere risolto nel più breve tempo possibile. Il counselor dovrebbe anzitutto affrontare apertamente il tema del denaro con il suo cliente, per comprendere il rapporto con esso e il contenuto simbolico che gli viene attribuito. Con questo tipo di clienti é inoltre fondamentale lavorare sul concetto di autostima, sull’attaccamento, sull’autonomia dalle figure di riferimento. Se il soggetto riesce a rinforzare l’autostima sentirà meno pressante l’esigenza di comprare. Negli Stati Uniti i gruppi di auto aiuto prendono spunto dagli alcolisti anonimi e seguono un programma simile che prevede 12 punti. Compito del gruppo è quello di aiutare ogni partecipante a non ripetere il comportamento disturbante, l’atmosfera del gruppo favorisce l’empatia e il soggetto può beneficiare dell’esperienza altrui. I gruppi sono più accessibili delle terapie individuali, non richiedono molta introspezione e forniscono un buon supporto. A questo proposito il counseling potrebbe rivelarsi di grande sostegno, sia per lo shopping compulsivo sia per altre dipendenze minori. Lo schema generale, potrebbe essere quello del counseling in gruppo con lavori personali espressi nel gruppo stesso, con la partecipazione di tutti gli utenti e con proposte di attività più corali che magari siano introduttive o facilitanti i lavori di tipo personale. Il percorso si articolerebbe in 10 incontri da due ore l’uno (possibilmente serali) in cui gradualmente provare a scendere nell’autoconsapevolezza di sé e dei propri bisogni, secondo una modalità integrata che privilegi il lavoro sulla “sensazione” e “l’esperienza”, che tocchi tutti i livelli dell’esperienza e che segua uno schema ipotetico che potrebbe essere a grandi linee il seguente: nel pre-contatto si privilegeranno attività di tipo cognitivo, in cui contestualizzeremo chi siamo e come viviamo la dipendenza, cosa proviamo, quali sono speranze e obiettivi, si darà spazio anche alla consapevolezza corporea e alle sensazioni fisiche, con condivisioni di gruppo. Nel contatto pieno proporremo attivazioni corporee che saranno la metafora della relazione, cercando di rendere i clienti sempre più consapevoli delle loro sensazioni. La condivisione in gruppo é ovviamente di estrema importanza. Proporremo attivazioni in cui al centro ci sarà la storia del nostro corpo dall’infanzia ad oggi corpo, scritta come se fosse il nostro corpo a parlare. Le sensazioni, le esperienze fatte, le gioie ed i dolori, le aspirazioni e i desideri. Tutto ciò che ci ricordiamo in quanto “nostro corpo” dalla nascita ad oggi. Lavoreremo anche sulla nostra identità di genere, sui nostri killer e sulle nostre risorse, negli ultimi due incontri del post-contatto faremo delle mini-attivazioni corporee di saluto lasciando molto più spazio che nei precedenti incontri alla condivisione allargata che deve coinvolgere tutti quanti sul senso del percorso anche rispetto all’obiettivo iniziale dello shopping compulsivo e su come ognuno ha vissuto l’esperienza, spazio quindi al racconto di se e come è cambiata l’esperienza compulsiva in questo tempo passato insieme. Quindi il saluto con un giro finale di cosa lascio qui nel gruppo e cosa mi porto via da questo percorso fatto insieme. Naturalmente questo proposto è un progetto di massima che andrebbe poi verificato ed eventualmente modificato di volta in volta seguendo l’energia e le esigenze del gruppo, in questi 10 incontri alle persone coinvolte verrebbe consentito di contattare e sperimentare alcune sensazioni, di cui magari non erano consapevoli, diverrebbero più chiari alcuni loro pregiudizi e convinzioni limitanti, emergerebbero molte delle loro possibilità, tutto ciò essendo sorretti dalla “rete protetta” del gruppo.

Federica Tobino Gestalt Counselor Professionale e Collaboratore della sede A.S.P.I.C. di Alessandria, Savona e Genova

Potrebbero interessarti ...