Nella visione umanistica, ogni persona è qualcosa di più della semplice somma delle sue parti: può essere considerata soltanto nel suo insieme. L’assunto più importante della prospettiva umanistica è che ogni persona è potenzialmente capace di essere libera e autonoma. Tanto la psicanalisi quando il comportamentismo, all’epoca i due orientamenti dominanti, erano ben lontani nel considerare le potenzialità umane. A partire dalla metà del novecento, la psicologia umanistica si formalizzò come “terza forza” in contrapposizione alle teorie dominanti, la contrapposizione non avvenne solo a livello filosofico e teorico. L’approccio Centrato sulla Persona messo a punto da Karl Rogers enfatizza le risorse interne della persona, il suo potenziale, e si basa su una modalità particolare, molto rispettosa, di entrare in relazione con lei. In questo modello si presuppone infatti che il cliente abbia il suo punto di vista, dal quale non si può prescindere, rispetto a ciò di cui ha bisogno, perché è il maggiore esperto di se stesso. Un punto di vista rivoluzionario, una svolta radicale rispetto al paradigma psicanalitico.
Rogers si focalizza sul mondo fenomenologico del cliente, con l’obiettivo di calarsi nella sua visione delle cose. Egli non usa il termine “paziente” lo sostituisce con il termine “cliente”.
Il termine cliente, suggerisce una relazione alla pari, in cui colui che sceglie di farsi aiutare non abdica alla propria responsabilità nella soluzione delle proprie difficoltà, anzi viene aiutato ad assumerla pienamente nelle proprie mani. Dal punto di vista di Karl Rogers, quindi, la psicoterapia è un incontro tra due esseri umani, entrambi in crescita.
La terapia “centrata sul cliente” sta a significare che il soggetto stesso dirige l’esplorazione di sé e l’interpretazione del materiale emergente, il terapeuta si astiene dal farlo, diversamente da come avveniva per la pratica psicoanalitica. La persona può procedere nella comprensione di se stesso da sola, facendo riferimento alle sue risorse e soluzioni interne, che il terapeuta aiuta a far venir fuori.
Secondo Rogers devono essere presenti sei condizioni per provocare una modificazione costruttiva della personalità, cioè un reale progresso verso l’autodeterminazione:
1. Il contatto psicologico tra due persone,
ossia deve esistere una relazione interpersonale dove per contatto si intende che l’uno provoca una qualche differenza nel campo esperenziale dell’altro, percepibile anche solo a livello di “subcezione”, ossia ad un livello non ancora cosciente. Senza tale condizione tutte le altre non hanno significato.
2. Il cliente si trova in uno stato di incongruenza,
intesa come il disaccordo esistente tra l’immagine dell’Io e l’esperienza reale da lui vissuta, causa di tensione e confusione: la persona non comprende il suo comportamento poiché si trova a fare cose che non vuole fare e non fa quelle che desidera fare. Rogers fa l’esempio della madre che si ammala quando il suo unico figlio decide di lasciare la casa; l’esperienza reale della donna è che non vuole lasciare andare via il figlio, ma l’immagine di sé come madre buona e comprensiva contrasta con questo suo vissuto. La malattia è un ottimo espediente per tenere ancora vicino il figlio e per non sentirsi responsabile di tale situazione, così il concetto di sé non viene intaccato. L’incongruenza, più o meno percepita, crea uno stato di ansia poiché la persona sente che esiste una minaccia per l’immagine di sé.
3. Il counselor si trova in uno stato di congruenza,
è in grado cioè di percepire quello che avviene dentro di lui. Ogni sentimento, sia positivo che negativo, è ascoltato e accettato anche quello che contrasta con l’immagine di sé, viene meno così la necessità di difendersi. Secondo Rogers il terapeuta deve tentare di essere autentico, cioè non falsare niente di quello che vive all’interno della relazione, affinché sia efficace quello che fa e perché dà valore a se stesso e alla persona che ha di fronte.
4. Il terapeuta ha una considerazione positiva incondizionata del cliente
nel senso che lo accetta e lo accoglie in ogni aspetto della sua esperienza, in ogni sentimento espresso sia positivo che negativo. Il terapeuta non deve essere centrato sulle sue idee, interpretazioni, teorie, l’interesse è per il cliente in quanto persona con le proprie esperienze e sentimenti.
5. Il counselor prova comprensione empatica, si sforza pertanto di sentire il mondo personale del cliente “ come se” fosse il suo per tentare di entrarvi e capirlo. Non si immedesima però in quel mondo e in quei sentimenti. In questo modo il terapeuta ha la possibilità di dare un significato agli aspetti dell’esperienza del cliente di cui lui non è consapevole.
6. Il terapeuta comunica la sua comprensione empatica
e la sua considerazione incondizionata così che il cliente possa percepire di essere accettato e capito, condizione fondamentale per dar inizio al processo terapeutico
Soltanto la prima condizione è dicotomica, c’è o non c’è, le altre si possono presentare in misura diversa lungo un continuum.
Nell’approccio rogersiano, il terapeuta si preoccupa prima di tutto di instaurare un contatto reale con il cliente, indipendentemente dalla categoria diagnostica di cui potrebbe fare parte, ciò che interessa è l’esperienza personale da lui portata. Il terapeuta evita di utilizzare strategie difensive per distaccarsi dai suoi sentimenti, si impegna invece ad ascoltarli momento per momento. La comprensione del cliente avviene se il terapeuta instaura un rapporto totale con lui e agevola un clima di calore e accoglienza tale da favorire la libera espressione della persona.
Rogers non scredita l’importanza della teoria, ma ritiene che per entrare in contatto autentico, nella relazione, sia poco utile pensare teoricamente rischiando di rimanere semplici spettatori, quanto invece presentarsi con la propria personalità e divenire attori della scena relazionale.
Il termine cliente rappresenta un’innovazione di tale approccio, nonostante la sua accezione commerciale possa creare un alone negativo, è stato scelto per mettere in risalto il carattere attivo del soggetto che decide di intraprendere una terapia, per mettere in risalto la sua indipendenza e iniziativa. Viene abbandonata così la dicitura paziente, troppo legata all’idea di passività e patologia e viene esclusa anche quella di soggetto, sentita come troppo impersonale.
Rogers ritiene molto importante curare il fattore “atmosfera” durante l’incontro terapeutico, intendendo non solo il luogo fisico ma anche l’interazione che si crea tra le persone presenti. Un clima di sicurezza, calore, comprensione empatica facilita la libera espressione delle tendenze del cliente, il quale sentendosi al riparo da attacchi alla sua immagine, percepisce una rivalutazione personale che lo conforta e lo spinge a esporsi. Attraverso l’accettazione incondizionata la persona viene accolta con tutto quello che porta, il terapeuta non fa distinzione tra esperienze più degne di considerazione positiva ed esperienze meno, accoglie con un atteggiamento di apprezzamento sia ciò di cui il cliente ha più timore o vergogna sia quello di cui va fiero o lo fa stare bene. Tale situazione tende a favorire una disponibilità del cliente ad esplorare quei sentimenti meno conosciuti di sé, quegli aspetti della propria esperienza in passato rifiutati e non resi disponibile alla propria coscienza. In questo modo anche lui può sperimentare verso questi una considerazione più accettante. L’accettazione incondizionata non deriva da una tecnica, richiede invece che il terapeuta si ponga in un atteggiamento autentico di reale accoglienza e rispetto della persona che ha di fronte, atteggiamento possibile solo se vissuto dentro di sé e se c’è contatto con le emozioni del momento, qualunque esse siano. A differenza di altri orientamenti terapeutici che considerano indispensabili la conoscenza e l’acquisizione delle tecniche di colloquio, in tale approccio viene ridata importanza e attenzione alla personalità del terapeuta e alle sue caratteristiche, prima di tutto.
È importante che il terapeuta comunichi al cliente che egli ha dentro di sé ha tutte le risorse per risolvere le sue difficoltà e che è interessato ad accompagnarlo rispettando il suo passo: è lui che dirige la conversazione e il terapeuta fa da assistente. Con questa comunicazione si incoraggia l’attività autonoma della persona che sperimenta la possibilità di scegliere quello che dire nella misura che preferisce e ciò favorisce un impegno personale nel processo terapeutico, motivo di soddisfazione. Questa condizione però non si sviluppa sempre con facilità, lo stato diffuso di tensione non può essere eliminato con uno sforzo di volontà, l’angoscia, che pervade il cliente, lo immobilizza sia per la paura di cambiare che per quella di restare come è. Egli vive come seria minaccia, il materiale da esprimere nella terapia, visto che comprometterà la valutazione positiva dell’Io. Quando il cliente comincia a percepire l’accettazione del suo modo di essere, avviene una distensione emotiva che diminuisce i livelli di angoscia e crea un senso di sicurezza interna, indispensabile per il superamento del disagio e della vergogna a parlare di se, non tanto di fronte al terapeuta, quanto di fronte al suo stesso Io. La sicurezza interna non elimina dunque l’angoscia per questo confronto ma procura la forza necessaria per affrontarlo.
Anche il calore, di cui parla Rogers, deriva da una qualità implicita al comportamento del terapeuta e non è frutto di tecniche; inteso come tonalità emotiva e interesse disinteressato, può esistere solo se il terapeuta è in grado di percepirlo dentro di sé e di monitorarlo costantemente. Infatti un tono emotivo troppo intenso rischia di creare illusioni nel cliente che si trova ad essere amato in un modo difficile da ritrovare nella realtà, cosicché per non perderlo è disposto a modellarsi sul terapeuta, rendendo poco efficace il processo terapeutico. Invece un tono emotivo basso può essere interpretato dal cliente come segno di disinteresse o disapprovazione. Non è facile per il terapeuta riuscire sempre a dare il giusto equilibrio tra calore e distanza terapeutica, gli unici dati che ha a disposizione per monitorare il clima affettivo, sono la propria percezione immediata di quanto avviene dentro di lui, il senso di agio che vive all’interno della relazione. Se c’è un adeguato calore emotivo, il cliente può esperire una modalità non possessiva di essere amato, caratterizzata dall’accettazione della sua persona con le proprie idee e sentimenti e dalla possibilità di esprimersi nel suo modo personale.
Accettazione incondizionata e calore sono stati sottoposti alla verifica scientifica che ne valutasse appunto l’efficacia terapeutica e non fossero confusi con semplice sentimentalismo o artificioso “buonismo”. Della loro efficacia Rogers è sempre stato sostenitore poiché indispensabili alla creazione di una dimensione umana nella terapia, necessaria a provocare l’autoderminazione del cliente. Rogers ha cercato di sottoporre più elementi possibili della sua terapia al confronto con altri professionisti e con i risultati delle ricerche, considerandola come un’azione necessaria per elaborare un metodo davvero efficace e non tacciabile di semplicismo.
Dalla sua esperienza clinica, Rogers ha osservato che il cliente intraprende, durante la terapia, un’evoluzione graduale passando da una struttura rigida ad una più flessibile e fluida che si attua in sette stadi. Il passaggio da uno stadio all’altro non è così lineare e definito come può essere descritto teoricamente, si assiste spesso a dei ritorni indietro o a periodi di stallo, se non addirittura all’impossibilità di ulteriori risultati dalla terapia, col blocco al secondo o al terzo stadio.
Il cliente parte da una condizione di “fissità” dove non ha percezione dei sentimenti, i costrutti personali sono molto rigidi e legati al passato, lo stato di incongruenza è dato da una forte barriera difensiva che altera i dati del reale e allerta la persona nei confronti di ogni esperienza che possa minacciare l’immagine dell’Io. I problemi non vengono riconosciuti, né c’è coscienza della responsabilità personale nel loro mantenimento, le relazioni interpersonali sono percepite come pericolose, la comunicazione intrapersonale è assente.
Il cliente che si sente accettato nelle proprie rivelazioni, nei propri comportamenti, nelle proprie esperienze acquista sempre maggiore libertà di espressione e di comprensione. I sentimenti cominciano a farsi sentire e il cliente riesce a riferirli al sé, emergono le difese che bloccano la possibilità di sperimentarli; costrutti fino ad allora indiscussi cominciano a perdere significato, cresce la capacità di accettare le proprie responsabilità nel mantenimento dei problemi, insieme all’interesse di capire in che modo si è contribuito a crearli. L’immediatezza dell’esperienza e dei sentimenti vengono accettati come qualcosa che è presente senza bisogno di negarli o combatterli, il sé nel momento attuale è quel sentimento, l’esperienza attuale è sentita come meno estranea e assume una qualità reale di processo. Il cliente ha così la possibilità di confrontare, con più libertà, i dati di cui dispone con parametri esterni ed interni, l’incongruenza tra esperienza e coscienza tende a scomparire nel momento in cui i principali costrutti assumono il sapore di vecchio schema di riferimento non più valido.
Quando il cliente impara ad accettare il suo modo di essere non è più necessario che sia totalmente accettato dal terapeuta per poter progredire, è in grado di sostenersi da solo e acquista fiducia nel processo che si svolge in lui. A questo punto ogni situazione viene interpretata nei suoi aspetti nuovi e non più solo in riferimento al passato, sempre meno avviene l’inclusione di informazioni che non appartengono allo stato presente e l’esclusione di informazioni che gli appartengono. I costrutti personali vengono formulati in modo provvisorio per confrontarli continuamente con la dinamica dell’esperienza, la comunicazione interpersonale diviene così più chiara. Quando il cliente è in grado di riconoscere un’esperienza nella sua attualità, è in grado di affrontarla efficacemente, la scelta può considerarsi reale ed efficace poiché tutti i dati gli sono disponibili alla coscienza: richieste sociali, propri bisogni, ricordi di situazioni analoghe ed ogni elemento è considerato nella sua intensità e importanza. Dunque la persona può trarre la linea di condotta più adeguata per lei.
L’approccio rogersiano è caratterizzato dalla “non-direzione” che si esprime in un atteggiamento incondizionatamente positivo da parte del terapeuta, volto ad agevolare la capacità latente della persona di comprendersi da sola e di intuire come risolvere i suoi problemi. Tale capacità non è sviluppata dalla nascita, richiede infatti un contesto di relazioni umane positive, favorevoli alla conservazione e rivalutazione dell’Io. E’ poco incrementata anche nella società dove predominano relazioni di superiorità-inferiorità, autorità-sottomissione e dove la presa di decisione individuale è spesso soggetta a giudizio morale o di valore, inibendola . Tale capacità si basa su una conoscenza riflessa intesa come la capacità di sapere che si sa, che permette l’autovalutazione e l’autocorrezione. In altre parole la persona ha fiducia in quel che sente come riferimento interno per dirigere le sue scelte. Questa capacità va fatta scoprire al cliente e allenata. Secondo Rogers esiste in ogni organismo, inteso come unità biologica e psicologica, la tendenza all’attualizzazione, ossia la propensione ad assicurarsi la conservazione e l’arricchimento attraverso lo sviluppo delle sue potenzialità, tenendo conto delle possibilità e dei limiti dell’ambiente. Se l’esperienza dell’organismo può organizzarsi in assenza di fattori disturbanti, la tendenza all’attualizzazione si effettua in un comportamento razionale, sociale soggettivamente soddisfacente ed obiettivamente efficace. Ciò non avviene in condizioni di vita dove l’Io viene costantemente svalutato.
La “non-direzione” indica un atteggiamento che il terapeuta mantiene all’interno del processo terapeutico per favorire l’attualizzazione delle capacità di autovalutazione e di autodirezione. Può essere fraintesa dal cliente come indifferenza, lasciar fare o disinteresse, rappresenta invece un’astensione dal giudizio valutativo. Normalmente nelle relazioni interpersonali quotidiane vengono espressi giudizi e spesso le persone arrivano in terapia chiedendo, più o meno esplicitamente, l’opinione, l’approvazione, i consigli del terapeuta, convinte di non possedere pensieri e valori personali e che il giudizio dello specialista sia “vero e giusto”. La non-direzione vuole che il terapeuta non ceda a queste richieste e non fornisca alcun tipo di prescrizione attraverso l’espressione dei propri punti di vista, opinioni, valori, ponendo particolari domande, facendo annotazioni di accordo o disaccordo, ecc.
“La non-direzione” però non riguarda l’identità dell’approccio terapeutico necessariamente caratterizzato da un modello di riferimento, quindi una direzione. Infatti il terapeuta già quando seleziona elementi tra la massa di informazioni che il cliente riporta o il tipo di domande che pone, è condizionato da una direzione che ha in mente.
La nozione dell’Io indica quell’insieme di caratteristiche, attributi, qualità, difetti, capacità, limiti, valori che il soggetto riconosce come descrittivi di se stesso e costituenti la sua identità. Anche la percezione dell’esperienza attuale dipende dalla descrizione del proprio Io, dunque sarà tanto più realistica quanto c’è corrispondenza fra gli attributi che il soggetto crede di possedere e quelli che in effetti possiede. Attraverso ogni azione può così verificare tale corrispondenza con i dati che ottiene sia dall’esperienza vissuta, sia da quello che gli altri gli riferiscono o gli restituiscono con il loro comportamento. La tendenza dell’Io è di opporsi alla svalutazione e contraddizione, pertanto se l’esperienza gli restituisce questo, la percezione della realtà viene deformata in favore di una rivalutazione dell’Io.
La libertà esperenziale è la condizione per cui il soggetto si sente libero di esprimere i suoi pensieri, emozioni, desideri, indipendentemente dalla conformità alle norme sociali e morali. Durante l’educazione del bambino capita che tale libertà venga limitata quando le persone intorno a lui condannano un suo atto non conforme alle norme e la disapprovazione non si limita al solo atto ma all’intera persona. Il soggetto comincia a considerarsi come tale (es. cattivo, meschino, antisociale, bugiardo, ma anche buono, altruista, ecc.) arrivando a comportarsi in quel modo per gran parte della sua vita. La libertà esperenziale viene meno quando prevale la necessità di deformare ciò che si prova per mantenere la stima e l’affetto delle persone significative. L’Io si trova a dover reprimere prima l’esteriorizzazione poi l’esistenza di certi sentimenti e, col tempo, una parte dell’esperienza vissuta comincia a sfuggire alla coscienza. A qualunque età, il divario tra esperienza e rappresentazione crea confusione e disorientamento, il soggetto perde la fiducia in se stesso e si sente incapace di prendere decisioni. Non sapendo più cosa pensa e cosa vuole viene sopraffatto dall’angoscia, si sente sprovvisto di valori sicuri, radicati, che facciano da base ad un comportamento relativamente stabile, efficace, soddisfacente. Il campo di percezione del cliente comincia così a limitarsi e deformarsi e questa distorsione diventa la rappresentazione della sua realtà.
Nell’approccio rogersiano il terapeuta accoglie il cliente con la sua definizione del mondo e di se stesso, senza negare l’esistenza del problema da lui riportato. Il terapeuta, che destruttura la visione deformata del cliente fornendogliene una corretta della realtà, non si pone in un rapporto autentico poiché impedisce al cliente di essere se stesso e lo induce a credere di doversi adattare alla società secondo la modalità suggeritagli. Dentro di lui però non si modifica il suo modo di sentire e vedere e si aggrava la confusione. Da evitare anche il ricorso alla standardizzazione comunicando al cliente che la sua problematica rientra nella norma. Inizialmente questi può sentirsi rassicurato dal fatto che il suo comportamento è “normale”, ma così facendo il terapeuta mette in dubbio la capacità del cliente di giudicare e l’identità che finora si è costruito sulla convinzione che certi suoi aspetti siano sbagliati ed anormali. Il cliente riceve così il messaggio che si è sempre sbagliato e che non deve fidarsi del suo giudizio, ciò crea facilmente una dipendenza nei confronti dello specialista. Rassicurare per abbassare i livelli di angoscia va ad indebolire la già poca capacità del cliente di scegliere come stare nel mondo, che rappresenta invece il punto di partenza da rafforzare.
Rogers non crede nella necessità di mettere subito a fuoco gli aspetti nascosti dell’esperienza inconscia del cliente per agevolare un rapido abbattimento delle difese, ritiene più opportuno ascoltare e comprendere la dinamica dell’economia emotiva dell’individuo. Le difese rappresentano una barriera tra il soggetto e la sua esperienza, fanno da filtro a quanto sta succedendo e derivano da un apprendimento che egli ha fatto nel corso della sua vita.
Quando il cliente arriva in terapia, le tendenze alla difesa e quelle allo sviluppo ( le tendenze attualizzanti l’autonomia e l’autodeterminazione) si intrecciano, per cui abbattere le prime senza conoscere come si mescolano con le seconde può portare alla perdita di entrambe. Distruggere prima di aver fortificato quegli aspetti che vengono difesi, vuol dire mandare la persona a combattere senza alcun tipo di armatura. Nei momenti di minaccia, di crisi, di conflitto serio, le difese sono il solo mezzo che il soggetto ha a disposizione per proteggersi da un crollo; l’individuo privo di difese è estremamente vulnerabile e desensibilizzato. Il terapeuta deve mirare più che ad eliminare queste, a liberare il cliente dalla sua angoscia ed individuare con lui come tali difese possano essere trasformate in risorse. Da non sottovalutare la situazione paradossale che l’eccessiva attenzione del terapeuta sulle difese può creare: il cliente espone con facilità e chiarezza i suoi aspetti più nascosti non per un reale incremento della capacità di consapevolizzare materiale tabù, quanto per ottenere l’amore e l’affetto del terapeuta. Il cliente che si accorge della soddisfazione del terapeuta per il materiale intimistico, glielo offre ben volentieri a volte anche inventando. Il vero successo della terapia lo si riscontra quando l’individuo riesce a prendere coscienza dei suoi sentimenti, pensieri, desideri ricorrendo il meno possibile a manovre difensive, cosicché la congruenza gli permette di aprire la strada all’autodeterminazione. Una maggior disponibilità nei confronti dell’esperienza consente di considerare tutti i suoi dati e dunque valutarla meglio, predisponendosi ad un apprendimento più realistico e ad un progressivo arricchimento. Il cliente può così prendere atto della diversità dei propri bisogni e soddisfarli in un modo personalmente caratteristico, evolvendo sempre di più verso il tipo di persona che desidera essere.
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