Comunicazione Facilitata

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Ascolto attivo: termine diffuso ed abusato. L’aggettivo “attivo” indica anche il carattere umile dell’ascolto, inteso non solo come un tacere per ascoltare l’altro, ma anche come qualità dell’ascolto, non dedicando tempo all’altro ma mettendosi in gioco, dare all’ascolto una visione esistenziale.

Evento unico in quanto mettersi in gioco in prima persona, immergersi in una relazione giocosa, non in senso di poco seria, mantenere un atteggiamento professionale, un distacco ma anche “colludere” cioè giocare insieme. La relazione che si stabilisce è una relazione unica in quanto si mette in risalto la nostra unicità e l’unicità dell’altro. Dedicarsi all’altro non significa farlo con solo con un dispendio di tempo, a volte la tecnica è importante intesa non come tecnicità, ma attitudine, competenza.

Cos’è l’ascolto? Cosa comunica?

 

ASCOLTO = Interesse, disponibilità, attenzione, partecipazione, accoglienza, curiosità, disagio, empatia, oggettività, sicurezza, fiducia, accettazione = Presenza dell’altro, riconoscimento dell’altro.

Rogers parla di “bisogno di accettazione totale dell’altro”. La disponibilità che noi mostriamo non accettazione incondizionata a livello comportamentale ma capacità di ascoltare. Abbiamo svariate psicoterapie ma tutte hanno alla base il concetto di ascolto.

E’ importante comunque non confondere le relazioni di aiuto con il counseling in Italia riconosciuto da poco ma comunque in un contesto istituzionale ben specifico pertanto solo all’interno di altri ruoli.

L’ascolto in senso negativo porta ad una relazione disfunzionale, non autentica, asimmetrica, manipolatoria che non porta alla crescita.

La risposta fa parte integrante dell’ascolto attivo, l’interazione, il feedback, che prende in esame il messaggio in maniera rielaborata. Un errore comune è pensare solo ed esclusivamente alla chiarezza del contenuto del messaggio quando in realtà il contenuto è solo un aspetto del messaggio. E’ importante non sottovalutare il set: cioè le aspettative, la predisposizione. Concentrarsi solo ed unicamente sul contenuto può creare conflitti comunicativi che potrebbero risolversi con una maggiore attenzione agli altri aspetti del messaggio. Un punto cruciale va attribuito all’incapacità di sentire che l’altro può avere una prospettiva differente dalla nostra. Cogliere il concetto da un altro punto di vista. Pensare in modo egocentrico è sicuramente più semplice, l’intersoggettività prevede di confrontarsi con l’altro in modo non antagonistico, ma aprendo spiragli di possibilità. Collaborare, nel senso di capire ciò che effettivamente desidera è già un passo significativo in avanti nel rapporto comunicativo.

Rifarsi al potere a somma variabile, non c’è necessariamente qualcuno che vince ma viene attribuito un potere relativamente alle competenze di ognuno con indiscutibile ricchezza per entrambi. Per raggiungere ciò è importante:

  1. esprimere bene il proprio punto di vista,
  2. ascoltare il punto di vista dell’altro. Regole queste esplicite ma anche implicite.

Cercare soluzioni che siano soluzioni per entrambi, offrendo una mediazione tra le parti.

Descrivere me-l’altro nella relazione

Descrivere me- l’altro nella relazione da parte dell’altro.

Noi ci avviciniamo già con aspettative, condizionando in tal modo il tipo di rapporto.

La solitudine nasce appunto dalla insuperabile incongruenza tra le aspettative e la reale esperienza.

Il conflitto genera problemi psicosomatici, comportamentali, affettivi. Aver chiaro che ci sono altri punti di vista è già un passo in avanti che fa stare bene.

1° LIVELLO

Fare riferimento al CONTENUTO significa consapevolezza, ma anche una richiesta di tecniche che consentono di mantenere distante il problema emotivo-affettivo da quello logico-formale. Concentrarsi sul contenuto è già di per sé importante, anche se si corre il rischio di non cogliere gli effetti emotivi, lasciandosi trasportare dalla logica del successo, successo in tutto anche nella relazione. Tutti vorremmo essere genitori ideali, insegnanti perfetti, tutti abbiamo dentro di noi l’idea di un genitore ideale anche se poi nella realtà non esiste.

2° LIVELLO

L’autopresentazione presente in ogni messaggio e che implica l’impressione che si vuole dare di sé. Voler sempre e comunque dare un’autopresentazione indica un segnale di scarsa autostima, concentrazione sulla propria immagine, timore della critica, intollerabilità alla critica, senso di inadeguatezza, necessità di continua conferma, quasi come una linfa vitale. Hanno un senso di sé poco strutturato, hanno necessità di alimentarsi di continuo, di essere approvati, di soddisfare le aspettative degli altri (es. Zelig di Woody Allen). La vergogna significa esibirsi, provare il sentimento pesante dinanzi allo sguardo oggettivo dell’altro, segnalando comunque un’asimmetria del rapporto.

Per esempio la vergogna del bambino vissuta come umiliazione durante il pasto messo al bando dinanzi ai compagni, dinanzi allo sguardo degli altri che lui non desidera avere su di sé  né ha deciso di avere su di sé.

I sentimenti della rabbia e della paura non sono legati al Sé, la vergogna e l’orgoglio sono legati al Sé.

La comunicazione disfunzionale ha una notevole importanza in ambito educativo in quanto frasi magari gettate lì per i bambini diventano imperativi, come la forma impersonale provoca una destrutturazione del sé, creando l’idea che sono accettato solo se dimostro ciò che valgo.

3° LIVELLO

L’appello, la richiesta, cosa altro mi sta chiedendo, ci rimanda al sentimento, al pensiero. L’appello può essere diretto e coincidere con il contenuto ma può anche essere nascosto, cosa che si verifica di frequente. E’ importante esplicitare l’appello, ma senza diventare manipolativi o interpretativi creando un rapporto di dipendenza da noi. Il sintomo è sempre una richiesta, già dal 5°-6° mese di vita quando il bambino definisce la sua autonomia. Il sintomo è la spia, il modo per adattarsi all’ambiente. A volte è importante fare opera di contenimento di ruoli e confini. A volte, invece, l’appello può essere manipolativo, per esempio l’adulatore che prova in realtà un profondo senso di inadeguatezza. L’appello può essere paradossale con conseguenze anche molto gravi, alcuni studi hanno affermato che hanno una valenza significativa anche nei disturbi schizofrenici. Il sarcasmo è distruttivo, l’umorismo è costruttivo.

4° LIVELLO

La relazione tra le due persone, dove il messaggio si situa: complementare, simmetrico (provocazioni). A volte può subentrare confusione tra contenuto e relazione.

5° LIVELLO

L’espressione che si situa in uno spazio ed in un tempo con quanto esprimiamo a livello non verbale e paraverbale.

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