Il qui e ora del quotidiano: vivere il pomeriggio
Dopo il febbricitante mattino e il frettoloso pasto prandiale, in un’atmosfera di sconsolata impossibilità ad alimentare una pur piccola luce in un mondo a cui ci sembra di non appartenere più, pur accade talvolta che il pomeriggio trascorra pigramente e si distenda fino a dileguarsi nella debole atmosfera serale.
Se non abbiamo impegni pressanti, è tempo intermedio, tra il già fatto e il da farsi, da vivere ricacciando indietro l’affanno abituale, il vago timore di stare sprecando il nostro tempo. Ma è proprio all’inizio del più pigro dei pomeriggi che i problemi ci si rovesciano addosso, inesorabili.
Tornano alla mente le parole di Paul Sartre:
Trois heures, c’est toujours trop tard ou trop tôt pour tout ce qu’on veut faire. Un drôle de moment dans l’après-midi.[1]
Ci accompagna la provata consapevolezza che non fare niente non equivale a stare in pace, non aumenta la serenità, e il non aver nulla da fare, neppure per meritato riposo dopo che abbiamo con soddisfazione concluso un ben impegnativo lavoro, ci turba quasi ci inquieta. Richard Bandler, cofondatore della PNL ci avverte:
“Il cervello è come una macchina alla quale manchi un interruttore con la posizione di “spento”. Se non gli si dà qualcosa da fare, non fa altro che continuare a girare, e alla fine si annoia. […] Se il cervello se ne sta lì senza far niente, comincerà a fare qualcosa, e non pare che gli importi molto che cosa […] Per esempio, vi è mai capitato di starvene semplicemente lì seduti quando all’improvviso il vostro cervello vi fa balenare davanti un’immagine che vi spaventa a morte? […] A quanti di voi capita di ripensare a cose sgradevoli accadute molto tempo fa? È come se il cervello stesse dicendo: “Su, rifacciamolo! Mettiamoci a pensare a qualcosa di veramente deprimente. Forse riusciamo ad arrabbiarci per quella faccenda con tre anni di ritardo”. […] Avete mai sentito parlare di “sospesi”? Non sono faccende in sospeso, sono finite, è solo che non vi è piaciuto come sono andate a finire. […]
La maggior parte delle persone sono prigioniere del loro stesso cervello. È come se fossero incatenate all’ultimo sedile dell’autobus, con qualcun altro al volante. Voglio che impariate a guidare voi stessi il vostro autobus personale.” [2]
Neppure quando il pomeriggio è diviso da una netta cesura, la fine della nostra giornata di lavoro alle ore 17 o 18, riusciamo a contenere il groviglio dei nostri pensieri, e ci dibattiamo, ci frazioniamo tra ansiosità e apatia in assenza o quasi di energie nelle poche inaridite ore che restano della giornata.
E se decidessimo noi, giocando d’anticipo sul nostro instancabile cervello a vivere ogni pausa breve, o lunga quanto un interminabile pomeriggio privo di impegni, come il tempo che in cui “vogliamo” pensare, definire/ridefinire i nostri desiderata, analizzare il nostro comportamento, riflettere con autenticità su noi stessi? Potremmo riappropriarci di una prerogativa essenziale, quella di permetterci di aggiustare e recuperare ciò che nella prima parte della giornata…della nostra vita, ci siamo lasciati sfuggire.
[1] Jean Paul Sartre, La Nausée, Torino, Einaudi 1948, I edizione. “Le tre, sono sempre troppo tardi o troppo presto per qualsiasi cosa si voglia fare. Uno
strano momento del pomeriggio”
[2] Richard Bandler, Usare il cervello per cambiare, trad. it. B. Draghi, Roma,
Astrolabio 1986, p.13-14
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