DAL PUBBLICO ALLA MASSA. I risultati storici del controllo sociale

Inviato da Nuccio Salis

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Verso la fine degli anni Novanta, peraltro poco prima della sua infelice dipartita, il sociologo ad honorem Danilo Dolci (1924 - 1997) pubblicò un saggio intitolato "La comunicazione di massa non esiste", in cui contesta l'espressione coniata ufficialmente dalla sociologia accademica, in quanto, secondo la visione del Dolci, la massa sarebbe una informe pastoia dove non circola affatto comunicazione. La massa, piuttosto, sarebbe un'aggregazione di soggetti i quali una volta impastoiati in una unica dimensione che non prevede circolazione di nuove e libere idee, perderebbero la loro individualità, limitandosi non più a comunicare ma al contrario a trasmettere.

Il Dolci, infatti, distingueva nettamente i rispettivi significati dei due termini e si opponeva al loro uso sinonimico a cui si fa sovente ricorso con troppa leggerezza e disinvoltura. Quando si comunica, difatti, il contesto permetterebbe un flusso ampio e un libero circolare di informazioni. Coinvolge i partecipanti all'interno dello stesso, garantendo agli stessi un'esperienza di sicuro valore formativo, rendendoli protagonisti attivi e ri-costruttori dei significati sull'evento condiviso. Si sviluppa cioè un senso di unione che definisce un potenziale sociale in termini di relazioni proiettate verso la coesione e la prospettiva maieutica comunitaria. La trasmissione, invece, riguarda un processo di invio di informazioni che il destinatario non può restituire filtrate, e pertanto si interrompe il flusso emesso da una fonte che rende in questo caso lo schema unilaterale di trasmissione condensato di elementi autoritari e anti- democratici. La differenza fra questi due modelli acquista perciò una notevole dimensione politica, obbligando a sollevare questi, riflessioni ed interrogativi che spingono a proiettare le scienze sociali oltre la rilevazione di dati, schemi, tabelle, check-list e letture standardizzate e distaccate dal disegno dell'organizzazione collettiva. Tale differenza, piuttosto, dovrebbe completare la sincera ed originaria vocazione umanista di un modello di analisi sociale che oltre al necessario e indispensabile rigore descrittivo del fenomeno studiato, vi congiunge anche le giuste istanze e rivendicazioni di una parte della società riconoscibile nelle categorie della marginalità e della esclusione. Diversi autori hanno realizzato le loro ricerche e le loro conclusioni usandole fortunatamente come una sorta di manifesto politico di denuncia verso tutto ciò che produce diseguaglianza, violazione dei diritti elementari e ingiustizia sociale. Si pensi per esempio a uno dei maggiori rappresentanti della scuola di Francoforte, e che risponde al nome di Herbert Marcuse (1898 - 1979), con lo scritto "L'uomo a una dimensione", autentico elaborato che delinea la gravità di una cornice sociale che tende ad opprimere la diversità e l'unicità per privilegiare il conformismo, premiare l'obbedienza acritica, apprezzare uno stile di vita consumista, superficiale, mediocre e silente tale da non disturbare lo status quo. Dello stesso avviso, sempre il Dolci, indirizza praticamente ogni suo intervento in materia per avanzare sia accuse che proposte per una società più equa e realmente attenta ai bisogni profondamente umani e del contesto naturale dentro il quale si vive. Egli mette in evidenza i processi di progressivo annichilimento soprattutto delle comunità in cui dominano miseria materiale e culturale, degrado, malavita, corruzione, violazione dei princìpi basilari della vita, umiliazione e sfruttamento dei ceti sociali più svantaggiati. Uno scenario di diffusa oppressione favorirebbe, secondo le accurate analisi condotte storicamente dal Dolci, quel processo che egli chiama il "succube impecorirsi", ovvero una crescente condizione di ripiegamento e schiacciamento dell'individualità da parte della massa che assorbe ed annulla ogni singolarità, appiattendo ogni elemento che ne fa parte dentro i medesimi parametri, privando lo stesso della possibilità di godere di un proprio libero pensiero, di un proprio spazio vitale di espressione autonoma e fuori dal comune standard imposto. Tutto questo, ovviamente, non dovrà far pensare che non esiste la possibilità di costruire esperienze di gruppo e di comunità che possano invece rispecchiare ed implementare quei precetti di natura sociale caldeggiati da una pedagogia che invece rimette al centro il valore della relazione vivificante in grado di orientare l'individuo a sperimentare la forza coesiva del gruppo, ed a darvi il proprio contributo affinché accrescano le risorse comunitarie, il senso di un "essere con" e di un "essere per" che ricollochi al vertice la formazione di un sensibile atteggiamento di solidarietà e riconoscimento dell'altro. Sono possibili ed auspicabili modelli alternativi rispetto a quello dominante basato sull'individualismo e sulla competizione, e che dunque si pongono come proposte mature e ispirate ai valori dell'unità e della pace sociale. Lo stesso Dolci sperimentò metodologie di progresso sociale di ispirazione socratica, aiutando le comunità più colpite dalla piaga della corruzione a riappropriarsi del loro senso di appartenenza, a ribellarsi alle minacce della criminalità organizzata, a non accettare il ricatto del clientelismo, ad organizzare una vita comunitaria in grado di gestire e contare sulle proprie risorse, in modo da emanciparsi sotto ogni aspetto. Di pari passo alla straordinaria impresa del Dolci si possono reperire anche le proposte di Aldo Capitini (1899 - 1968), il quale sollecitava ogni strato interno interno di società af auto-organizzarsi e creare una rete estesa di rapporti, scambi, di aperta e trasversale progettualità dove tutti si sentissero inclusi senza nemmeno dover aver bisogno di una rappresentanza e di una formale delega a vari portavoce. Nascevano le pratiche di una omnicrazia applicata, sostanziata da valori profondamente legati a idee di uguaglianza e sviluppo comunitario. Tali passaggi storici ci rendono conto dell'esistenza circa la possibilità di generare gruppi funzionali che seppur con limiti, ostacoli e difficoltà sempre presenti nella difficile conduzione dell'esperienza collettiva, possono comunque rendere conto anche dei bisogni individuali e facilitarne la visibilità e il soddisfacimento proprio in virtù della forza del gruppo. Esiste, cioè, la facoltà di esplicitare una vita di gruppo che valorizza, sostiene e riconosce l'individualità, mentre al tempo stesso l'identità del singolo si pone al servizio del collettivo, aprendo un rapporto continuo e circolare da cui ciascuno ne ricava forza e supporto reciproco. È questa la condizione di quel corpo sociale noto come "pubblico", la cui antitesi, anche seguendo il paradigma dello stesso Charles Wright Mills (1916 - 1962), è invece rappresentata dalla "massa", scenario opposto agli elementi cardine ed ai vissuti specifici che contraddistinguono invece un gruppo. Parafrasando le differenze sostanziali trovate dal Mills, queste consisterebbero specialmente nei seguenti punti: _ Nel pubblico si instaura un processo comunicativo circolare, articolato, fecondo e produttivo di idee, ipotesi, proposte, soluzioni, progettualità, tendenti ad accogliere, valorizzare e far emergere l'emerito contributo di ciascuno. _Nella massa non vi è che una sola idea: quella accettata dall'esterno, e che non può essere confutata e messa in discussione, pena il respingimento, il disconoscimento e l'ostracismo verso il singolo che viola il precetto fondante intorno a cui la massa si riconosce. Ciascuno è accolto soltanto nella misura in cui partecipa a difendere i costrutti condivisi da tutti. Non è ammessa la produzione propria di idee o sentimenti alternativi alle aspettative di massa. _ Nel pubblico, il flusso comunicativo raggiunge tutti e ciascuno può negoziare, dibattere e introdurre visioni possibili a ciò che viene condiviso insieme; con la finalità di passare all'azione, di trasformare cioè le idee progettuali di base ad un vero e proprio percorso pianificato che includa una organizzazione di funzioni ed una distribuzione adeguata e strategica di ruoli. _ Nella massa vige un ordine rigido e inamovibile, ed è praticata una tale devozione a una idea impersonale, che tutta l'energia della massa tende alla conservazione ed alla perenne stabilità dell'unico modo con cui la massa sa esistere. Tale condizione di autoreferenzialità è l'unico modello che la massa sia capace di esplicitare, mortificando ogni possibilità di emancipazione e di progresso. _ Qualora il pubblico decida di auto-organizzarsi mediante un organigramma interno che definisce ruoli esecutivi e decisionali, questo tiene conto delle esigenze della collettività, lavorando essenzialmente secondo uno spirito di servizio. _ La massa è governata da un vertice che detta in modalità unilaterale le condizioni attraverso cui la massa stessa dovrà rendere conto a ciò che la controlla. Pertanto, il potere che controlla la massa impedisce la generazione di idee che mettano in discussione la tenuta stessa della massa come organismo compatto in forza del suo avvilente conformismo. Nel pubblico vige il confronto, il dibattito guidato secondo i criteri più maturi della democrazia partecipata, mentre nella massa la fa da padrone la coercizione e il cosiddetto pensiero unico. Lo scenario contemporaneo che si è andato profilando e soprattutto consolidandosi in questo ultimissimo e recentissimo periodo, dimostra senza alcuna ombra di smentita come i mezzi di trasmissione (non di comunicazione) abbiano creato una massificazione nella percezione collettiva in merito alle cronache e alle narrazioni attuali. Il massivo bombardamento di notizie allarmistiche e l'overload incessante, ininterrotto, congiunto a una rivalutazione forzata delle proprie esigenze vitali, a una riconsiderazione dei propri diritti costituzionali acquisiti, ha prodotto (che poi sarebbe meglio dire rafforzato) la massa di soggetti acritici che seguendo il principio di autorità rispondono perfino coi medesimi automatismi ad ogni tentativo di recuperare la logica e di governare il terrore indotto. Come degni appartenenti di un branco, assalgono chiunque tenti di far soltanto intravvedere loro uno scorcio di realtà non dapprima considerata. Anche i mezzi che utilizzano per tacitare e respingere chi li induce a pensare, non sono per la verità espedienti del tutto autonomi, in quanto risultano pre-programmati da un'autorità che spinge loro a massificare i loro comportamenti reattivi, ed a dipendere esclusivamente da una sola versione dei fatti. Senza una programmazione già decisa ed immessa a monte, i soggetti semi-automi della massa non saprebbero come comportarsi. Essi rispondono soltanto alle istruzioni con cui vengono formattati. Ribaltando per assurdo tale programmazione pagherebbero un costo troppo elevato che non possono permettersi: quale realizzare prima di tutto che l'autorità che aveva garantito loro di proteggerli, in realtà li ha ingannati, e che era solo un lupo vestito da agnello. Dovrebbero sospendere l'idea di sé, l'idea di mondo, l'organizzazione dei propri vissuti e delle proprie relazioni, sovvertire le priorità, rivoluzionare la scala dei bisogni, rivoltare completamente l'esperienza con cui hanno imparato a dare un senso (falso) alle loro illusioni, e con cui hanno investito nella loro attività, nel loro ruolo sociale, nella loro reputazione, nella loro visibilità. Sarebbe un passaggio troppo drastico che non possono permettersi. La massa, in questo caso, rappresenta la gabbia d'oro di queste personalità senza personalità, che con il loro atteggiamento teso alla conservazione della zona di comfort hanno contribuito, purtroppo, a far precipitare la società in uno dei periodi più oscuri e tetri della sua esistenza. Il compito di estrema difficoltà attuale consiste nel difendere quella efficace risultante sociale che è invece il pubblico, prodotto sempre più prezioso di uno scenario sociale che forse, parafrasando Bauman, ha perfino superato lo stato liquido, passando a uno stato gassoso, in cui si può osservare la fine della logica e la fine di ogni falso mito e finto valore che per troppo tempo hanno regolamentato una società decaduta e fallita sotto molti aspetti, la quale attende soltanto la svolta epocale di cui ha urgentemente bisogno. (dott. Nuccio Salis - Pedagogista clinico, Counselor socioeducativo, Formatore analitico-transazionale)

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