COINVOLGIMENTO EMOTIVO-RELAZIONALE DEL CAREGIVER. Counselor e cliente come testo ermeneutico

Inviato da Nuccio Salis

Si sente spesso affermare specie in campo educativo che la relazione fra il caregiver e l'utente che ne beneficia, si configura invero come una reciproca avventura di crescita e di scambio formativo. È certamente un'esperienza consolidata che si riscontra diffusamente nelle storie e nelle narrazioni con cui noi operatori della relazione di aiuto possiamo ricostruire l'aneddotica del nostro percorso esistenziale potenziato ed arricchito dagli incontri con le storie, le identità e le personalità dei soggetti a cui abbiamo rivolto (o attualmente rivolgiamo) i nostri interventi.

Se dapprima, questo ordine di considerazioni era limitato e circoscritto all'interpretazione e al vissuto dell'esperienza educativa con chiave di lettura romantica e suggestiva, in tempi molto recenti queste riflessioni sono maturate per uscire da una prospettiva ingenua riservata ad attribuzioni di provenienza esterna, che pur con molte imprecisioni ne hanno colto questo rilevante aspetto, per costituire un serio oggetto di studio valevole di ricerca e di approfondimento. Ciò che si è dovuto evincere dalle continue indagini cliniche è che il rapporto terapeutico ha da sempre assunto una connotazione di specularità fra erogatore dell'azione di aiuto ed il ricevente. Se l'impostazione terapeutica più anacronistica profilava il rapporto terapeuta/paziente ascrivendolo esclusivamente all'agire unidirezionale del primo verso il secondo, le più recenti ed attuali rivalutazioni sulle speciali implicazioni di tale rapporto, fanno emergere con netta evidenza come la relazione fra i due soggetti impegnati nella costruzione dell'alleanza terapeutica tendano a stabilire una comunicazione interdipendente caratterizzata da un flusso a due vie, e di continui e significativi rilanci di feedback fra l'uno e l'altro. È da questo tipo di struttura dinamica che si afferma il valore di un'esperienza che non è più ridotta a un operare unilaterale da un soggetto verso un altro, quanto piuttosto da un processo di impegno e responsabilità redistribuito fra le parti che contribuiscono in modo attivo e partecipante a generare la storia specifica dell'incontro, a significarlo e onorare una cornice di senso che deriva dalla presenza di entrambi. Presenze, cioè, che agiscono all'interno del setting come individui sensemaker, dotati della facoltà di generare codici, contenuti e piani di lettura che orientano ciascuno a ritrovarsi e ri-conoscersi, proprio in forza di un incontro che genera il testo ed il frame che ospita le entità individue e specifiche che offrono e mediano la loro visione dentro il processo ermeneutico del confronto. Tale impostazione può essere fatta risalire all'inevitabile ed epocale svolta realizzata storicamente da Jung, quando, emancipandosi dall'imponente autorità del guru massimo della psicanalisi, e guadagnandosi un suo profilo epistemologico, sviluppò un suo indirizzo che conteneva numerose e significative revisioni di alcuni punti nevralgici della dottrina psicanalitica di impronta freudiana; attribuendo per esempio maggiore interesse alla possibilità di sperimentarsi in un controtransfert sfuggito in quel caso anche al controllo della deontologia professionale; il cui passaggio è il riferimento alla storia di passione che Jung ebbe con una sua paziente, ritrovandosi così a gestire una doppia rottura: quella della sua reputazione professionale e quella dell'essere un marito che stava violando il patto di fedeltà verso la consorte. La vicenda di Jung ci insegna la difficoltà di gestire il coinvolgimento emotivo e il pathos che determinate storie possono riprodurre in noi. Perciò, l'impatto e l'alchimia con la storia e le vicende altrui in situazione di setting devono interessarci ed assorbire il massimo della nostra attenzione, per essere comprese e analizzate con estremo rigore. Dal momento che infatti dobbiamo prendere atto di questo fenomeno, esso non può più essere trascurato e ricondotto a forza in una sorta di indifferenza e refrattarietà all'indagine scientifica solo perché ne turba l'impianto epistemologico fondato sulla convinzione che l'operatore non è influenzato o contaminato dalla carica emozionale che può provocargli l'evento della conoscenza con l'altro da sé. Non è possibile ignorare il rilevante spessore della dimensione psico-affettiva che determina il nostro grado di lucida visione ed interazione durante l'esperienza in cui siamo deputati ad offrire ascolto e sostegno. Ne va della nostra affidabilità di guide sicure e competenti, e quindi anche dell'efficienza del trattamento condotto. Questa diventa perciò la ragione per la quale è indispensabile ricollocare al centro della scena terapeutica il fenomeno del legame reciproco fra consulente ed appellante, nei termini di una interdipendenza efficace, che non perdendo il necessario carattere dell'asimmetria si direziona lungo un processo di contatto che vivifica la condizione e lo status di ciascuno dei soggetti che da luogo alla relazione terapeutica come testo ermeneutico, in cui ogni individuo ne è co-autore e co-protagonista. Il fine auspicato da entrambe le figure, con tutti i loro distinti marcatori di ruolo, dovrebbe coincidere comunque con l'attività di ricerca e di espressione dei propri punti di forza e risorse, come cammino reso ancora più sensibile e sofisticato dal delicato (e non più nascondibile) processo di rispecchiamento da cui ciascuno è investito. Un passaggio, questo, la cui continuità storica, rispetto alle vicende dapprima accennate, promana dall'esperienza scientifica di Carl Rogers, attento e valoroso psicologo che sul fenomeno del mirroring ha fondato le sue procedure operative e metodologiche. La novità eclatante nel ridimensionare il setting terapeutico per favorire vicinanza, prossimità e aumento del sentire empatico verso il cliente, da parte del consulente, rappresenta un robusto punto di svolta nella storia del trattamento psicoterapico e di ogni corrente del counseling che riqualifica e riposiziona al centro di tutto il valore della persona. Insomma, il classico copione fra figura medica sovrastante e paziente a cui è assegnato il solo compito di accettare ed eseguire le direttive del primo, ha concluso il suo corso storico, diventando qualcosa di struggente e di anacronistico. Viene piuttosto assunto come molto più interessante ed articolato oggetto di studio, la dimensione intersoggettiva fra consulente e cliente, come area comune di un reciproco affidarsi a un'alterità in grado di sostenere e decriptare correttamente i codici e le valenze dei nostri costrutti di mondo. Un territorio dapprima inesplorato, reso quas un tabù da precetti inappellabili, che poi è divenuto invece raffinata argomentazione da parte di autori, ricercatori e divulgatori che hanno scelto di approfondire, perscrutare e osservare in modo accurato questo prezioso configurarsi di un fenomeno dapprima troppo sottostimato. E così, ecco che entrambe le parti protagoniste dello scambio, divengono parte di una narrazione che esalta la componente umanistica, ispessisce la volontà di auto-analisi e fomenta capacità generative di senso, su una congruente piattaforma relazionale di pari dignità, dove ciascuno si riscopre co-creatore (proprio per usare un'espressione cara agli indirizzi più aggiornati della scuola analitico-transazionale) all'interno di un procedimento in cui strumento e mezzo strategico principale di promozione del benessere è il rapporto stesso, accettato perfino dai più contemporanei approcci psicanalitici con la dicitura di "campo bipersonale", ovvero quel luogo psicologico entro cui si imbattono biografie, trame, identità e costrutti che vengono investiti come elementi ad alta valenza terapeutica, capaci di indirizzare versioni più equilibrate delle rispettive personalità sia di chi apporta l'aiuto che di chi ufficialmente lo riceve, e che per l'appunto, in questo caso lo dispensa senza che nemmeno questo faccia parte del suo mandato o delle sue personali intenzioni. Si assiste ancora una volta alla decisiva potenza insita nei rapporti umani, la cui qualità ed efficacia, connotata e guidata attraverso la risorsa dell'empatia, in ambito della relazione di aiuto, è in grado di validare e definire sul serio quel necessario punto di svolta che caratterizza la salute umana potenziando il parametro più importante, ovvero la capacità di riconoscimento dell'altro da sé, e quindi di un irrinunciabile coinvolgimento dello stesso nei processi di negoziazione e significazione fra le principali coordinate della propria esistenza. dott. Nuccio Salis (Pedagogista clinico, Counselor socioeducativo, Formatore analitico-transazionale)

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