abili Alibi…labili


abili Alibi…labili

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           Alibi: dal latino alius, altrove e ibi, ivi: spostare, sostarsi da qui altrove, spostare l’attenzione da sé al contesto.

Difficile ammetterlo persino con noi stessi, eppure è un dato di fatto che ognuno di noi, a dispetto dell’età e della condizione, ha come un’innata facoltà di usare alibi e una ingegnosa creatività nell’escogitarne di singolari. Sono scuse, sono il tentativo di attribuire un nostro fallimento a qualcosa che non dipende da noi (Julio Velasco) ammantati, per noi stessi e per gli altri, da razional-logico-seriose motivazioni, che diventano ineccepibili persino dimostrabili giustificazioni.

 

Così, per un certo ben oliato automatismo, ci concediamo la libertà di ribadire con sicurezza che quanto adduciamo per analizzare e spiegare la nostra posizione, il nostro insuccesso, non è alibi, è invece ricostruzione obiettiva di fatti e vincoli e, anzi, ribadiamo con forza che per noi ogni alibi è una “scusa” inammissibile.

           Eppure, nel momento stesso in cui trasferiamo la responsabilità di ogni esperienza negativa, di ogni obiettivo mancato o appena appena sfiorato a fattori esterni o a provate nostre difficoltà interiori che altri ci hanno indotto e che altri ancora non ci consentono di superare, ci comportiamo come autentici professionisti dell’alibi. Ci presentiamo come vittime, ma non per nostra pusillanimità o per mancata convinzione, bensì vittime autentiche di forti pressioni che noi con la nostra “buona” educazione e i nostri sani principi non possiamo contrastare.

Concediamoci la lettura di un antico racconto per capire meglio quanto infida sia la strada delle giustificazioni, quanto in fondo sia strutturata di autentici alibi e forse ci sentiremo più desiderosi di agire con coraggio, non prima di aver accettato i nostri limiti.

Un monaco girovago si trovò sorpreso dalla tempesta; dovendo cercare rifugio scorse una piccola capanna diroccata che sorgeva accanto a un dirupo. Scoprì, con sua grande sorpresa, che la capanna ospitava una famiglia numerosa. Il capofamiglia accolse il monaco e gli offrì del latte appena munto dall’unica mucca magra con cui sosteneva l’intera famiglia. Il monaco accettò di buon grado, ma volle sdebitarsi e si offrì di meditare per loro affinché il frutto della meditazione potesse aiutarli. Prima di cominciare la sua meditazione, volle parlare con ognuno dei familiari.

E ognuno cominciò a raccontare…“Mio padre è pieno di idee e propositi - disse uno dei figli - tuttavia non trova alleati validi per realizzare i suoi progetti!”. “Mio marito è un gran lavoratore - confidò la moglie - ma non se la sente di rischiare quel poco che abbiamo per gettarsi in un’impresa che potrebbe fallire”. “Mio genero è un brav’uomo - disse la suocera-  Ma questi sono tempi infami che non permettono alla gente onesta di sopravvivere!”. “Mio fratello è una grande mente - disse la sorella dell’uomo - sta solo aspettando che le condizioni diventino favorevoli”. “Saprei come cavarmela - rivelò l’uomo al monaco- se fossi solo non ci penserei due volte a rischiare il tutto per tutto, ma come posso chiedere alla mia famiglia un tale rischio?”.

Il monaco iniziò a meditare e durante la notte ebbe un’illuminazione e decise di lasciare la capanna, portando con sé la mucca magra. Lasciò un messaggio di poche parole al capofamiglia: “Ti ho privato della tua zavorra, ora non hai scelta, agisci!”.

Il monaco tornò dopo un anno riportando la mucca, ma non trovò più la capanna: al suo posto sorgeva un’abitazione maestosa. Gli fu detto che lì viveva una famiglia di commercianti che fino ad un anno prima abitava in una capanna diroccata e aveva solo una mucca magra.

Il monaco sorrise, lasciò la mucca ai suoi padroni e se ne andò.

L’antidoto all’alibi? Mettersi in gioco, sempre!

https://www.riza.it/psicologia/tu/4405/via-dagli-alibi-sono-solo-zavorre.html

           Quando le nostre convinzioni –per lo più limitanti, vere e proprie psicotrappole– prendono il sopravvento e ci asteniamo dall’agire, in fondo stiamo raccontandoci scuse per non metterci davvero in gioco.

           Rinviamo alla seconda puntata, qualche altra riflessione sull’alibi che, per quanto abilmente architettatto…è labile, terreno scivoloso e infido.

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

 

 

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