La fatica di leggere 2 … formidabile esperienza interattiva
Lo dicevamo già in una precedente riflessione, leggere è operazione innaturale, dunque faticosa; e tuttavia affrontare la fatica della lettura è un modo per contribuire, consapevolmente al ricablaggio del cervello che sempre avviene nel tempo grazie a strumenti come il linguaggio e la lettura, capaci di modificare i circuiti del nostro cervello e di plasmare il nostro pensiero, quindi la nostra interpretazione e interazione con il mondo.
Se ogni nuovo libro che leggiamo è in grado di cambiare il nostro modo di pensare, di modificare le forme della cognizione e le nostre conoscenze, accade anche che il cervello è destinato a modificarsi per l’assenza della lettura, per l’esercizio prevalente di quella digitale, cinguettante, frammentata, veloce e basata sulla interazione con un display illuminato.
Il cambiamento è già in atto e in fase di accelerazione, segnalato da studiosi come la neurologa Maryanne Wolf, l’italiana Anna Maria Testa, ma anche da insegnanti impegnati in una lotta impari a far comprendere ai loro alunni che leggere va ben oltre la lettura dei testi scolastici o delle sequenze continue di messaggini e cinguettii, così come va oltre le immagini e ben oltre una lettura sempre più visuale che favorisce l’emisfero destro del cervello rispetto a quello sinistro.
Il pensiero analitico, che coincide con la storia dell'Occidente, ha duemilacinquecento anni di storia. Prima non si pensava in modo analitico e sequenziale, ma olistico e globale, e oggi, grazie alla televisione e al computer, si torna a pensare in quel modo. Nel tragitto culturale percorso dall'umanità Raffaele Simone individua tre fasi. (cfr. Umberto Galimberti, Se le nuove tecnologie rendono inutile comunicare,Prometeo, giugno 2019, pag. 49)
La prima coincise con l'invenzione della scrittura che permise di dare stabilità alle conoscenze che sono un patrimonio fragile, delicato, sempre esposto al rischio di andare perduto.
La seconda si aprì venti secoli dopo con l'invenzione della stampa che fece del libro, fino allora costosissimo e non riproducibile, un bene a basso costo e alla portata di tutti, che consenti a milioni di persone di attingere a cose pensate da altri, a immense distanze di tempo e di spazio.
Negli ultimi trent'anni siamo traghettati nella terza fase, in cui le cose che sappiamo, dalle più elementari alle più complesse, non le dobbiamo necessariamente al fatto di averle lette da qualche parte, ma semplicemente al fatto di averle viste in televisione, al cinema, sullo schermo di un computer, oppure sentite dalla viva voce di qualcuno, dalla radio, o da un amplificatore inserito nelle nostre orecchie e collegato a un walkman.
[…]Con l'avvento della scrittura il vedere acquistò un primato rispetto all'udire, ma non lasciò senza cambiamenti la stessa vista che, da visione delle immagini del mondo, dovette imparare a tradurre in significati una sequenza lineare di simboli visivi. Se ad esempio leggo la parola "cane", la forma grafica della parola e quella fonica non hanno niente a che fare con il cane, e allora la visione dei codici alfabetici comporta un esercizio della mente che la visione per immagini non richiede. Ciò ha comportato un passaggio da un tipo di intelligenza che Raffaele Simone chiama simultanea ad altro tipo di intelligenza considerata più evoluta che è quella sequenziale. L'intelligenza simultanea è caratterizzata dalla capacità di trattare nello stesso tempo più informazioni, senza però essere in grado di stabilire una successione, una gerarchia e quindi un ordine. È l'intelligenza che usiamo ad esempio quando guardiamo un quadro, dove è impossibile dire che cosa in un quadro vada guardato prima e cosa dopo.
Intelligenza sequenziale, invece, usiamo per leggere, quella che necessita di una successione rigorosa e rigida che articola e analizza i codici grafici disposti in linea. Sull'intelligenza sequenziale poggia quasi tutto il patrimonio di conoscenze dell'uomo occidentale. Ma questo tipo di intelligenza, che fino a qualche anno fa sembrava un progresso acquisito e definitivo, oggi sembra entrare in crisi ad opera di un ritorno dell'intelligenza simultanea, più consona all'immagine che all'alfabeto. Radio, telefono e televisione hanno riportato al primato l'udito rispetto alla vista, e ricondotto la vista dalla decodificazione dei segni grafici alla semplice percezione delle immagini che sugli schermi si susseguono, con conseguente modificazione dell'intelligenza la quale, da una forma evoluta, regredisce a una forma più elementare. L'homo sapiens, capace di decodificare segni ed elaborare concetti astratti è, afferma Raffaele Simone, sul punto di essere soppiantato dall'homo videns che non è portatore di un pensiero, ma fruitore di immagini, con conseguente impoverimento del capire dovuto, secondo Giovanni Sartori (1998) all'incremento del consumo di televisione.
[…] Il computer, inteso come mezzo di comunicazione, per addentrarsi nel territorio della rete o, come ormai si dice, del cyberspazio, da tutti è considerato un utilissimo "mezzo", mentre in realtà è un "mondo".
Se il mezzo esiste in funzione di un fine liberamente scelto, rispetto a cui il mezzo serve appunto a "mediare", il computer che sta sul mio tavolo è allora un "mezzo" come lo è il martello che serve a piantar chiodi o la tenaglia che serve per estrarli? No, risponderebbe Giinther Atiders, perché: "Non esistono apparecchi singoli. La totalità è il vero apparecchio. Ogni singolo apparecchio è, dal canto suo, solo una parte di apparecchio, solo una vite, un pezzo del sistema degli apparecchi. Non avrebbe assolutamente senso affermare che questo sistema di apparecchi, questo macroapparecchio, è un "mezzo" che è a nostra disposizione per una libera scelta di fini. Il sistema di apparecchi è il nostro "mondo” che oggi siamo soliti chiamare rete o cyberspazio e non mi lascia altra scelta se non quella di parteciparvi o starmene fuori. Il mio ipotetico sciopero privato non cambia nulla al fatto che, se tutta la vita, da quella occupazionale a quella privata, scorre sulla rete, non disporre di un apparecchio che alla Rete mi collega, mi esclude dal mondo, sia esso quello lavorativo sia esso privato.
La mia libertà di acquistare o meno un computer è già stata soppressa.
Ma il mondo che la rete diffonde non è la realtà del mondo e tanto meno l'esperienza che se ne può fare: è solo il fantasma del mondo, quando non la sua alterazione dovuta al fatto che il mondo reale si svolge ormai in funzione della sua "trasmissione". Se infatti non c'è mondo al di là della sua descrizione, la telecomunicazione non è un "mezzo" che rende pubblici dei fatti, ma la pubblicità che concede diventa il "fine" per cui i fatti sono compiuti. L'informazione qui perde la sua innocenza, perché cessa di essere un resoconto per tradursi in vera e propria costruzione di fatti: e questo non solo nel senso che molti fatti non avrebbero rilevanza se la telecomunicazione non ne desse notizia, ma perché un enorme numero di azioni vengono compiute all'unico scopo di venire teletrasmesse.
Solo se gli adulti approdano alla consapevolezza del problema, dei limiti e dei pericoli insiti nel nostro mondo, la loro relazione con le giovani generazioni potrà essere autenticamente educativa ed efficace.
Leggere, scrive Italo Calvino in Mondo scritto e Mondo non scritto è “un processo che coinvolge mente e occhi insieme, un processo d’astrazione o meglio un’estrazione di concretezza da operazioni astratte, come il riconoscere segni distintivi, frantumare tutto ciò che vediamo in elementi minimi, ricomporli in segmenti significativi, scoprire intorno a noi regolarità, differenze, ricorrenze, singolarità,sostituzioni, ridondanze”. E Calvino è uno dei pochi autori che hanno condotto una vera e propria indagine su un atto che viene spesso dato troppo per scontato e lo ha fatto dedicando svariati saggi al tema ma soprattutto consegnandoci un’opera tanto singolare come Se una notte d’inverno un viaggiatore. Un’opera in cui la figura dell’autore e quella del lettore si con/fondono in un gioco in cui si svelano i meccanismi sottesi a quel misterioso incontro che avviene fra le pagine di un testo. Calvino nello spiegare il suo lavoro scrive: “è un romanzo sul piacere di leggere romanzi; protagonista è il Lettore, che per dieci volte comincia a leggere un libro che per vicissitudini estranee alla sua volontà non riesce a finire. […] Ho dovuto scrivere l’inizio di dieci romanzi d’autori immaginari, tutti in qualche modo diversi da me e diversi tra loro […] più che d’identificarmi con l’autore di ognuno dei dieci romanzi, ho cercato d’identificarmi col lettore: rappresentare il piacere della lettura d’un dato genere, più che il testo vero e proprio. […] Ma soprattutto ho cercato di dare evidenza al fatto che ogni libro nasce in presenza d’altri libri, in rapporto e confronto ad altri libri.” Se una notte d’inverno un viaggiatore è il romanzo che celebra la lettura sollevandola dalle ceneri dell’atto scontato per renderla una piena presa di consapevolezza. Nelle parole del narratore, sotto lo strato di compiaciuta ironia, si cela la poesia di chi vuole raccontare il piacere di un’esperienza che non trova quasi mai lo spazio per far parlare di sé, un’esperienza spesso relegata a strumento, a tramite, a filtro. Ma nel descrivere le piccole azioni che la circondano Calvino le restituisce una fetta di visibilità, ponendola sotto i suoi stessi riflettori in modo che possa auto raccontarsi e lasciare intravedere, anche se in minima parte, il suo misterioso richiamo. Quel richiamo che ogni giorno ci spinge ad “andare incontro a qualcosa che sta per essere e ancora nessuno sa cosa sarà”.
Con la straordinaria ironia che tanto lo caratterizza, Calvino apre il suo romanzo con un cerimonioso quanto goliardico invito alla lettura che prende lo spazio di un intero capitolo in quello che è un gioco di strizzate d’occhio e complicità che instaura con il lettore.
“Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: «No, non voglio vedere la televisione!» Alza la voce, se no non ti sentono: «Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!» Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo più forte, grida: «Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino!» O se non vuoi non dirlo; speriamo che ti lascino in pace.”
La lettura per Calvino è infatti un’esperienza soggettiva che lascia tracce diverse su ogni individuo. In Perché leggere i Classici l’autore scrive: “Il «tuo» classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui.” Ognuno di noi è quindi in realtà portatore delle centinaia e migliaia di esistenze raccolte tra le pagine che lo hanno accompagnato e che finiscono in qualche modo per costruirgli intorno un’identità fondata sulla molteplicità. La molteplicità di cui parla Calvino in Lezioni Americane è quella delle coscienze. Quale atto è infatti più democratico della lettura? È una forma di comunicazione pura in cui si accoglie la parola dell’altro praticando un silenzio interiore che raramente conosciamo. Ma è anche un processo di transfert in cui si guarda al mondo indossando uno sguardo estraneo, dando forma a quello che è probabilmente il più puro ed intimo esempio di contatto umano.
Nella sua ancestralità la lettura è in realtà ancora oggi la più forte ed efficace esperienza interattiva che si possa compiere. Nell’abitare gli svariati corpi dei personaggi con cui entra a conoscenza e nel vivere e assaporare i tempi e gli spazi che appartengono loro, il lettore si fa protagonista di un’immensa varietà di esistenze in un puro, breve e provvisorio momento di convergenze temporali. E lo fa mettendo in moto un processo cognitivo che, passando prima per il corpo e poi per la mente, crea una forma di conoscenza altrimenti inafferrabile. Questa conoscenza passa prima di tutto per un’autoconoscenza perché “la lettura è un rapporto con noi stessi e non solo col libro, col nostro mondo interiore attraverso il mondo che il libro ci apre.”
Cordialissimamente
Giancarla Mandozzi
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