I VIRUS DELL’INSEGNAMENTO. L’importanza del counseling e della formazione in ambito scolastico

Inviato da Nuccio Salis

studente 

Nell’ambito della formazione degli operatori scolastici si insiste nel voler giustamente ricondurre al centro della questione l’importanza essenziale di un rilancio del ruolo e della funzione docente, a cui vengono assegnati complessi e raffinati compiti e mandati sociali e professionali tali da richiedere una profonda revisione ed aggiustamento del profilo tecnico di tale figura. I suoi requisiti e le sue competenze non possono più essere improvvisati ed affidate all’apparente casualità degli eventi, quanto piuttosto padroneggiata da una professionalità irrobustita da una formazione di qualità crescente, che soddisfi i bisogni di conoscenza scientifica e strategica della nuova professione docente, in grado di gestire ed affrontare la difficile missione di fronte alla quale ciascun insegnante si trova davanti.

 

Uno dei principali snodi che viene a tutt’oggi affrontato riguarda il rapporto che un insegnante si trova a sviluppare con se stesso e con tutte le determinanti contestuali che lo legano alla professione che svolge, in una intricata rete di relazioni di varie tipologie, soggette a numerose e specifiche variabili.

La formazione docente oggi non può essere limitata esclusivamente alla trasmissione di un repertorio di strategie e di interventi che escludono la presa in cura dell’identikit personologico del docente stesso. Un insegnante potrà svolgere serenamente e con maggiore efficienza la sua funzione se pone egli stesso nella condizione di potersi conoscere, e di scoprire anche parti ed elementi di sé non ancora del tutto risolti, o addirittura in grado di contaminare i propri equilibri interni e dunque pregiudicare la validità degli effetti esterni in merito alle azioni compiute.

Ad esempio, in letteratura sul tema viene anche dato spazio a certe convinzioni interne che una certa moltitudine di insegnanti hanno interiorizzato, rendendole consolidate bussole del loro vissuto e dunque del loro operato esterno tradotto in atti più o meno pianificati.

È necessario allora affrontare almeno due delle tipologie che fanno riferimento a due condizioni di pensiero distorto che fanno sentire l’insegnante inadeguato e incapace ai suoi stessi occhi, a meno che egli non veda realizzati i propositi auspicati da se stesso e dall’istituzione di cui fa parte.

Questa combinazione di un pensiero a doppia matrice, dove esiste un legame causale fra due eventi, rende l’insegnante psicologicamente fragile e vulnerabile. Scopriamo perché e quali sono per la precisione questi due sistemi di pensiero fra quelli più prevalenti.

 

 

Pensiero interno “sono valido solo se gli studenti sanno

È la convinzione di chi misura la sua efficacia professionale soltanto nel riscontrare che sia avvenuto l’assorbimento nozionistico presso gli allievi a cui ha rivolto la sua unità di apprendimento.

Tale convinzione è vincolata all’idea che la responsabilità della qualità dell’apprendimento debba essere attribuita esclusivamente all’insegnante. È il rischio di sopravvalutare la propria influenza insegnativa. Ma anche la debolezza nel limitare l’esperienza di apprendere esclusivamente alla possibilità di valutare la quantità mnemonica delle istruzioni introiettate. È la classica confusione in termini della conoscenza sovrapposta alla mera adesione fra informazioni possedute dallo studente e grado di attenzione rivolta al processo della scolarizzazione. Questa misura invece non rende affatto conto della complessità esperienziale svolta dallo studente, e riduce tutta l’attività (didattica e matetica) ad un’acquisizione lineare di dati e ripetizione pedissequa degli stessi da parte degli allievi. L’avvenuto fenomeno di tale processo delineerebbe il livello di funzionalità da parte dell’esperienza condotta dall’insegnante.

Oltre che un’analisi misera sotto il profilo pedagogico-scientifico, che sottrae all’insegnante una visione globale del fenomeno di cui in oggetto, si tratterebbe anche di una rischiosa esposizione personale ad eccessi di disistima e disaffezione dal proprio contributo all’opera di insegnamento ed educazione.

È una posizione psicologica nota come ‘amore condizionato’, e che vanifica l’autenticità interiore e la legittima persistenza di una realistica e qualificante visione di sé, assumendo uno status di autosvalutazione, in quanto si dipende dal successo altrui di cui ci si sente (e spesso a torto) unicamente responsabili, per non dire, propriamente in questo caso, colpevoli.

 

Pensiero interno “sono valido solo se gli studenti maturano”

È questo l’imperativo categorico interiore, il comando interno spesso non riconosciuto consapevolmente, che lega la percezione del valore professionale e personale dell’insegnante al grado di maturità raggiunto dagli allievi, peraltro su criteri e requisiti affidati a canoni non sempre precisi e oggettivamente affidabili. Anche qui, come nella condizione precedente (a riprova del fatto che i due status possono decisamente coesistere), l’insegnante sviluppa, difende e coltiva la sua autoefficacia e la sua autostima a patto che realizzi a suo modo di vedere dei riscontri tangibili nella vita scolastica e nel comportamento dei suoi alunni.

Si tratta anche di un’esasperata e poco risolta attitudine paternalistica a fare in qualche modo le veci di un genitore o di una guida saggia che indica, suggerisce, proclama, attende constatabili riscontri.

Ancora una volta l’equilibrio e la salute emotiva dell’insegnante, e le sue stesse idee, aspettative e valori legate al suo ruolo e alle sue funzioni sociali, sono a rischio di una destrutturazione troppo invalidante e non ancora facile da poter gestire e rinnovare verso un nuovo necessario profilo, il quale pur non perdendo di vista gli elementi irrinunciabili che costituiscono l’ossatura forte di tale mestiere, vengono al tempo stesso riadattati (non perduti e giammai sviliti) ad un contesto complesso che richiede approcci più aperti, funzionali e flessibili in grado di contemplare l’interconnessione dei bisogni articolati e sempre più richiedenti capacità crescenti di introspezione e lucida visione sociale.

 

I rischi di queste posizioni radicalizzate devono essere portate all’attenzione consapevole di ciascun insegnante, prima che tali convinzioni agiscano come dei veri e propri virus mentali (per usare il linguaggio di Ellis), e si rendano complici di una visione nefasta e disfattista di se stessi come insegnanti capaci. L’affermazione di una tale percezione di sé connoterebbe l’insegnante dentro una figura fallita da cui si può soltanto imparare la rinuncia, la disperazione e la sfiducia di sé, generando quel circolo vizioso che accresce le problematiche soprattutto nella comunicazione fra il referente adulto ed i ragazzi. Tale distacco potrebbe giungere all’altro estremo e toccare un punto di incolmabile rottura.

 

 

Si arriva in pratica a chiedere troppo a se stessi. Questa condizione produce un mancato decentramento di sé nel rapporto con l’altro. Si percepisce in pratica una simbiosi Io/Altro dentro cui il riflesso dell’azione/reazione è dinamizzato da una reciproca dipendenza fra le parti che riduce o annulla il grado di autonomia di ciascuno.

Esistono anche ragioni storiche che hanno permesso l’avvicendarsi di tali strutture e procedure. Non possiamo dimenticare che specialmente in Italia, riceviamo pedagogicamente la marcata influenza dell’eredità gentiliana, e quella configurazione dell’organizzazione scolastica che vedeva l’ispettore scolastico considerare l’insegnante capace soltanto se gli studenti rispondevano alle domande che il funzionario di Stato rivolgeva a caso ad alcuni alunni.

È passato storicamente che un bravo insegnante lo si può considerare tale solo se rispetta la marcia del programma che è necessario svolgere e completare.

Attualmente, con uno scenario modificato in modo epocale, l’insegnante dovrà conoscere i meccanismi esiziali di tali processi simbiotici, e dovrà porre attenzione a non cadere nel medesimo errore in cui cadono certi genitori che in modo importuno contestano il suo operato per partito preso.

In questo importante passaggio e frangente storica che stiamo vivendo, l’insegnante è chiamato ad imparare a differenziare le sue responsabilità da quelle altrui, ed individuarsi con maggiore assertività e competenza psicologica. Senza il suo esempio-specchio, per giunta, tale obiettivo non potranno osservarlo e farlo proprio proprio gli allievi ai quali egli sta rivolgendo anche la sua azione educativa in toto.

Si può senz’altro affermare che è necessario aiutare l’insegnante a poter contare sul repertorio rinnovato ed aggiornato delle sue abilità.

Deve essere rilanciata e considerata prioritaria la centralità e l’importanza della formazione. Esperienza dalla quale ciascun insegnante dovrà imparare a darsi il permesso di esprimersi affidandosi alla sua creatività, al suo intuito ed alla sua innovazione sperimentale, specie se indirizzata a raggiungere i traguardi didattici previsti. Dovrà non avere paura ad assumere e sviluppare potere nel compiere la sua pregevole opera, preservandole dalle nefaste influenze esteriori, cercando dunque di corroborare la sua pratica lavorativa ad una valida protezione fatta soprattutto della coscienza personale dei suoi limiti, abilità sicure e risorse emotive (e non solo professionali) sulle quali contare per affermarsi ancor prima come essenza che come artigiano di una pedagogia alla quale anch’egli offrirà il suo costruttivo contributo di revisione e riadattamento.

Da più parti si avanzano osservazioni e opinioni su come sia necessario sempre più, nel mondo di una scuola chiamata ad interpretare i fatti di una società complessa quale quella odierna, nel poter consegnare un compito di tale portata ad insegnanti sempre più capaci di essere esperti di autoanalisi e creatori di relazioni interpersonali valide, efficaci e dirette alla crescita sana ed equilibrata di ciascuno, sia da parte di chi ufficialmente insegna sia da parte chi è deputato ad assumere il ruolo di studente.

Per un reale e profondo miglioramento della scuola è lo strumento insegnante che deve essere affinato con accurata e precisa pertinenza, a ragione della delicatezza e dell’importanza del suo ruolo sociale.

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