Nell’ Analisi transazionale, si parla di “emozioni parassite”, come di quelle emozioni “familiari apprese e incoraggiate nell’infanzia, vissute in diverse situazioni di stress e inadatte quale mezzo di risoluzione dei problemi.”
Sono dunque emozioni che abbiamo imparato a mettere in atto nei nostri contesti familiari, spesso perché esplicitamente incoraggiate o perché le sole consentite a scapito di altre invece non accettate o scoraggiate. Penso ad esempio che fino a pochi anni fa non era raro purtroppo sentire un genitore dire al proprio figlio maschio “..non piangere i maschietti non piangono, non sei mica una femminuccia!”
In alcuni ambienti familiari può essere una sorta di tabù manifestare alcune emozioni mentre altre vengono incoraggiate e promosse. Ogni famiglia ha una sua gamma di emozioni permesse e consentite, ed una gamma di emozioni che invece vengono inibite.
Un modo in cui apprendiamo le nostre competenze emotive, quindi è tendenzialmente inconscio, per imitazione dei nostri genitori e di altre figure significative, vedendo e risuonando con il loro stile emotivo, il modo in cui cioè vivono esprimono e comunicano il proprio mondo emotivo.
Io ricordo ad esempio l’imbarazzo e il timore di mio padre nelle situazioni sociali, anche quelle molto semplici come l’interazione con un barista. Quella percezione mi ha molto influenzato trasmettendomi innanzitutto confusione e una sorta di sfiducia nelle mie percezioni, nel mio sistema di valutazione, perché in qualche modo mi veniva segnalato che una situazione, che io percepivo del tutto innocua, fosse invece, in un modo che non riuscivo a comprendere, pericolosa, minacciosa, o comunque fonte di stress e tensione. Allo stesso tempo è difficile sentirsi protetti se percepiamo paura proprio nella figura che dovrebbe proteggerci e accudirci, di conseguenza finivo per provare paura anche io e senza comprenderne il motivo.
Come facciamo a riconoscere un’emozione parassita da una funzionale?
C’è una considerazione molto semplice che possiamo fare:
Le emozioni parassite sono inadatte a risolvere efficacemente un problema o una sfida che incontriamo.
Molto spesso sono loro stesse a creare un problema. Se sto camminando in un bosco e improvvisamente avverto un rumore sinistro dietro un cespuglio che non so decifrare, la paura che provo fa allertare il mio sistema nervoso, muscolare posturale e respiratorio, acutizza le mie percezioni e mi dispone ad una reazione di lotta o fuga. E’ un emozione del tutto funzionale alla situazione, se devo scappare predispone efficacemente il sistema motorio alla reazione di fuga.
Provare una paura che arriva a bloccarci invece, ad esempio quando vogliamo esprimere un nostro bisogno al partner o fare una richiesta al nostro capo, non ci aiuta ad ottenere il nostro scopo che è la comunicazione e la soddisfazione dei un bisogno.
Quando proviamo una qualsiasi emozione possiamo chiederci se sia effettivamente adeguata e funzionale al qui e ora della situazione. Se non lo è, secondo l’AT, stiamo nel copione, cioè stiamo seguendo un “piano di vita che si basa su di una decisione presa durante l’infanzia, rinforzata dai genitori, giustificata dagli avvenimenti successivi e che culmina in una scelta decisiva” (E. Berne)
La domanda che apre all’esperienza e nutre la consapevolezza è questa:
“Quest’emozione è veramente connessa con la situazione presente o proviene da qualche condizionamento del passato?”
provate a chiedervelo quando intuite che quell’emozione che provate ha qualcosa che non vi torna, vi sembra forse un p troppo intensa o inadatta o semplicemente un po' strana, insomma richiama la vostra attenzione in qualche modo, o verso la quale vi sentite a disagio.
Per questo, l’emozione non si rivela utile e funzionale al qui e ora, perché non nasce realmente nel qui e ora, ma proviene da una risonanza del passato risvegliata dalla situazione attuale e rimette in atto un’ antica strategia adattiva che diventa però oggi una costrizione, una sorta di obbligo a rivivere certe situazioni.
Alcuni segnali corporei dell’emozione parassita sono quelli di essere o iperattivanti o iperbloccanti; si ha una percezione che l’ energia che non circoli liberamente, o in eccesso o troppo in ribasso, depotenzianti o ansiogene , inoltre durano più a lungo, lasciano tracce per un periodo più lungo, nonché spesso, scie di pensieri ridondanti.
In un percorso di counseling espressivo e corporeo, possiamo apprendere nuove strategie per dare forma creativamente alle nostre emozioni, a riconoscerne i segnali corporei, imparare a gestirle e a trasformarle attraverso il movimento creativo ed il gesto espressivo. In modo che da parassite, che succhiano la nostra energia, possano diventare nostre alleate ed utili amiche.
< Prec. | Succ. > |
---|