questione di stile e…cambiamento


questione di stile e…cambiamento

 

Contrariati o semplicemente infastiditi dalle difficoltà di comunicazione, siamo tenacemente convinti che tante incomprensioni potrebbero essere evitate solo con un pizzico di buon senso.

Il punto è che quel “pizzico” di buon senso che saremmo pronti a usare, è il nostro e rappresenta per ciascuno di noi il buon senso.

Che sia atteggiamento difensivo verso noi stessi, o sia il segno di una volontà di imporci sull’altro, che sia consapevole o meno, contagia tutti e tanto basta perché le incomprensioni, anche su piccoli dettagli, restino immodificate.

Evidentemente le incomprensioni, minime o sostanziali con l’altro, sono proiezione di un nostro modo di essere e di intendere la relazione interpersonale, insomma  rappresentano il nostro stile, o forse più direttamente il nostro copione di vita che, come Eric Berne ci ha ben informato, si sostanzia di elementi cognitivo-emozionali che vengono da lontano e sono alimentati e sedimentati, giorno dopo giorno, dalle esperienze e dal contesto che abbiamo vissuto oltre che da quello che stiamo vivendo. Il nostro copione ci condiziona in ogni istante anche e, forse proprio, perché non lo abbiamo consapevolmente deciso, né pianificato. Ci risulta estremamente spiacevole discostarcene e il comportamento che siamo soliti usare identifica a noi stessi il nostro stile: può essere competitivo, accomodante, evitativo, o collaborativo, tendiamo a mantenerlo per non perdere quella sorta di equilibrio che ci procura, precario e poco risolutore, ma pur sempre l’unico che ci risulti familiare e che abbiamo imparato a gestire.

È in questo meccanismo che si insinua con efficacia risolutiva il counseling: il cambiamento è la nostra vera realtà e, per dirla con Paul Watzlawick e Giorgio Nardone,  in un’ottica strategica, non si conosce più per cambiare, ma si cambia per conoscere; nel dialogo strategico il cambiamento, non più avvertito come un'imposizione esterna, non sollecita le nostre abituali e automatiche resistenze, piuttosto ci appare come il naturale scioglimento del nodo che crea il disagio e il malessere rendendo possibile migliorar-ci.

Riuscire a vedersi nel cambiamento è un primo passo per risolvere il nostro disagio con strategie alternative a quelle che in passato abbiamo tentato senza successo. Non è certo un procedimento facile, ma è quello che può risolvere   incomprensioni e distorsioni interpretative negli scambi relazionali in un contesto, com’è quello del counseling, di salutogenesi.

Riflettiamo, ad esempio, a quante volte ci è accaduto di rimanere delusi proprio dalla persona, amico, familiare o semplice conoscente, verso la quale ci siamo mostrati con naturalezza e senza secondi fini collaborativi, disposti a prestargli aiuto, anche rinunciando a nostre attività o impegni. Ci ha deluso generalmente la ritrosia dell’altro, il suo pur garbato respingerci, l’assenza di un cenno di apprezzamento per la nostra sincera partecipazione e ne abbiamo tratto interpretazioni severe nei suoi riguardi, arrivando a dire a noi stessi che l’altro non ci merita e forse lo avevamo sopravvalutato.

Che cosa ci è sfuggito? Concentrati sul nostro afflato collaborativo, abbiamo semplicemente omesso di ricordare che la collaborazione è autentica solo se anche l’altro è coinvolto. Ripartendo da questa considerazione, in una prossima occasione sappiamo già che, prima di offrire collaborazione, cercheremo di capire se l’altro è disponibile a riceverla e restituircene feedback: è questo già un primo cambiamento, un primo sciogliere il nodo che era alla base di un disagio nostro e dell’altro.

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

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