Il cambiamento come obiettivo finale dell'attività di counseling


CounselorSi intende sottolineare l'essenziale funzione che svolge nell'intervento di counseling l'accoglienza dei modelli autocostruiti (modello poietico esistenziale) . Questi sono da considerarsi elemento centrale nella costruzione del modello di realtà che preordina il comportamento di ciascuna persona sia essa adulta e molto di più ancora se ragazzo in formazione.


L’attività autopoietica del soggetto è da considerarsi elemento centrale nella costruzione del modello di realtà che preordina il comportamento di ciascuna persona che sia ragazzo in formazione o adulto. In ambito rieducativo questo assunto non giustifica solo la necessità di considerare il comportamento irregolare come derivazione manifesta di una attività intenzionale disfunzionale, ma implica anche l’assunzione del ragazzo come protagonista del processo di ristrutturazione della sua visione del mondo e di riorganizzazione della sua attività intenzionale.

Recuperare come elemento centrale l’attività poietica del ragazzo difficile (1) non significa negare l’importanza dei fattori sociali, culturali e relazionali ma assumerli in modo epistemologicamente diverso, non come cause di un determinato comportamento, ma come situazioni che attendono di essere significate. Ciò dimostra che la “verità esistenziale” del ragazzo difficile, non è certo costituita solo dai comportamenti oggettivamente riconosciuti ma, anche e soprattutto, dall’insieme dei sensi che egli dà a se stesso, al mondo, e a se stesso nel mondo con gli altri.

L’intera esperienza di crescita e, soprattutto, l’esperienza di counseling e l’alleanza che si viene a costruire tra counselor e cliente ancorché giovane, può essere vista come una continua perturbazione strategicamente orientata a provocare nel ragazzo un processo generativo di autorinnovamento(2) . Riconoscere il ruolo attivo del soggetto come centrale nella costituzione della sua visione del mondo e nella elaborazione delle perturbazioni oggettive provenienti da esso, significa riconoscergli per l’appunto la possibilità di rendersi protagonista di un processo di rinnovamento e quindi di cambiare.

Qualunque approccio che collochi il ragazzo in una posizione passiva rispetto alle perturbazioni esterne, sottovalutando la responsabilità del soggetto nella costituzione del suo essere attuale, rischia di indurre nel ragazzo un cambiamento che è solo apparente e che per questo può essere facilmente ritrattato. Il punto fondamentale che sostiene la riuscita dell’intervento rieducativo è, dunque, quello di pensare il ragazzo come costruttore attivo della sua visione del mondo e quindi responsabile del suo comportamento.

Una rieducazione fondata su questo assunto riconosce al ragazzo quella capacità autopoietica, che pur avendolo reso in un certo senso responsabile del suo comportamento antisociale, è allo stesso tempo condizione per un cambiamento stabile e duraturo. La traduzione operativa di questo riconoscimento del ragazzo come protagonista della costruzione di sé, implica una particolare gestione pedagogica del processo di cambiamento. L’acquisizione di un nuovo sistema di significati, la consapevolezza e la presa di distanza rispetto al vecchio devono darsi come prodotti dell’attività autopoietica del ragazzo, ossia come frutti di un processo di produzione autonoma per quanto suscitato dalle provocazioni contenute nelle nuove esperienze relazionali periodicamente replicate nel setting consulenziale.

Per suscitare nel ragazzo un’immagine di sé come coautore di un suo rinnovamento, il counselor non può rimandare al ragazzo una revisione del suo passato o un modello di realtà elaborato dall’esterno, nei cui confronti il ragazzo sarebbe semplicemente chiamato a dare la sua adesione. Anche volendolo, infatti, qualsiasi opinione o interpretazione difficilmente verrebbe accettata dal ragazzo in quanto sarebbe valutata attraverso il suo personale schema di pensiero e, qualora fosse accettata, gli apparirebbe come una interpretazione alternativa alle proprie ma non per questo necessariamente capace di metterlo in discussione.

Per far sì che il ragazzo diventi protagonista attivo del suo cambiamento, il counselor è chiamato a delineare auroralmente nuovi percorsi di interpretazione e soprattutto provocare delle perplessità, delle perturbazioni orientate, circa i significati attribuiti alla realtà attuale, passata e futura. Quando, in seguito alle nuove modalità di approccio al mondo acquisite durante la vicenda consulenziale, emergono nuovi significati, essi tendono, infatti, a sovraordinare e quindi a modificare il senso(3) .

La condivisione di formalizzati momenti della vita quotidiana con il ragazzo offre, infatti, continue possibilità sia per orientare e suscitare nuove interpretazioni sia per sperimentarle, accompagnandosi insieme, nella concretezza della vita quotidiana. Il counseling può divenire, nell’esperienza del ragazzo, il terreno ideale per elaborare il proprio punto di vista sul mondo e per sperimentare l’efficacia e la validità delle nuove acquisizioni e quindi di consolidarle progressivamente.


Note

(1)La letteratura sul disagio giovanile è molto vasta. Rimando in larga misura alle opere di P. Bertolini, accogliendo e condividendo l’espressione, proposta dall’autore, “ragazzi difficili” ormai diffusa nel linguaggio specifico degli autori che si occupano di disagio giovanile. cfr. P. Bertolini, C. Caronia,Ragazzi difficili.Pedagogia interpretativa e linee di intervento, La Nuova Italia,Firenze, 1993.

(2)V.F. GUIDANO, La complessità del sé, Boringhieri, Torino, 1988.

(3)Le azioni di ridefinizione, selezionate dal counselor, devono essere orientate per produrre un cambiamento decisivo nel ragazzo. Un cambiamento è costituito da piccole variazioni e correzioni che producono uno squilibrio e una modifica nei significati del ragazzo. Il piccolo cambiamento, infatti, innesca una reazione di modificazioni all’interno del sistema di significati al fine di riequilibrarlo. Ciò significa che cambiamenti minimi, o apparentemente banali e innocui, possiedono un potere che deve essere utilizzato, sfruttato e valorizzato a pieno titolo dall’educatore professionale. Cfr. G. NARDONE – P. WATZLASWICK, L’arte del cambiamento, Ponte alle Grazie, Firenze,1996, p. 75.
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