comprendere il mito per conoscer-si


comprendere il mito per conoscer-si  

          

           Soffermarsi a riflettere e indagare sul mito del mondo classico potrebbe sembrare un esclusivo esercizio letterario, una passione da cultore di lingua greca e latina affascinato dal Passato e poco attratto dal Presente; se così fosse, il mito sarebbe certamente estraneo ad un percorso di crescita ed estraneo al counseling che nel qui e ora promuove il nostro Bene-Essere, attraverso la conoscenza di sé. Ma così non  è.  Ne è estremamente chiarificatrice una definizione di mito inteso come  strumento di comunicazione tra generazioni, di valori, idealità, conoscenze, efficace veicolo culturale [Umberto Curi, 2014].  

           Il mito, dunque, non più fiaba, racconto fantastico; non più, come sosteneva Platone, mythos e logos in opposizione allo stesso modo per cui l’opinione è opposta alla scienza, l’incertezza del sensibile alla certezza del razionale [ved. http://www.treccani.it/ Dizionario-di-filosofia], ma mito come creazione in cui è racchiuso un nucleo razionale che, interrogato, alimenta la conoscenza profonda dell'essere uomo. Non più soltanto testimonianza fossile dell’infanzia dell’umanità, o indizio di primitivismo culturale, il mito va interpretato come un testo complesso, da comprendersi con un approccio multidisciplinare.

È particolarmente significativo il fatto che fra i termini impiegati nella lingua greca per indicare la «parola», a differenza di ciò che abitualmente si pensa, mythos è la parola vera e autorevole, quella che indica il reale, l’oggettivo, mentre logos (da leghein: scegliere, raccogliere) è la parola ponderata, usata per convincere. Così, nei poemi omerici le parole usate da Ulisse, idonee a ingannare, sono dette logoi, mentre le parole pronunciate da Priamo, esaltate dall’autorità del re, sono mythoi.

           Accendere i riflettori sul mito del mondo classico, su quella tragicità ricorrente dell'indissolubile legame Amore e Morte è ri-scoprire le radici della tradizione culturale dell'Occidente che ci appartiene ed è per ciascuno di noi, nell'oggi, avvertire con prepotente efficacia nella metamorfosi di cui il mito si struttura, il profondo essenziale, ineludibile monito a conoscersi [http://lettura.corriere.it/debates/senza-metamorfosi-non-ce-identita/ ]. Accostarsi al mito ci conduce inevitabilmente alla metamorfosi in forme e modi diversi che va interpretata tuttavia come una trasformazione.

           Il più ricco repertorio di miti antichi in lingua latina è costituito dai quindici libri delle Metamorfosi di Ovidio (corrispettivo in lingua greca è l’opera convenzionalmente intitolata Biblioteca, della quale, oltre al nome dell’autore, si ignora anche la data di stesura) e in Ovidio la meta-morphosis non indica affatto un mutamento sostanziale, ma allude piuttosto ad un cambiamento nel modo di apparire. Così,  ciò che i personaggi descritti diventano attraverso la metamorfosi non è in contraddizione, ma in continuità, con la loro natura, con ciò che essi sono per nascita e può manifestarsi in un modo o nell’altro, senza che questa transizione implichi un mutamento di identità.

           Nel mito di Narciso e Eco, attraverso la metamorfosi, tanto Narciso quanto Eco diventano ciò che già sono: riflesso visivo il primo, risonanza acustica la seconda. Le loro definitive trasformazioni, rispettivamente in un delicato fiore acquatico e in una roccia capace di rimandare il suono di una voce, suggellano un processo in cui il mutamento di forma è funzionale alla conquista della propria vera identità.

           Eco, addolorata per essere stata respinta da Narciso, piange fino a rinsecchirsi e a ridursi a un sasso in prossimità di uno specchio d’acqua. Narciso che si trova a passare vicino a questo specchio d’acqua, vedendo la propria immagine riflessa se ne innamora perdutamente. Urlerà il proprio dolore e la propria infelicità per l’impossibilità di realizzare l’amore nei confronti della propria immagine riflessa: è il carattere fondamentalmente intransitivo dell’amore. L’impossibilità di far sì che l’amore passi da un soggetto all’altro: il fatto che esso resti in qualche modo imprigionato, consegnato, racchiuso all’interno del singolo personaggio.

Il mito di Narciso e Eco è il dramma della impossibilità di comunicare, di corrispondere; una molteplicità di forme, di specularità che non implicano né concedono comunicazione.

La condizione di perfetta simmetria e corrispondenza tra Narciso ed Eco non costituisce fattore di comunicazione. Narciso è l'identità che si annulla nell'alterità, nell'immagine riflessa di sé, irraggiungibile; nel momento più alto della narrazione, la Catastrofe, Narciso comprende che  Iste ego sum e in quello stesso momento ancor più suona tragica la profezia di Tiresia (vivrà a lungo se non conoscerà se stesso).

Eco è l'alterità, che non può esprimersi autonomamente se non come riflesso dell’espressione altrui; l'alterità costituisce, paradossalmente, l’identità di Eco.

Impossibile è la comunicazione nell’incontro tra totale identità e totale alterità,

[rielaborazione da Umberto Curi, intervista “Amore e conoscenza: il mito di Narciso” – Napoli, Vivarium, venerdì 25 giugno 1993]

           Narciso scopre di essere il riflesso: non può uscire da sé per amare quel se stesso riflesso nell'acqua. In Narciso l'altro è trasposizione di se stesso; definisco la mia identità ri-conoscendo l'alterità dell'altro.

Ecco il grande monito a nutrimento della nostra interiorità e di ogni relazione con l'altro: se nell'altro accetto solo ciò che è replica di me stesso (proiezione narcisistica), in realtà lo respingo; se l'altro mi è gradito fin tanto che è la mia replica, non accetto l'alterità dell'altro, non lo ri-conosco.

Per essere compiutamente se stessi, è essenziale e insostituibile il rapporto, in qualunque modo declinato, con l’altro da sé. Senza metamorfosi, nessuna identità.

Come non percepire nella metamorfosi proprio quel cambiamento che il counseling ci aiuta ad individuare, ad accettare e poi ad agire per giungere ad essere noi stessi, per meglio definire la nostra identità?

È il rovesciamento paradossale del "conosci te stesso" dell'oracolo di Delfi e insieme il monito difficile e problematico carico di mille e più significati del "conosci te stesso". Un percorso di crescita, arduo e inevitabile per ciascuno di noi, counselor compreso.

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

 

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