"stare", vocabolo sconosciuto


"stare", vocabolo sconosciuto

 

            Abbiamo smarrito o addirittura perso  il significato di stare?

Per ciascuno di noi al verbo "stare" non appartiene più un'autonoma coniugazione; si direbbe che la funzione con cui per lo più lo si determina,  di ausiliare o di verbo fraseologico che gli appartiene, insieme a moltissime altre funzioni ed anche alla grande varietà di significati, lo abbia esautorato al punto di declassarlo definitivamente a verbo fraseologico: stare seduti, stare per uscire, stare insieme per divertirsi, stare per scoppiare di rabbia... Ne consegue che ora gli attribuiamo la modificazione, il cambiamento, il movimento, significato che proprio non gli appartiene, come verbo elettivo della staticità che più statico non si può.

 

Se le variazioni nel tempo della lingua parlata costituiscono un dato rilevante, accettato persino dalla italianissima Accademia della Crusca, per capire la qualità e le peculiarità della Storia di ogni comunità umana, credo che l'alterata generale percezione del verbo stare possa essere osservata come esempio significativo del modo di vivere oggi. Proprio noi che siamo afflitti dalla sedentarietà e dagli immancabili effetti negativi che essa produce, noi che ci definiamo sportivi quando seguiamo lo sport preferito comodi in poltrona, abbiamo trasferito il movimento dove non è contemplato; più che un paradosso, direi che è un ragionevole quanto inconsapevole  frutto della strenua difesa della nostra zona di comfort: viaggiare stando fermi, ottenendo tutto e subito (pardon! in tempo reale). Il paradosso è invece che nella nostra immobilità, non sappiamo che cosa sia lo  "stare".

Mi piace un po' fermarmi a riflettere su questo che non ritengo un semplice dettaglio.

Digito la parola stare sul motore di ricerca e ne ricevo come primo suggerimento (non richiesto, e per questo ancor più eloquente): stare bene; no! Vorrei solo il significato di stare e scelgo il vocabolario Treccani. Trovo conferma della nostra ormai diffusa distorsione: Finestra di approfondimento Stare fermo - Il sign. fondamentale di stare. Tra i verbi più com. dell’ital., è connesso con i concetti di «permanenza» e di «immobilità», e si contrappone dunque a vari verbi di moto. In molti casi ha lo stesso sign. e la stessa funzione di essere.

[http://www.treccani.it/vocabolario/stare/]

Appunto! e che cosa invece accade? Accade che neppure in poltrona seduti comodamente, liberi da urgenti problemi da risolvere, liberi da fastidi, da distrazioni noiose, ecc...riusciamo a "stare": siamo forse fisicamente fermi, abbiamo rinunciato, sospeso o eliminato dalle nostre abitudini il movimento fisico, ma siamo in movimento (piuttosto direi in fibrillazione) in mille altri modi; anche a tv spenta, restiamo incollati al cellulare, traffichiamo con la posta, giochiamo, navighiamo. Ci occorre aiuto, ma non siamo in grado di avvedercene, tanto che siamo infastiditi e addirittura depressi quando non ci riesce il multitasking.  

Molti adulti sono convinti che questo sia il problema delle nuove generazioni e, incapaci di cogliere le proprie esagerazioni e dipendenze da ogni forma di monitor, in uno slancio educativo che intende liberarsi dalle imposizioni subìte quando a loro ogni adulto imponeva di non stare MAI senza far niente, gridano un invito che immaginano di semplice realizzazione, ma decisamente irrealizzabile:

"Spegnete il cellulare e state senza far niente".

L'invito non basta e neppure un'autoritaria intimazione.

Nell'ipotesi che il cellulare venga davvero spento (un minimo di concretezza ci fa apparire la cosa come assai improbabile), chi oggi è in grado di stare senza far niente? Chi di noi adulti, chi tra i bambini o tra i ragazzi, chi tra i giovani professionisti, chi tra gli educatori, i genitori, ecc. La lista è lunga, comprende tutti noi e in modo assolutamente trasversale, sia di genere sia di età.

Stare senza fare niente implica una realtà generalmente a noi ignota quando non osteggiata: lo stare con se stessi, dialogare con sé, trovarsi o ri-trovarsi per confortarsi o per migliorarsi, per valutarsi, per programmarsi, per accedere ai propri individuali specialissimi sogni. Ma chi tra noi conosce questa dimensione? chi tra noi usa un codice tutto suo per sentir-si ogni giorno della propria vita e non semel in anno, chi tra noi non crede che sia tempo perso o sprecato fermarsi a riflettere sulle proprie scelte, fatte o da compiere, chi si impegna con coraggio nella sfida di essere e restare fuori dal coro, di andare controcorrente, chi?

Se la realtà è questa, se il comportamento di noi adulti è quello di seguire il flusso della corrente, di nutrire desideri e bisogni in tutto simili a quelli degli altri, se di fatto i massmedia su di noi hanno un evidente potere condizionante, come e quando potremo chiedere alle giovani generazioni autonomia e sogni tutti loro?

Oggi, i momenti meno desiderabili e addirittura temuti sono proprio quelli in cui non abbiamo nulla da fare, momenti in cui pensieri confusi, ricordi prevalentemente spiacevoli, scelte di cui non siamo affatto fieri si affastellano nella nostra mente e avvertiamo salire su su fino a renderci difficile il respiro un'ansia generica, non ben definita e, proprio per questo (sottolineerebbe Richard Bandler), tale da infliggerci sensazioni negative e paure.  Disabituati a stare con noi stessi, siamo giunti al punto di dover eliminare dal nostro vivere quotidiano ogni autentica pausa. Eppure lì, in quella pausa, è insita una nostra grande energia ...rinnovabile.

            La forma eccellente ed efficace di autoaiuto per attingere a quella energia è il counseling: l'ascolto attivo e profondo, di sé e dell'altro, l'inizio di un percorso nel quale la propria identità potrà fare i primi passi e ci rivelerà i nostri desideri, i nostri autentici bisogni, persino i nostri sogni che l'allenamento di una progressiva e coinvolgente definizione renderà concreti.

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

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