sentirsi "scomodi"


sentirsi "scomodi"

 

            A patto che sia frutto di una scelta consapevole, sentirsi scomodi è una bellissima sfida da vivere con gioiosa leggerezza e da augurare a chi più amiamo, desiderabilissima per la nostra società. Decidere di accettare questa nostra diversità urticante  per la  cerchia degli amici, nel lavoro, per la mentalità emergente e trainante, per chi è o cerca di essere à la page e considerarla come un bene da mantenere, come un lusso da concederci, ci indurrà una soddisfazione ineguagliabile. Un prezzo certo lo pagheremo e sarà anche salato. La risposta, il feedback che avremo si presenterà in varie forme: l'esclusione dal gruppo che conta, dalle confidenze e soprattutto dalle informazioni più utili riservate a pochi selezionati (dai quali siamo stati ovviamente estromessi), la diffidenza dei colleghi, l'ostilità di chi scambia la nostra autonomia come affronto pretestuoso per metterci in evidenza e, tutte tutte convergeranno verso un unico e ben centrato obiettivo: aumentare la nostra solitudine.

 

            Diciamocelo subito con franchezza: se dialogare con noi stessi non ci piace o addirittura ci spaventa, sarà bene che rientriamo nel gruppo dei più, nel gregge; se poter contare solo su pochi amici e qualche familiare ci fa sentire amaramente sconfitti, non è il caso di impegnarsi in questa sfida; se ci assale un moto di invidia per gli ex amici che su facebook contano un numero spropositato di like corrispettivi di altrettanti amici, l'unica strada che possiamo percorrere è quella ...degli altri. Nessun dubbio che non siamo pronti per assumerci la responsabilità di una scelta autonoma, o forse proprio non lo vogliamo: ricacciamo in un angoletto nascosto le nostre mille obiezioni sul mondo e sugli altri (eventualmente le porteremo allo scoperto quando inevitabilmente ci lamenteremo), stampiamoci un bel sorriso in volto e aggreghiamoci.

Ma: se la solitudine talvolta è ciò che cerchiamo, perché confrontarci e dialogare con noi stessi ci appare necessario e importante, se dell'amicizia abbiamo un concetto alto che nulla ha a che vedere con facebook e ogni strumento informatico resta per noi strumento, ancorché prezioso e non un alter ego, allora godiamoci questa nostra scomodità che altro non è che libertà di osservare e valutare la realtà in autonomia, senza subire pressioni più o meno esplicite di altri per poterci migliorare. Questa è la soddisfazione che aspettavamo, è la capacità di essere scomodi , una conquista rara e grandemente meritoria, nutrita di consapevolezza di sé nella convinzione profonda che  l'essere scomodi non è una strategia per mortificare o allontanare gli altri, piuttosto è una sfida per noi stessi e con noi stessi,  un misurarci con le nostre scelte lealmente pronti  a ridiscuterle e a  modificarle.

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi 

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