Insegnare per ... apprendere
Qual è il compito di ogni adulto chiamato ad essere testimone del suo tempo e del docente, se non il nutrire e risvegliare nei giovani sentimenti di accettazione di sé e dell'altro, calore, fiducia nel futuro, consapevolezza che gli errori come le paure sono formidabili strumenti di crescita e, insieme, voglia di cambiare se stessi e il mondo?
La condizione di ciascuno di noi ogni volta che vuole insegnare qualcosa a qualcuno, genitore, nonno, dirigente, istruttore, medico, docente sarà allora quella di insegnare per ... apprendere, nella profonda convinzione che anche chi insegna, proprio mentre sta conducendo l'altro alla scoperta della conoscenza, nell'atto stesso di insegnare sta anch'egli apprendendo, acquisendo conoscenze cognitivo-emotivo-comportamentali, sta costruendo il suo personale patrimonio di apprendimento dall'esperienza. Se non può esserci apprendimento quando non c'è motivazione e coinvolgimento, non si dà neppure insegnamento senza disponibilità all'ascolto e apprendimento da parte di chi ... insegna.
Esserne convinti non risolve tuttavia i numerosi problemi di cui tutti abbiamo esperienza per aver provato ad aiutare l’altro nel nostro ruolo di genitore, amico, semplicemente di persona di buon senso o di insegnante. Non di rado nella relazione con l’altro abbiamo provato delusione per i motivi più diversi: l’altro ha reagito al nostro interesse con sospetto, insofferenza; ha frainteso le nostre parole e persino le nostre intenzioni; si è trincerato in difesa, arroccandosi sulle sue convinzioni, o ha scelto di “darci ragione” su tutto e anche di più pur... di farci tacere, in cuor suo riconfermando a se stesso che nulla di ciò che stiamo dicendo lo riguarda. E non è tutto: se abbiamo provato a chiedere sostegno ad una terza persona, ad un adulto che fosse lì presente, ne abbiamo ricevuto, a parole e con eloquenti espressioni del volto, una netta riprovazione: non è il caso di..., ma lascia fare, chi ti credi di essere, la verità non è solo tua..., ti ha forse chiesto qualcosa?, tu credi di non aver sbagliato mai?...
Così, può accadere che progressivamente ci convinciamo che è meglio lasciar correre, non intervenire, restare a guardare e attendere che sia la vita ad insegnare buon senso, rispetto, equilibrio, ecc, ecc a quella persona, o a quel ragazzo (a cui come adulti abbiamo l'obbligo di riconoscere il diritto ad avere, per poter crescere e trovare la propria identità, una guida, anche e forse proprio per servirsene come l'avversario contro cui lottare e ribellarsi). Se ci riconosciamo precise responsabilità nei confronti di quelli che ci sono stati affidati o che si affidano a noi, ogni rinuncia ci apparirà assolutamente scorretta.
D'altra parte, aiutare l'altro a crescere non significa imporgli il nostro modello di crescita, non significa plasmarlo secondo i nostri obiettivi, piuttosto vuol dire ascoltarlo per "sentire" quali sono i suoi bisogni, le sue necessità, quale modello o modelli sta inseguendo, quale identità sta cercando per se stesso. Per essere pronti a questo arduo compito ad esempio "il docente afferri la sua cassetta degli strumenti di lavoro e...la rovesci fragorosamente. Voleranno in aria e addenseranno l’atmosfera intorno parole isolate e potenti come macigni, frasi lunghe e complesse, a lui –il docente- e solo a lui molto chiare, incatenate come tanti sciami elicoidali di dna, si apriranno e scompagineranno contenuti essenziali e corollari, fondamenti della disciplina, elementi strutturanti in cui lui -sempre il docente- coccola e tramanda una parte di sé, e anche desideri infranti, sogni mai realizzati, speranze, delusioni, propositi di cambiamento rinviati a domani o ad un ipotetico nuovo anno scolastico, convinzioni di recupero di una serietà nella valutazione degli alunni che –ahimé- è andata smarrita, e cosa altro? Sicuramente tante e tante altre chicche che qualificano la sua vita di docente, piccole manie, piccolissime certezze, grandi dubbi.
In questo immaginario fuoco d’artificio, aleggia in aria qualche elemento che appartiene all’oggetto, anzi al soggetto coinvolto in tutto questo bailamme? Che so, ad esempio le sue conoscenze –quelle cha ha-, non certo quelle che non ha ancora, i suoi dubbi, le sue richieste, i suoi propositi, quelli andati a buon fine e quelli irrealizzati, eccetera, eccetera...
Beh! Se il mondo del docente ruota tutto attorno al proprio sé, come sarà possibile la COMUNICAZIONE con quell’ alunno che continuerà ad essere in fin dei conti uno sconosciuto che non vuole o non riesce ad adattarsi ad una proposta didattica che pure è di provata perizia e cultura." [...] Il processo insegnamento-apprendimento si struttura e si realizza attraverso un alto grado di consapevolezza del docente, che va ben oltre la sua competenza disciplinare, comunque imprescindibile. Perché l’apprendimento si realizzi, il docente ha necessità di conoscere e gestire gli strumenti della comunicazione; se non è in grado di farlo o semplicemente non riconosce l’importanza, ad esempio, dell’ascolto attivo sarà assai difficile che riesca ad abbassare le difese –spesso muri invalicabili - con cui l'altro, il giovane, l'alunno che si sente giudicato cerca di sottrarglisi.*
Ciò che siamo chiamati a realizzare, in un relazione che voglia essere educativa, è il meglio per la persona che abbiamo di fronte e ciò implica che il lavoro su di noi sia un lavoro mai compiuto definitivamente, continuativamente in atto. Abbiamo non di rado provato spiacevoli condizioni emotive, ci siamo sentiti isola-ti ogni volta che abbiamo scelto di intraprendere una strada nuova per “coinvolgere” l'altro, abbiamo percepito la disapprovazione di adulti e colleghi per aver “costruito” la nostra relazione educativa con modalità inusuali e persino l'ostilità verso il nostro entusiasmo (considerato inopportuno e infondato), abbiamo vissuto il netto rifiuto della nostra certezza che è possibile affiancare la crescita e il cambiamento in meglio di ogni persona, tuttavia per noi il processo insegnamento/apprendimento resta la privilegiata condizione di una meravigliosa reciprocità nella quale alla motivazione di chi apprende fa da specchio la disponibilità ad apprendere, giorno dopo giorno, con entusiasmo e convinzione di chi ha il ruolo di insegnare.
Il centro della questione è proprio qui, nella comunicazione, comunicazione tra docente e alunno in una sorta di circolarità che è poi l’unica che permette una risposta.
Insegnare è ben più e ben altro che trasmettere contenuti da parte di chi sa a chi non sa, insegnare è concretamente processo che implica una relazione comunicativa cognitivo-emotiva tra colui che insegna e colui che apprende, ascolto attivo di colui che insegna, è coinvolgimento attivo e partecipe di entrambi i soggetti che ad ogni incontro, ogni giorno di più apprendono a conoscersi l'un l'altro e dunque a conoscere se stessi.
* da Giancarla Mandozzi, Insegnare per ... apprendere, Erickson Live, 2010
Cordialissimamente,
Giancarla Mandozzi
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