sentirsi in credito o ... in debito con la vita
Potrebbe sembrare condizione riservata a pochi, ma forse per qualche istante anche noi abbiamo percepito di non esserne del tutto immuni e certamente ci è accaduto di incontrare persone che vivono, magari inconsapevolmente, ogni evento della loro vita come se disponessero di una riserva, una specie di salvadanaio ben ricolmo o, al contrario, come se quella riserva fosse a loro negata e il salvadanaio indicasse sempre zero risparmi. Abbiamo incontrato persone che dunque si sentono creditori o debitori vs la vita, il mondo, ogni interlocutore. Avviciniamoci a questa condizione e osserviamo ad esempio chi ha intima convinzione di sentirsi creditore: nutre l'abitudine reiterata di aspettarsi gratitudine e ricompensa per il proprio impegno e soprattutto il riconoscimento dall'altro e dalla società per la dedizione tutta personale e per lo zelo con cui si adopera a risolvere problemi, ad offrire collaborazione attiva e coinvolta, ancor prima che l'altro abbia formulato la sua richiesta. Il comportamento manifesto di chi vive tale condizione è ineccepibile, irreprensibile, ogni giorno rinnovato da una disponibilità rara ed autentica, ma inevitabilmente accompagnata da delusione che chiaramente si può leggere nell'espressione del volto nel tono della voce nel non verbale, perché la risposta dell'altro, degli altri è sempre sentita inadeguata allo sforzo profuso, insufficiente a sentirsi ricompensati.
Che cosa accade tra l'infaticabile operatore disponibile ad occuparsi di sé e di ogni altro e il suo interlocutore? Che cosa guasta la relazione e falsa la comunicazione tra i due? In una sorta di circolo vizioso ingiunzioni e controingiunzioni hanno imprigionato, ingabbiato il comportamento di chi -in quanto creditore- sente di dover essere in grado di gestire al meglio ogni situazione e attribuisce al suo adoperarsi un valore che va ben oltre ciò che concretamente ha realizzato, un'intensità che sfugge all'altro. Come re-agisce la persona, delusa e scontenta per la mancata condivisione di questo valore?
In molti, anche abili professionisti che si occupano di ascolto e di problemi psicologici, sostengono che la persona che si sente in credito, con il mondo con la vita e dunque con il proprio interlocutore, abitualmente mantiene un atteggiamento irritato, non chiede mai scusa e, nel momento in cui incorre in un insuccesso, si dimostra convinto, senza il minimo dubbio, che ogni responsabilità vada attribuita a cause esterne e imprevedibili. A riprova di quanto affermato, gli stessi professionisti, in una sorta di distinzione manichea, non mancano di aggiungere, che le caratteristiche di chi si sente creditore infatti sono del tutto opposte rispetto a quelle manifestate da chi si sente debitore nei confronti del mondo, della vita. Chi si sente debitore, chiariscono, vive costantemente la sensazione di dover dare, di avere un debito esistenziale che non saprà mai del tutto pagare e quando è in difficoltà, preferisce cavarsela da solo, senza mai chiedere aiuto. Da queste osservazioni origina la diffusa certezza che i caratteri distintivi del creditore come del debitore siano facilmente riconoscibili: chi si sente creditore assume con arroganza l'atteggiamento di chi pretende un riconoscimento e chi si sente debitore vive in una perenne tristezza, scontento di sé per la propria impotenza e incapace persino di godere delle manifestazioni di lode per il proprio operato. Tutto chiaro e di facile interpretazione?
Sì, solo se questo fosse un esercizio di sillogismo! Ma la fondamentale e inattaccabile argomentazione logica del sillogismo perfetto o categorico aristotelico non è affatto sufficiente, anzi è del tutto inadeguata a comprendere le ragioni profonde del comportamento umano e di ogni singola persona, perché le complesse implicazioni del comportamento umano non seguono solo i princìpi della logica e, sebbene anch'esse siano legate al rapporto causa-effetto, inglobano più di un paradosso, elementi irrazionali, nodi irrisolti, variabilità, condizioni e convinzioni legate al proprio temperamento, ecc... Un esempio illuminante? La difficoltà di comunicare pienamente e correttamente il come e cosa stiamo provando mentre parliamo all'altro, il che cosa vogliamo che l'altro intenda tra e oltre le nostre parole e il feedback che l'altro ci rimanderà. È questa la complessità della comunicazione umana appunto, così frequentemente segnata da elementi distorsivi che ne alterano il messaggio più autentico e più profondo, nonostante il contenuto (che nella comunicazione ha un peso che oscilla, secondo gli studiosi, tra il 7 e il 10 %) sia stato espresso a parole con grande precisione.
Nel ruolo di counselor, che cosa abbiamo compreso in merito al comportamento di chi si sente creditore o debitore vs la vita? Personalmente ne ho tratto una certezza e una montagna di dubbi, tutta da scalare. La certezza, l'unica certezza è che ognuno risponde alla situazioni della vita in modo del tutto personale; situazioni oggettivamente simili o persino identiche saranno acquisite cognitivamente e "sentite" emotivamente con tempi, intensità, grado di accettazione o rifiuto, ecc in modo assolutamente personale. É una ovvietà, ma forse proprio per questo la si dimentica e si abbracciano di buon grado le categorie dalle quali torna poi molto facile dedurre le caratteristiche della persona. Già! Ma il punto determinante è che per conoscere una persona e aiutarla ad aiutarsi, il counselor è chiamato ad un'operazione di induzione osservando il suo modo di parlare, di presentarsi, il linguaggio paraverbale e quello non verbale, le sue emotività nascoste o esplicitate, ecc, un lavoro complesso che in una parola definiamo ascolto, esattamente agli antipodi della deduzione da quelle stesse categorie, teorie, strategie che pure il counselor è tenuto a conoscere e gestire ma mai in quanto presupposto e modello da trasferire e applicare tout court alla persona (facilissima anticamera del pre-giudizio). Rispetto alla montagna di dubbi che nutro e su cui lavoro ogni volta, sicuramente fondamentali sono due ordini di variabili che hanno il potere di mutare radicalmente ogni singola situazione. La prima variabile riguarda le motivazioni principali che nutrono il sentirsi creditore o debitore: può essere frutto di una scelta consapevole o una reazione indotta (e per questo più spesso inconsapevole), nel pregresso, dal contesto, dagli altri. La seconda variabile in gioco concerne la capacità della persona di vedere, oltre se stessa, come il proprio mancato soddisfacimento influisca e condizioni l'altro, gli altri, persino il contesto. Non è forse anche vero che, se io mi sento creditore, induco l'altro a sentirsi debitore? Ed è vero anche il contrario: se mi sento debitore, posso sollecitare nell'altro la convinzione di essere creditore nei miei confronti. Ciò che è chiaro ancora una volta è che le distorsioni della relazione interpersonale sono complesse e numerose tanto quanto quelle intrapersonali. Pochi in realtà mi è capitato di trovare sensibili a questa prospettiva che è la più efficace a rendere possibile il cammino verso un'autentica libertà (i più restano del tutto indifferenti a ciò che accade all'altro).
Più volte mi è accaduto di individuare nella persona in aiuto la convinzione di essere creditore o debitore rispetto ad ogni situazione della vita e ciò che ho osservato è che, pur partendo da presupposti antitetici, i comportamenti degli uni e degli altri...non erano poi così diversi e non raramente proprio il debitore, a causa della profonda amarezza per la mancata o persa autostima, manteneva un atteggiamento intransigente e arrogante nei confronti degli altri, quasi per punirli di essere migliori di lui o lei. Anche per questo trovo errato credere che a situazioni emotive opposte corrispondano opposti comportamenti e atteggiamenti. Forse, se così fosse, sarebbe più semplice comprendere le persone, ma sicuramente significherebbe che siamo molto vicini a perdere la peculiarità umana per eccellenza, quella per cui ognuno di noi è individuo unico,irripetibile e in continuo divenire.
Cordialissimamente,
Giancarla Mandozzi
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