autorealizzazione e counseling...
"Può darmi un consiglio?" "sono venuto/a da lei per avere dei consigli" "Ho saputo che lei può darmi consigli su come risolvere il mio problema" "Ho bisogno di consigli esistenziali, per questo mi rivolgo a lei"... Sono solo alcune delle richieste o delle affermazioni che come counselor ci sentiamo rivolgere, pronunciate con pacatezza e insieme con apprensione dalla persona che giunge a noi per un primo colloquio. Osserviamo con la massima attenzione la persona: il paraverbale e il non verbale sono quasi sempre di un' eccellente chiarezza, appena accennato un sorriso di cortesia e tensione evidente nella mimica del volto e nel gesticolare, uno sguardo segnato da prolungate preoccupazioni, attento a carpire da noi un fausto responso, un atteggiamento del corpo che quasi sempre rivela resa incondizionata, sfinimento, demotivazione e scarsa fiducia.
La situazione è decisamente imbarazzante: noi, il counselor, nel ruolo di salvatore e l'interlocutore nel ruolo di vittima che chiede aiuto a noi, come l'ultima spiaggia magari senza forte convincimento. Un bell'inizio, non c'è che dire e urge che il counselor, consapevole che il suo ruolo è tutt'altro da quello del salvatore, operi un correttivo immediato che, prevenendo possibili resistenze della persona in aiuto, possa da lei essere accettato. Un correttivo immediato ed efficace viene dalle essenziali peculiarità del counseling, in qualsiasi approccio: autorealizzazione e alleanza operativa.
Sarà bene che usiamo poche parole mentre comunichiamo alla persona che profondamente crediamo in ciò che stiamo dicendo, che cioè ogni persona ha certamente la possibilità di trovare la strada per il suo Benessere, per realizzarsi nella vita secondo i suoi bisogni, integrando eventuali aiuti che possono venirle dall'esterno, come appunto il sostegno di un percorso di counseling durante il quale è assolutamente necessario che tra counselor e persona in aiuto si viva una relazione di alleanza operativa. È l'alleanza operativa che prevede il coinvolgimento infatti della persona in aiuto nel cammino verso l'identificazione del nodo o i nodi che definiscono il proprio disagio, le ipotesi di soluzioni, fino al cambiamento. Poche parole possono essere sufficienti per costituire un forte e incisivo richiamo ad una corresponsabilità nella riuscita dell'eventuale percorso di crescita o di quel primo colloquio ed ha un grande potere liberatorio per la persona in aiuto sorpresa di ascoltare ciò che di certo non si aspettava. Era convinta di ricevere frasi di comprensione, immaginava di trovare chi si piegava con lei sul suo problema e invece scopre che è lei protagonista, che senza il suo darsi e agire nulla potrà cambiare, insomma le arriva il piacevole messaggio che agli occhi di qualcuno -il counselor- in cui ripone una pur debole speranza, lei è persona che "ce la può fare". Sappiamo bene quale sferzata di energia, quali risorse immediate ha il potere di rinvigorire il solo fatto che qualcuno abbia fiducia in noi e ora, da quel primo convinto sorriso e profondo respiro, da quando la persona si è seduta davanti a noi, ora sì che si può avviare il primo colloquio.
Concretezza vuole che altri, forse oggi stesso o domani, verranno a chiederci consigli dal momento che non sono pochi ad essere convinti che il counselor è colui che dà consigli. Alleniamoci a fare chiarezza.
Cordialissimamente,
Giancarla Mandozzi
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