UNA PRATICA DI SOLITUDINE


lettore solitario

Sarebbe un grave errore assimilare il counseling ad una attività professionale, almeno nell'accezione che gli officianti dell'ultima ora intendono. Ovviamente non mi riferisco al counseling medico o psicologico, ovvero quello riferito al vecchio modello praticato da professionisti regolamentati da albi o elenchi. Sposto il mio ragionamento su quanto resta al counseling spogliato dall'aggettivo "psicologico", ovvero a quello praticabile in un ambito così radicalmente indistinto da non potere fare riferimento ad alcuna epistemologia o ad alcun modello psicologico, appunto. Tanto meglio. Approfitto dalla libertà di parola e di pensiero ilimitata che mi ritrovo e seguendo la mia logica ritengo che il counselor (non chiunque lo voglia) debba reinventarsi, spingendosi a ricercare il suo statuto nella parola e nella libertà di parola.

La parola non è malata o sofferente. La parola è originaria. Essa non è affatto logica o psicologica ma solo originaria. La parola non ha bisogno di aiuto ma semmai di ascolto e di cifra. L'importazione prima Americana e poi mutuata dal gallicanesimo francese ha fatto si che la porola divenisse ora logica, ora malata, ora psicologica e, pertanto, ridotta a mendicare aiuto, intervento, cura, terapia. Gli attuali officianti  si sono occupati e preoccupati di dare uno statuto al loro fare partendo da modelli certamente e irrimediabilmente psicologici e poi finiscono incredibilmente per affermare che il loro fare e cosa altra rispetto all'attività psicologica. Non esiste un solo percorso formativo per counselor che non faccia riferimento ad una scuola o ad un pensiero o ad un modello psicologico. A mio avviso è assai difficile da sostenere che al modello teorico non debba, poi, corrispondere una pratica.

Urge, pertanto, uno statuto diverso, coraggioso, attraente, distante dallo psicologismo o da modelli già consunti e abbondandemente applicati ed  esercitati da professionisti ordinistici. Il counselor (non chiunque lo voglia) trae il suo statuto dall'arte,dalla musica, dalla logica, dalla matematica, dalla fisica quantistica, dalla linguistica, dalle filosofie, dalla maieutica, dall'informatica, alla cibernetica. Il counselor, distante da ogni psicologismo, (lo insegno da oltre un vntennio nell'ambito dell'Istituto  di Ricerca Eidos di Puntalazzo dove offriamo insegnamento libero, non etichettato e non riconducibile a scuole o scolastiche ) può divenire la vera novità nel panorama attuale.

Nel  modello teorico da me da oltre un ventennio ipotizzato il counselor dovrebbe sempre meno assimilarsi al "professionista", ovvero a colui il quale vive di un presunto sapere fatto di certezze e regole. Egli deve, nel suo fare, piuttosto partire dal rischio, dal dado, dal "folle volo di Ulisse" così come ce lo descrive Dante, dalla creatività, dal mito, ovvero deve più avvicinarsi al sofista, all'aedo, al giullare, al buffone etrusco, all'artista, al provocatore. Libero dallo psicologismo il counselor può finalmente dedicarsi alla sua pratica di "clinica della parola" ed alla sua interminabile formazione e ricerca personale del senso del suo fare e del suo essere.

Chi è il counselor? Non certamente chiunque lo voglia, ma Ciascuno. In solitudine, così come accade all'artista. Chi è  l'Artista? Non certamente chiunque lo voglia magari  solo perchè ha seguito o praticato accademie o cenacoli o associazionismi di vario genere. Il counselor se c'è si autorizza da solo. Senza alcuna iniziazione.. Qual'è la formazione del counselor? Data per scontata una formazione scientifico-cilturale di livello universitario o similare (serve almeno per evitare di sbagliare i congiuntivi) la formazione del counselor appare illimitata, interminabile. Impossibile, pertanto, definirla senza ridicolizzarla, da parte di presunti vecchi e nuovi untori; essa non può essere militante  in quanto si articola lungo un debutto che non finisce, muovendo sempre dal rischio che la parola  stessa comporta nella sua irriducibile  libertà e solitudine.    

Salvatore Arcidiacono.

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