Agitazione


mare agitato

Un po’ di giorni fa ero in treno.

 

Arrivo un po’ trafelata e carica, trovo il mio posto, metto giù giacca, sciarpa, berretto, guanti, borsa, telefono, cerco il biglietto, cerco il libro per leggere qualcosa durante il viaggio, trovo l’auricolare, mi siedo, mi sistemo e mi calmo. Ho da star lì almeno un paio d’ore.

 

Dopo qualche minuto, il posto accanto al mio viene occupato da un giovane di circa 35 anni, vestito molto elegantemente, cappotto scuro, completo a giacca, camicia a posto anche se erano le sei e mezza di sera, scarpe lucidate. Abbassa il tavolino davanti a sé, e apparecchia. Computer. Telefono. Altro telefono. Grossa cartellina di cartone ripiena di documenti fino allo scoppio. Portafoglio. Borsa, su e giù. E attacca. Scrive mail, sfoglia documenti e telefona. Non sta fermo un momento. Accavalla e scavalla. Digita e tamburella. Lo scroll del telefono va su e giù impazzito.

 

 

Ovviamente, sento quello che dice e vedo quello che fa, sebbene io cerchi di leggere il mio libro (un giallo di Jean Claude Izzo consigliato dal mio amico Alberto), libro che mi prenderebbe anche.

Sento il giovane dire che deve scendere a Reggio Emilia, lo dice diverse volte durante le sue numerosissime telefonate. A quanto pare è un legale, che si sta occupando di un licenziamento, ci sarà un’udienza il giorno dopo e c’è un punto di cui non è sicuro.

Chiama, da quello che capisco, colleghi, ex insegnanti, amici. Mischia convenevoli, notizie di sé, e il quesito. Cerca di essere simpatico. Ma è agitato. Con i suoi interlocutori si descrive come sempre in moto, sempre pieno di cose da fare. Cerca di fissare un aperitivo per il weekend ma lo lascia in forse, non sa se ce la farà. Fa tante cose in una volta, sia lì in treno a fianco a me, sia nella sua vita, a quanto racconta. Parla, scrive, cerca il caricabatterie, lo attacca a un telefono, non è quello, lo attacca all’altro, cerca la presa, sposta le sue cose, sposta un po’ anche me, trova. Intanto parla, scrive, apre, clicca….

 

Ad un certo punto il treno rallenta e lui si alza di scatto, chiude velocemente tutto quanto, si mette il cappotto e scappa lungo il corridoio, sempre con le orecchie tappate dagli auricolari e sempre parlando al telefono.

Penso sia sceso, non l’ho più visto o sentito.

Io ho tirato un sospiro di sollievo, almeno l’ultima mezz’ora del viaggio in pace.

A mio parere questo giovane è un esempio emblematico di agitazione. Che è uno dei principali comportamenti passivi.

Già. La passività non è solo non fare, comportamento che definiamo astensione. La passività si manifesta con diversi comportamenti, tra cui l’agitazione: fare, strafare, essere sempre in moto, sbrigare una incombenza dopo l’altra, una incombenza insieme all’altra, per non fare in realtà nulla o quasi.

Il giovane a fianco a me con tutte le sue telefonate non ha concluso nulla, non ha trovato la sua risposta, non ha organizzato un aperitivo per il weekend, ha impiegato una enorme quantità di energia e probabilmente ha seccato un bel po’ di gente oltre a me, per niente.

Riempirsi la vita, per non fare, per non affrontare. Ci vuole un po’ per accorgersene, ci vuole un po’ di attenzione per vedersi con obiettività, l’agitazione diventa abituale e si traveste da efficienza.

A volte ci vorrebbe un counselor.

La tentazione ce l’ho avuta, di dirgli qualcosa, ma ho pensato “Non mi ha chiesto niente, non sono in servizio” e non l’ho fatto. E comunque avrei dovuto stappargli le orecchie.

 

Non so se è sceso quando se n’è andato, comunque quando è scattato eravamo a Parma.

 

 

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