SCIENZE SOCIALI E SVILUPPO DEL CORE COMPETENCE. La qualità del lavoro in gruppo

Inviato da Nuccio Salis

core competenceLa crescente complessità organizzativa nel mondo del lavoro e dell’attività dei gruppi in genere, ha costretto ormai da tempo enti e istituti a vario titolo e ragione sociale, a dotarsi di strumenti e finalità formative che diversi decenni addietro sarebbero stati impensabili. Esigenze di mercato ma non solo, hanno introdotto la consapevolezza di una crescente flessibilità, polivalenza e creatività, a sancire la qualità professionale competitiva di vari comparti ed apparati produttivi.

La sperimentazione riguardo al superamento di una gestione dirigista verticale, rigida e conservativa, ha ceduto sempre più il passo ad una ristrutturazione gerarchica dentro la quale, pur conservando necessariamente certe distinzioni di ruolo, si sollecita e si ricerca attivamente la possibilità di costruire percorsi di qualità in merito alla prestazione centrata sul compito. Ciò apre la via alla necessità di costituire gruppi interni di studio e di ricerca applicata, dentro cui a ciascun elemento è dato finanche di evidenziarsi a seconda dei propri parametri personologici: attitudini, preferenze, stili di apprendimento e di comunicazione interpersonale soggettivi. In pratica, l’humus individuale di ciascun appartenente a un team, il quale riceve l’incarico di operarsi intorno a un obiettivo da centrare, viene considerato come ragguardevole potenziale da esperire all’interno dell’esperienza gruppale, dal momento che la ricerca sociale, soprattutto nell’ambito del problem-solving in situazione collettiva, ha permesso di decretare la fine di un modello di organizzazione dei gruppi eccessivamente austero, omologante e in fin dei conti poco produttivo per le stesse aspirazioni di un ente o comunità inglobante il gruppo medesimo.

In pratica si è dovuta effettuare una svolta epocale da un modello piramidale fortemente autoconservativo, in cui non è prevista la circolarità comunicativa, quanto piuttosto la stretta adesione a disposizioni decise “dall’alto”, per poi passare comunque ad una tipologia organizzativa, nell’ambito del lavoro dei gruppi, in cui ciascuno è chiamato a sviluppare reali competenze e propensioni personali, al fine di rimetterle a vantaggio dell’esperienza comune e delle finalità condivise.

Il fatto che la scienza sociale abbia dimostrato che il rendimento di un gruppo si eleva dal momento che ci si prende cura di valorizzare il legame ed il clima interpersonale di gruppo, le aziende hanno cominciato ad investire sulla formazione dei singoli addetti, convincendosi finalmente che la produttività non è un fenomeno esclusivamente legato alla variabile quantitativa dell’affaccendamento impiegatizio, ma essa è soprattutto un fattore che dipende dalla qualità del trascorrere il tempo in un’azienda, dal sistema di motivazioni di ciascuno, dal relativo livello di appartenenza e dallo stato emozionale. È attraverso tutti questi aspetti, infatti, che erigono i vissuti mediante i quali si percepisce la propria generale condizione dello stare in luogo di lavoro.

Curarsi dunque del benessere degli individui durante la loro occupazione è via via diventata una delle priorità politiche necessarie. Inoltre, tutte le abilità trasversali di ciascuno possono essere viste come eventuale capitale necessario allo scopo comune. Si tende cioè a valorizzare il core competence di ogni addetto, col fine di ottimizzare il raggiungimento di un obiettivo d’azienda, investendo su un gruppo in grado di espandere e potenziare le proprie capacità, con la sufficiente carica motivazionale, in grado di risolvere conflitti e adottare modelli efficaci di comunicazione.

Ed ecco allora entrare in scena figure altamente specializzate come lo psicologo del lavoro, il counselor motivazionale e di carriera, con il compito di affiancare il gruppo centrato su un compito, offrendo strumenti finalizzati al traguardo auspicato, e facendo riconoscere risorse appropriatamente adatte al percorso scelto. Ed ecco diffondersi, nella parte soprattutto applicativa, esperienze formative basate sulle più svariate teorie dei gruppi: dai giochi di ruolo all’analisi transazionale, dalle simulazioni delle forme pensiero-atteggiamento al pensiero laterale.

Tale incontro, fra dinamiche operative essenzialmente basate sui contenuti di un programma, e osservazione e gestione dei processi dapprima non considerati, se da una parte può suscitare ancora forti resistenze, nella maggiore si verifica la presa di coscienza di una necessaria riflessione sulla qualità umana ed interpersonale dei contesti e dei luoghi di lavoro, siano essi pubblici o privati. Concetti come empatia, gioco copionale, pensiero divergente, comunicazione assertiva, intelligenza emotiva, sono entrati da vario tempo nel lessico di chi ha la responsabilità di gestire e condurre gruppi operativi. L’utilizzo di questo capitale di conoscenze, se finalizzato anche o soprattutto ad una reale crescita umana ed esperienziale, potrebbe contribuire notevolmente ad affermare una cultura della “buona e sana relazione interpersonale”, stimolando la necessità di uno sguardo curioso da parte di chi ancora sospetta o rifugge da tali tematiche.

 

Quali punti programmatici fermi dovrebbe avere, allora, un percorso di guida e sviluppo sulle qualità di un gruppo deputato ad esperire compiti e produrre utilità?

L’ispirazione viene dalle teorie più accreditate sulla comprensione di sé e degli altri.

Possiamo indicare, come primo punto:

 

_ Visione del vero Sé: Conoscere se stessi con un grado di accettabile consapevolezza, aiuta sia se stessi che il gruppo di cui si fa parte, poiché si ammettono i propri limiti e le proprie zone vulnerabili, in merito alle capacità necessarie da investire, sottolineando al medesimo tempo anche i propri punti forti da mettere a disposizione del gruppo. Inoltre, più si conosce e soprattutto più si utilizza di conseguenza il vero Sé, minore è la possibilità di ingarbugliarsi nei giochi transazionali, dal momento che si lasciano sospesi o privi di carica quelle zone dell’Ego più arcaiche e disturbate dalle memorie episodiche interne.

 

_ Cooperazione costruttiva ed empatia: Prediligere nei fatti l’interesse del gruppo, cedendo qualcosa di sé, pur di aiutare gli altri nel finalizzare il risultato comune, è la prova più grande di un reale sentimento di appartenenza. Esistono leadership emozionali che sanno essere particolarmente capaci in queste circostanze.

 

_ Creatività/Plasticità: Una mente attiva e ricettiva è quanto di più occorre in un gruppo a cui è imputato un importante progetto da compiere. Una visione aperta e molteplice sulle opzioni generate è importante, sia nella fase estemporanea dell’ideazione che in quella ricombinatoria, maggiormente selettiva e diretta alla sintesi progettuale. Essere versatili, pronti a cambiare idea, a rivedere il percorso, a riprogettare e riformulare eventuali nuovi percorsi, è quanto di più vantaggioso si possa offrire al gruppo.

 

_ Assertività/Controllo: L’individuo ha bisogno del gruppo quanto il gruppo ha bisogno dell’individuo. È necessario pertanto affermarsi con la propria specificità individua, generando un armonico equilibrio fra riconoscimento dell’altro e valutazione qualificante di sé. Ciò è raggiungibile soprattutto se si riescono a gestire tutti quegli eventi e stimoli stressogeni che urtano la sensibilità, inducendo al rischio di cadere in un insano e spiacevole conflitto, provocando o subendo scontri.

 

_ Benessere emozionale: Una persona felice all’interno di un gruppo di lavoro sarà naturalmente più predisposta a mettersi al servizio altrui, facilitando il compito generale. Il benessere emozionale crea la giusta condizione per effettuare rimandi importanti per il gruppo, in termini di incoraggiamento e motivazione.

 

Ciò che forse rimane da augurarsi è che questa eredità di conoscenze sia sempre più utilizzata come risorsa di potenziale crescita, maturità e consapevolezza, non limitata all’ambito dei gruppi formali, ma come necessaria competenza da interiorizzare e sperimentare nella rete dei rapporti in seno alla società complessa, che sempre più urgentemente rimanda alla seria necessità di una educazione permanente sulla gestione di sane relazioni interpersonali, per elargire forme di benessere al di là dei contesti limitati da una politica dell’utile e del profitto.

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