Torre di Babele

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torre di babeleSinonimo di caos. L’alterigia, il delirio di onnipotenza scavano un solco tra gli uomini. La comprensione cede il passo al dissapore che sfocia nella disputa e infine apre alla violenza. Il razzismo razziale e politico ne sono gli esempi storici più eclatanti. La globalizzazione ha portato ad un appiattimento delle culture. Da qui il tentativo spesso esasperato di imporre la propria, dando corpo agli estremismi più beceri e folli. I regimi dittatoriali si reggevano sull’idea della loro onnipotenza. Decidere della vita o della morte di altre popolazioni in una sorta di remake divino. Laddove si pretende di innalzarsi a Dio si genera distruzione. Come scrisse il filosofo Karl Popper “ Non credo all'opinione diffusa che, allo scopo di rendere feconda una discussione, coloro che vi partecipano debbano avere molto in comune. Anzi, credo che più diverso è il loro retroterra, più feconda sarà la discussione. Non c'è nemmeno bisogno di un linguaggio comune per iniziare: se non ci fosse stata la torre di Babele, avremmo dovuto costruirne una.” L’episodio biblico presenta dunque un versante positivo: la diversità tra gli uomini è motivo di arricchimento, di messa in prova delle persone rispetto alla legge divina. Non può esistere omologazione dell’uomo, il ridurre le persone come batterie di polli in gabbia, come avviene in certi percorsi “educativi”. La forza dell’uomo sta nel mantenere la propria identità storica e culturale nel rispetto dell’altro. Rinunciare alla simbologia del proprio credo per non urtare la suscettibilità di altri va in direzione opposta della tolleranza perché priva una cultura della propria identità storica. Si opera una confusione tra uguaglianza di diritti e diversità. L’idea che il diritto possa condurre al rispetto dell’Altro è pura illusione. Spesso si fa riferimento ai diritti umani ritenuti fondamento dell’uguaglianza. Il concetto di diritti umani è però prerogativa dei canoni occidentali, tant’è che in molti paesi non raggiungono la soglia di comprensione come la intendiamo noi occidentali. L’interfaccia con la cultura è evidente.

La diversità culturale è una delle radici dello sviluppo, inteso non semplicemente in termini di crescita economica, ma anche come mezzo per raggiungere un’esistenza più soddisfacente dal punto di vista intellettuale, emotivo, morale e spirituale”, recita l’Art. 3 della Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale dell’Unesco. L’integralista, al di la di qualsiasi connotazione politico-religiosa, si abbevera alla fonte dell’appiattimento culturale. Ma la sua sete non verrà mai placata, e qui sta il paradosso, se non nell’omologazione dell’Altro alla propria cultura.

Anche nel counseling può accadere, per vari motivi, che il counselor tenti di orientare il paziente, di appiattirlo sul proprio punto di vista, producendo di fatto un danno che scardina l’identità del paziente stesso. Peraltro ogni persona possiede un’identità storica, legata alle proprie origini ed al proprio sviluppo. Non è un caso che il fine delle persecuzioni delle popolazioni sia quello di affossarne l’identità storico-culturale. Fu così per gli Armeni, gli Ebrei, ed in epoca più recente la tragedia dei Tibetani, la guerra civile tra Hutu e Tutsi in Rwanda.

Un counselor deve sempre considerare e salvaguardare l’identità storica del paziente. Non si tratta di un aspetto marginale perché prendere atto della propria storia è fondamentale per capire le eventuali problematiche successive. La biografia non si può modificare, rimane sempre scolpita dentro di noi, a livello consapevole e non, e molte volte funge da motore per le nostre azioni.

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