L'importanza della parola "dignità"

Inviato da Paola Audasso

dignita“Il corridoio è lungo e stretto. Sono seduta. Sono stata fortunata perché, di solito, rimango in piedi. Davanti a me un tramezzo a vetri, ed una porta, che permette l’accesso ad un ufficio. Poco più in là, seguendo il tramezzo, un’altra porta, di un altro ufficio: io attendo di entrare lì. La stanza è aperta per il gran caldo, nessuna privacy. Ma non ha molta importanza, siamo tutte qui per lo stesso motivo: cerchiamo lavoro, come badanti, colf, quello che c’è. Le mie colleghe conversano fra loro ed io non comprendo nulla di ciò che dicono perché sono straniere. Alcune volte mi sembra di non vivere nel mio paese, ma di essere all’estero. Dalla stanza aperta giungono delle voci. Una di noi è a colloquio. Ad un tratto sento chiamare il mio nome:”Maddalena!” Corro dentro. Giorgio, il responsabile delle selezioni, ha chiamato al telefono  un possibile datore di lavoro, che vorrebbe vedere immediatamente me e la ragazza già a colloquio. Bene, corriamo. Lei è rumena, si chiama Irena ed ha bisogno di un’occupazione full-time di ventiquattro ore. Io cerco a ore, e sono disposta a sostituire le badanti in permesso, la domenica e il giovedì pomeriggio.

 

Per raggiungere l’indirizzo datoci da Giorgio dobbiamo prendere l’autobus; il posto è lontano ed è allora che penso a mio marito. L’auto noi non ce l’abbiamo più, l’abbiamo venduta qualche mese fa, ma c’è l’auto di mio figlio: una “piccola” seicento , che però può fare al caso nostro. Chiamo Pietro, mio marito, che si precipita ed in men che non si dica siamo sul posto. Pietro ci aspetta in macchina. L’appartamento è al settimo piano. Ci apre il padrone di casa, un signore anziano, curvo e traballante sulle sue provate gambe. C’è anche la badante che sta ancora rassettando la casa. E’ russa.  Prima ci porta in cucina ancora tutta in disordine, e poi subito a vedere la signora bisognosa di cure. Non credo che scorderò mai quella scena: il letto è sistemato con la pediera verso la porta, in modo che il corpo sia esposto direttamente alla vista di chi accede alla stanza. La donna è mezza nuda, col sesso scoperto, da cui fuoriesce il catetere vescicale. Nello stomaco è posizionata la sonda PEG , cioè le è stata praticata una gastrostomia endoscopica percutanea, poiché non può più nutrirsi autonomamente attraverso la bocca. Il braccio destro è inerte, rivoltato su se stesso, segno inequivocabile di un ictus. La ragazza russa ci descrive il lavoro da fare, ma io e Irena abbiamo già deciso: per lei non va bene perché non ha il posto letto e per me neanche, perché una responsabilità del genere, senza contributi (pagarli anche  per le sostituzioni, per il datore, è troppo oneroso) non mi sento di prenderla.

Mi ha fatto pena quella signora, buttata in quel letto senza rispetto: bastava un lenzuolino leggero per coprirla alla vista, anche con il caldo che fa.

Molte persone usano la parola dignità senza saperne il vero significato.

Ho assistito ad una puntata della trasmissione “Forum”, che amo molto, in cui la segretaria di un’imprenditrice portava in causa la sua datrice di lavoro perché , a suo dire, era stata licenziata senza giusta causa. L’architetto titolare di uno studio, donna elegante ed estremamente piacente, era quasi riuscita ad ottenere l’affidamento di una commessa che avrebbe salvato l’impresa stessa, nonché evitato il licenziamento di dieci dipendenti. L’imprenditrice aveva dato appuntamento al cliente nel suo ufficio, pregando la segretaria di non farvi accedere nessuno, men che meno suo marito. La dipendente, invece, sentendo suonare il campanello aveva aperto, proprio al marito che passando, aveva visto le luci  accese, e che aveva trovato la moglie e il cliente in atteggiamenti non propriamente professionali. Risultato: commessa persa, studio in crisi, dipendenti licenziati e, dulcis in fundo, separazione con addebito per la titolare. Gli ospiti “parlanti”, come li chiamo io, della trasmissione, hanno dato addosso all’ architetto, dicendole che era priva di dignità, perché usando la sua avvenenza per chiudere un affare, aveva venduto se stessa, anche se per fini lodevoli, come evitare il licenziamento di dieci persone.

Io credo che, quando si è in pace con se stessi, non c’è nessuno che ti può dire che “non sei degno”, ma la cosa è peggiore quando, la dignità, te la tolgono perché non puoi più scegliere come vuoi vivere e qualcuno decide per te, e ti tratta come fossi un peso.”

Ecco, impariamo a dare un peso alla parola “dignità”.

La mia amica ha finito il racconto. La sua situazione economica è simile a molte di questi tempi. Ha dovuto “reinventarsi” un lavoro, lei che non avrebbe mai voluto fare l’infermiera e che ora, si trova a dover accudire gli anziani non autosufficienti perché non ha esperienze significative in altri campi.

Ma, vorrei analizzare anch’io il significato della parola “dignità”.

Con il termine dignità, si usa riferirsi al sentimento che proviene dal considerare importante il proprio valore morale, la propria onorabilità e di ritenere importante tutelarne la salvaguardia e la conservazione.

Per i modi della sua formazione e le sue caratteristiche intrinseche, questo sentimento si avvicina a quello di autostima, ovvero di considerazione di sé, delle proprie capacità e della propria identità. Pertanto il concetto di dignità dipende anche dal percorso che ciascuno sceglie di compiere, sviluppando il proprio "io".

Ma il termine dignità umana può riferirsi anche al valore intrinseco e inestimabile di ogni essere umano: tutti gli uomini, senza distinzioni di età, stato di salute, sesso, razza, religione, nazionalità, ecc. meritano un rispetto incondizionato, sul quale nessuna "ragion di Stato", nessun "interesse superiore", la "Razza", o la "Società", può imporsi. Ogni uomo è un fine in se stesso, possiede un valore non relativo (com’è, per esempio, un prezzo), ma intrinseco e ciò vale maggiormente se la persona è impossibilitata, per varie ragioni, a far valere i propri diritti.

Nel racconto di Maddalena, l’imprenditrice avrebbe conservato la propria autostima, perché sapeva che il suo comportamento avrebbe avuto effetti positivi, non solo per lei, ma per altre dieci persone. Se fosse stato un uomo, avrebbe regalato un viaggio al suo cliente, e nessuno avrebbe avuto nulla da ridire.

Nel caso della povera signora disabile, ella non aveva mezzi per pretendere un servizio diverso: era impotente, alla mercé di chi l’assisteva.

Ognuno di noi è un’unità somatopsichica integrale, anima e corpo: quando il nostro corpo ci lascia, per i più svariati motivi, rimane l’anima, il sentimento, cioè il sentire emozioni. Le azioni di chi ci sta vicino hanno un’importanza fondamentale. Una carezza, un sorriso, una stretta di mano, un bacio, valgono più di mille parole.

Ma il rispetto deve venire per primo.

La mia amica, nel corso degli anni del suo lavoro, ha sentito dei figli dire ai genitori  non più autosufficienti, frasi del tipo: ” Mamma, tu sei diventata un problema”. La tristezza, il senso di colpa, il ricordo dei sacrifici, l’adattamento al dover dipendere da altri aggravavano, in molti casi, le patologie già in atto.

Il rispetto non sempre si ottiene, ahimè, con l’esempio che diamo. In alcuni casi ci viene “scippato”.

Conserviamo l’autostima e pretendiamo rispetto finché possiamo, in modo che venga salvaguardata la nostra dignità.

Paola Audasso

N.B. Per alcune definizioni si è preso spunto da Wikipedia.

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