PROBLEMATICHE FAMILIARI E AUTOREVOLEZZA. Riflessioni e proposte fra modelli e pratiche educative

Inviato da Nuccio Salis

piedi famiglia1. Scorrendo gran parte della letteratura che tratta il tema del rapporto fra benessere psichico e contingenze socio-ambientali, derivate in primis dal nucleo formativo della famiglia, non si può che constatare come la maggior parte dei blocchi, disagi, traumi, ferite e deviazioni varie, in seno al vissuto ed alla personalità di ciascuno di noi, vengano fortemente messe in rapporto con l’esperienza primaria maturata attraverso la relazione con le principali figure parentali. Sono queste, infatti, responsabili nell’attivare finanche inconsapevolmente un sistema di riferimento inteso come un modello di filtro e di confronto esperienziale col mondo, a cui il bambino è suo malgrado costretto ad adattarvisi, e successivamente ad interiorizzare negli aspetti cardine che caratterizzano tale sistema.

 

Lo spunto ereditato dal paradigma freudiano ha fruttificato modelli teorici decisamente impegnati nel mettere in evidenza questo stretto legame, cioè fra tipologie di rapporto genitori/prole e principale tipo di personalità derivante e congiunta a tale esperienza relazionale. Le teorie sull’attaccamento, o quelle sulle crisi psicosociali, sul copione, sull’archetipo materno, sul transfert, sulle costellazioni famigliari, e a cascata tutta la scienza pedagogica che ha come focus di riferimento la famiglia, promulgano e disquisiscono, probabilmente a ragione, tutte le loro teorie da un impianto concettuale di base che rilancia marcatamente l’influenza decisiva dei primi rapporti con le figure di accudimento principali.

Il punto non è mettere in discussione tali processi, continuamente confermati e riscontrati anche nelle pratiche educative quotidiane, quanto piuttosto capire fino a che punto una persona è capace di rielaborare e reinterpretare quelle antiche decisioni che possono averlo ostacolato, e verificare quanto margine di riprogrammazione interna e libertà sia realmente fruibile nell’esperienza di un individuo. Probabilmente tutto ciò dipenderà da una moltitudine di fattori sia impliciti che esogeni nell’intero campo esperienziale della persona. Un complesso intreccio fra variabili di resilienza e di ostacolo caratterizza l’intero quadro di ciascuno di noi, con la propria unicità storica e soggettiva.

Quello che però mi permetto di evidenziare, con molta discrezione, è che nell’ambito della psicologia dei rapporti famigliari, spesso il legame parentale primario fra genitori e figli risente di una visione tendenzialmente clinica, propensa forse oltre misura nel cercare il guasto e la disfunzione. D’altronde, conoscere, ricercare e soprattutto prevenire ed avere strumenti adeguati di intervento è un compito assolutamente serio e che merita ampio seguito e considerazione. L’impressione del tutto personale mi rinvia a percepire gran parte della letteratura sulla famiglia come fosse raccontata da un telegiornale, cioè un bollettino nero di disgrazie e calamità sociali.

Promuovere e coinvolgere incontri con le famiglie, infatti, non è cosa facile, in quanto avere la percezione che qualche “esperto” indichi cosa non è giusto, cosa non bisogna fare, dov’è l’errore e via dicendo, prevale sull’aspettativa dell’essere guidati in modo propositivo e non giudicante.

Nel bene o nel male, la società è stata costruita dalla famiglia, e se pensiamo all’occidente faremo riferimento al modello nucleare della famiglia, con tutte le sue pur suscettibili trasformazioni legate all’introduzione di nuovi parametri storico-culturali a carattere epocale. Se la società che sta formandosi sta consegnando nel tessuto sociale una moltitudine di individui esprimenti molteplici forme di disagio esistenziale, allora è doveroso pensare alla famiglia, ed alle tipologie efficaci di intervento affinchè essa non perisca sotto il peso di una civiltà che collassa sulle sue problematiche.

Prendersi cura della famiglia mediante serie e non soltanto dichiarate iniziative politiche, può essere una valida alternativa, perché qualcosa bisogna pur fare, dal momento che l’espansione delle trasformazioni sociali non possono che rischiare di mettere la famiglia sotto scacco di una atemporalità che la vedrebbe incapace di reagire costruttivamente ai cambiamenti, priva di strumenti educativi e di una influenza che pare aver perduto, subendo una sorta di traumatica detronizzazione da un contesto storico familistico ad uno contemporaneo caratterizzato da anomia e irriverenza verso le agenzie educative.

In pratica, o si cura la famiglia, o la si elimina alla radice dal momento che viene indicata in un certo senso come fautrice responsabile dei mali sociali, in quanto la comunità, essendo costituita da un’aggregazione di individui, risulta un insieme di soggetti la cui instabilità psichica è determinata da cause famigliari. Allora, questa provocazione, potrebbe far pensare a una radicale trasformazione del concetto di famiglia e del prendersi cura, da tenersi in seria considerazione anche nell’Occidente.

Ma a parte tutto, ciò che mi sento di affermare è che i bisogni della famiglia, così come quelli di un individuo, nonostante i passaggi di ere storiche, rimangono sostanzialmente gli stessi.

 

2. L’elemento chiave di tutto è comunque la cura. Il bisogno del soggetto più debole e vulnerabile di ricevere cure e protezione amorevole dal soggetto più esperto e più forte, è la costante imprescindibile che offre il ganglio fondativo attorno a cui ruota tutta l’attività di caring da parte di chi riveste responsabilità genitoriali. Questo bisogno è il perno della motivazione, da parte della prole, ad osservare e seguire il modello offertole. La natura dei primi scambi comunicativi più complessi è determinata dall’obbedienza. Il bambino si rimette, o meglio si sottomette, alla volontà genitoriale, pena una spaventosa ed ingestibile angoscia di abbandono. Pertanto, la sua direzione affiliativa è squisitamente un movimento teso alla sopravvivenza, ed alla necessità dell’adattamento.

Ora, da quel momento in poi, un genitore può decidere se utilizzare questo tipo di bisogno atavico in modo strumentale, promuovendo cioè rapporti simbiotici e sottili ricatti affettivi, o spingere la prole verso un processo di emancipazione totale, ovvero delineata da fattori di evoluzione cognitiva, di lettura emozionale del Sé e di processualità creativa. È questo bivio a dare luogo a due distinte direzioni, dopo a) l’obbedienza per necessità:

b) l’obbedienza per paura;

c) l’obbedienza per desiderio di modellarsi.

Tra i punti b) e c) esiste la medesima differenza esistente fra autorità ed autorevolezza, che ne formano in pratica l’essenza da cui si sviluppano.

Si ha dunque autorevolezza quando il proprio modello di vita possiede una contagiosa forza di desiderio emancipativo e di sano confronto con la proposta esistenziale che da questo scaturisce, assumendo valenza costruttiva e di sperimentazione, che induce l’altro a dedurne un importante capitale di conoscenze e valori a cui guardare cogliendone il senso, e rielaborandolo con criticità e congruenza nella propria pratica di vita quotidiana.

Il modello autorevole offre permessi accompagnati sempre da una componente di senso e da una cornice protettiva che offre valore esistenziale al permesso, poiché esso non venga confuso con una vuota anomia, distruttiva e senza controllo.

Il modello autorevole si esprime nella congruenza, che è un impegno nel rendere conto con le azioni e con la propria autenticità di ciò che si enuncia a parole. Esso non è un perfetto incantesimo fiabesco, ma un encomiabile tentativo di far coincidere ciò che si crede a ciò che si pratica, per quanto più è possibile, convivendo anche con l’errore, che restituisce al tutto una dimensione umana e realistica da cui attingere numerose occasioni educative e di crescita.

Il modello autorevole si rivolge con coraggio alla realtà, cercando di prevenire contaminazioni e dottrine che ingabbiano il pensiero e circoncidono ogni ipotesi di vita secondo parametri di genuinità. Esso ricava i suoi preziosi insegnamenti dal “qui e ora”, dando valore a ciò che c’è e cercando di potenziare le risorse residue a disposizione, scollandosi da retaggi che possono congelare il flusso del cambiamento e dello sviluppo. In pratica, il modello autorevole ha anche il coraggio, se ve ne fosse bisogno, di rompere col passato, attingendo e costruendo sul presente le sue risorse migliori.

 

3. È molto importante l’atteggiamento propositivo sul presente. Diversamente, si corre il rischio di strutturare modelli famigliari invasi da dottrine non superate del passato, ovvero di identificarsi nelle tipologie reattive non più funzionali dei propri avi. I principi base che danno il senso della continuità e della stabilità del legame parentale allargato sono fattori positivi, a patto che non affranchino eccessivamente la famiglia dal suo tempo e dalle opportunità offerte da nuovi orizzonti e prospettive culturali e sociali. Sono presenti, infatti, tipologie di famiglie che all’interno della struttura parentale allargata, trasmettono una sorta di continuità bloccante e non emancipativa, rilevabile in uno stile di vita o in un sistema di convinzioni radicato che difficilmente viene messo in discussione. Ne ho messo in evidenza almeno due.

Per parlarne in modo chiaro, mi piace chiamarle la famiglia “Sorridi alla vita” e la famiglia “Preparati alla lotta”.

La prima, strutturata in modo tale da svalutare la natura e le circostanze potenziali o espresse dei problemi, promuove e cerca di giustificare la validità di un atteggiamento evitante e superficiale, mascherato da ottimismo e da una filosofia votata al bello. La realtà è che essa nasconde insidiose svalutazioni circa la capacità di pensare, riflettere, trovare soluzioni, avere fiducia e stima di se nell’affrontare le problematiche rilevate.

La seconda, al contrario, può vedere problemi anche dove non ve ne sono, poiché trasmette un’idea di vita come quella di un’arena da cui non si può uscire liberi ed indenni se non a prezzo di estenuanti e interminabili lotte. La matrice di ogni azione umana è la sofferenza, per tale tipologia famigliare, e lo rimarca in continuazione censurando ogni aspetto di fragilità e vulnerabilità, impedendo l’espressione di sentimenti quali la tenerezza e la tristezza, per esempio.

Un modo efficace per prevenire il fenomeno di tutte queste contaminazioni ed inquinamenti psichici da cui la maggior parte di noi, probabilmente, è o è stata irrimediabilmente bombardata, è necessario promuovere un modello efficace, che a mio avviso è quello di una autorevolezza consapevole, cioè non semplicemente legata a uno spontaneismo che per qualche ragione conduce nella sana direzione; ma ad una serie di azioni da riconoscere e formare all’interno di un atteggiamento che diventa esemplare per il benessere delle future generazioni.

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