Ho percorso quella strada mille volte e tutte le volte ho pensato che chi aveva creato quella base di cemento, così avulsa dalla campagna circostante e con tagli obliqui ad una distanza così infelice, aveva qualcosa che non andava...
I miei piedi rifiutavano di camminare con sicurezza, l'incespicare continuo rendeva goffo l'incedere e la paura di cadere rallentava l'andatura, ogni volta, tutte le volte.
Tornando a casa per pranzo, prima di cominciare la discesa dello zoppo, i miei passi eseguivano mosse già previste e già collaudate.
Fino a che ho guardato il suolo, le mie scarpe ed ho valutato le distanze.
E, invece di fare un passo dritto e timoroso come sempre, mi faccio un agguato e prendo di sorpresa la discesa, muovendo un passo deciso ed obliquo. Sì. Obliquo.
Così l'incedere è sicuro, il piede ha spazio libero in cui affondare il peso nelle fosse trasversali, che diventalo solo dei segni, e non degli ostacoli o degli impedimenti.
Cammino come se volassi e registro nel corpo una piccola illuminazione quotidiana.
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