La struttura del gioco di ruolo: come funzionano le relazioni che non funzionano

Inviato da Nuccio Salis

gioco di_ruoloCome riconoscere un bambino? In genere sono piccoli, si esprimono non correttamente, hanno le mani imbrattate di colori, ma soprattutto hanno una caratteristica che li rende inconfondibili dai grandi: giocano! Trascorrono forse gran parte del loro tempo a farlo, e se non sono agguinzagliati a una qualche sonoratissima gingilleria infoelettronica potremo anche osservarli mentre si rincorrono fra di loro su un qualche rettangolino di verde non ancora sostituito da una rotonda in cemento armato. Insomma, una proprietà che attribuiamo o riconosciamo immediatamente al bambino è proprio il gioco. Se non è il game, ripeto, potremo vederli impegnati in un gioco libero oppure in un gioco di ruolo, ovvero un play.
Ma è poi così vero che la dimensione del gioco qualifica una prerogativa dell’essere bambini e che, di conseguenza, l’adulto smette di giocare? In genere siamo portati a pensare che una volta diventati grandi smettiamo di giocare. Lo spazio che l’adulto dedica invece al gioco è a mio avviso assai evidente ed intenso. Sia dal punto di vista del game che del play. Pensiamo a tutte quelle persone impegnate a fare la fila nei botteghini per grattare il biglietto della fortuna con cui recuperare una parte della pensione bruciata nel trovarlo. Se leggiamo le statistiche sulla proporzione fra presenza di slot machine e persone ci rendiamo conto che siamo assolutamente un popolo di giocatori, eccome se lo siamo!


Allora cosa ci distingue dal bambino? Se non è il gioco declinato sottoforma di game sarà allora il gioco attraverso il play? I bambini imitano, e mettendosi anche fisicamente nei panni di un adulto iniziano la loro attività ludico-simbolica. Si gioca alla famiglia: i maschietti afferrano il coperchio di una pentola e brumbrummano per il cortile salutando la “moglie-sorellina”, le femminucce portano le bambole all’asilo con un passeggino poi le distendono su un portabiancheria e li rimboccano le lenzuola, augurando la buona notte. Si tratta insomma del gioco di finzione differito, dove ciascuno impersona un ruolo, mascherandosi dei panni di un qualche modello precedentemente osservato, di solito quello genitoriale ma soprattutto anche mescolato a connotazioni di modelli stereotipati ed artificiosi assimilati dall’elettrodomestico parlante.
Ma se ci pensiamo, anche l’adulto trascorre gran parte della sua giornata a fingere, a stare dentro un gioco di ruolo, a “vestire i panni di”. Allora quale è il tratto che lo rende distinto e non sovrapponibile al bambino? Forse consiste nel fatto che l’adulto finisce per identificarsi in modo adesivo nel proprio ruolo, ovvero degenera nel prendersi troppo sul serio, e quindi, proprio al contrario del bambino che invece smette di giocare, consapevole dell’artificiosità del gioco imitativo; l’adulto continua la sua attività sostituendola via via alla realtà, ed imperniando la sua intera esistenza intorno alle proprie proiezioni costruenti attività virtuali.
Il bambino esce dal matrix, l’adulto ne rimane intrappolato: è questa l’unica differenza che mi riesce di cogliere.
Eppure, nell’immaginario sociale, il bambino è colui che gioca, e l’adulto è colui che fa le cose serie. Trovo le due realtà molto speculari, con la differenza che i giochi degli adulti sono spesso nocivi e socialmente pericolosi per l’intera specie. Giocare alla guerra e a guardie e ladri è comunque un’attività del Bambino Libero, che nel bambino può coincidere completamente con un senso eccitatorio di sfogo naturale dell’aggressività, e nell’adulto può invece degenerare attraverso la guida da parte dell’interiore Bambino Libero Negativo, quindi in un Demone di natura compulsiva e distruttiva, che dispone oltretutto di una funzione esecutiva (Adulto) matura, con la quale gestisce ed usa sofisticati strumenti di morte.
Quindi anche gli adulti giocano, ed i giochi di cui sono appassionati sono spesso forme di relazione dalla struttura e dai processi patologici, in quanto sfocianti in situazioni in cui tutto si complica e diventa ingestibile e ripetitivo, generando eventi da cui si ricavano soltanto turbamenti, dolore, disprezzo per se e per gli altri.
Come riconoscere quando ciò è avvenuto o si sta verificando?
Provo a sintetizzare e riformulare a mio modo quello che viene in genere esposto come il processo sequenziale di una relazione disfunzionale.
_ INVIO INVITO: La prima mossa è aperta da chi lancia l’esca, anche e soprattutto inconsapevolmente. Nel senso che può non rendersi conto di stimolare un interlocutore ad entrare nel suo piano di vita. In pratica è come se stesse facendo una sorta di casting, scegliendo i protagonisti della propria storia esistenziale. Una semplice frase come “Vorrei invitarti a cena stasera”.
_ ACCETTAZIONE DELL’INVITO: Il ricevente l’invito lo accoglie ed invia una risposta affermativa. Tutto questo può svolgersi dentro un processo di scambio preliminare fra le parti che prelude ad un gioco non piacevole o comunque inconcludente. Ma entrambi i giocatori ne sono ancora ignari. Consapevolmente potremo non conoscere o non cogliere le reali intenzioni nascoste di colui che ci ha invitati al “gioco”, e che egli stesso non conosce; ed al tempo stesso ne abbiamo bisogno affinchè si concatenino in modo complementare con quelle nostre, affinchè rinforzino la cattiva idea che abbiamo circa noi stessi o il mondo che circonda, o per non farci mancare niente anche verso entrambi.
_ COMINCIA LA DANZA: Il terzo step della catena riguarda l’ingresso nel gioco sociale vero e proprio, esplicitato anche a livello visibile mediante i comportamenti. Ed ecco che ora si comunica, prendendo ciascuno una propria posizione, ricevendo e rilanciando messaggi come in una sincronica partita di tennis.
_ SCAMBIO DI RUOLI: Ad un certo punto le proprie intenzioni subdole ed insidiose cominciano ad istigare quei comportamenti che destabilizzano e turbano l’apparente armonia relazionale. Es: Chi ha cominciato col prendersi cura di qualcuno si potrà vedere dallo stesso accusato di qualcosa, chi subiva molestie o ricatti si ritrova a fare l’aguzzino del suo carnefice ed a rendergli la pariglia. Si cambia la situazione personale ed interpersonale.
_ OPS! COSA E’ SUCCESSO?!: Ci si rende conto di essersi impantanati in una situazione che consapevolmente non si andava cercando. Ci si sente smarriti, sconsolati e disorientati, si viene assaliti da un senso di disfatta. Non si riescono a comprendere le ragioni di tale incidente.
_ RACCOLTA DI SENTIMENTI SPIACEVOLI: Ciascuno si porta a casa il proprio scotto da pagare, che coincide nel rafforzare l’emozione dominante della propria struttura intrapsichica; ovvero proprio quella che in genere si sostituisce alle emozioni più autentiche che potrebbero favorire di esplorarci in piena autenticità.

Paradossalmente, tale esperienza conserva pur in tutta la sua disfunzione l’equilibrio di colui che non si sente o non vuole affrontare percorsi di crescita e di emancipazione. È la classica struttura che porta le persone a preferire una confortante bugia ad una destabilizzante verità che impegnerebbe la coscienza e costringerebbe a rivoluzionare l’obsoleto ed incancrenito sistema di convinzioni che rende deleteria la vita per se e per le persone intorno.
Per questo resistiamo al cambiamento, e chiamiamo “crisi” ogni chiamata verso il nuovo, bloccando l’evoluzione e mancando di realizzare il dovere di consegnare alla future generazioni un mondo sano, popolato da persone che hanno imparato a tutelare la propria ed altrui salute psicofisica partendo proprio dalla dinamica delle relazioni.
 

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