Accettarsi per cambiare


dscn0801In questo articolo vorrei prendere spunto da una storia di counseling per riflettere su come il cambiamento personale passa anche per l’accettazione di sé e dei propri limiti. Se ci imponiamo di cambiare forzandoci, se vogliamo migliorare perché ci giudichiamo in modo intransigente e in fondo non siamo pronti a tener conto dei nostri limiti … alla fine non riusciamo, o solo temporaneamente.

 

Carlo è Ingegnere, Responsabile di una importante funzione aziendale. È una persona capace e capace di farsi voler bene. Forse non vuole del tutto bene a se stesso, o meglio, se fallisce o se fa meno di quel che si era prefissato non se lo perdona facilmente. In questo modo ha raggiunto tanti risultati, è vero, ma è anche diventato molto intransigente verso di sè, quasi implacabile in certi casi.

 

 

Carlo mi guarda con insoddisfazione. Mi ha raccontato che ogni volta che parla in pubblico si blocca. Mi prende il panico totale, mi ha detto, la testa mi si vuota, non so più cosa volevo dire.

Questo gli succede anche se deve o vuole intervenire a una riunione, ad esempio con tre o quattro clienti importanti, non solo quando ha davanti cinquanta persone.

Prepararmi serve a poco, continua, perché più penso a quel momento più la paura cresce e ci arrivo con enorme tensione, praticamente paralizzato. Una volta, un docente ha fatto un giro di tavolo e man mano che si avvicinava il mio momento la tensione saliva, stavo male anche se sapevo benissimo cosa volevo dire e sapevo che il mio sarebbe stato un intervento centrato.

Alla fine, in genere qualcosa lo dico, ma con grandissima difficoltà e facendo una pessima figura. Come invidio quelli che parlano bene davanti agli altri! Ho visto tante volte che se la cavavano magnificamente solo per la loro abilità nell’esprimersi, anche se ne sapevano meno di me, molto meno di me. Ecco, io devo diventare come loro.

 

Carlo mi guarda contrariato. Parliamo di come le persone hanno tutte capacità e limiti. Tutti riescono meglio in alcuni campi e meno in altri. Infatti, mi dice, io per i numeri sono portato, mi vengono facilmente, più che ad altre persone. E fin qui, ok. Ma se Carlo ha da considerare che per altri aspetti può essere meno dotato o avere più difficoltà, qui si ferma, qui è contrariato. Logicamente non fa una piega, mi dice, se lo vedo in un altro non mi dà problemi, chiaro, tutti abbiamo dei limiti, ma su di me no, su di me non va bene. Non su una cosa così importante per me e per il mio lavoro. Sì, capisco che in effetti sono arrivato comunque dove sono ora, sì è vero che non riuscire a parlare davanti a un gruppetto di persone non mi ha impedito di far carriera, ma….

 

Carlo sorride. Mi racconta di come durante un periodo di studio all’estero si era sentito molto diverso, del tutto libero dal dover fare bella figura. Nonostante la lingua straniera, dice, ero sciolto, spigliato, se sbagliavo qualcosa ci ridevo su, facevo ridere anche gli altri, risultavo simpatico e alla fine facevo davvero bella figura. Sono stati i mesi più belli, stavo bene con me stesso e non sentivo questa specie di frenesia interna, questo rimprovero interno sempre presente.

Già, Carlo sa bene che la serenità di allora era alla base della sua efficacia comunicativa, che parlava bene anche in gruppo perché non si preoccupava nel farlo.

Quello che Carlo non sa è come recuperare qui la stessa tranquilla leggerezza, che gli consentirebbe di parlare come vorrebbe in occasioni collettive anche in Italia.

 

Sono solo spunti.

Carlo è una persona reale, con un nome diverso, la sua storia è reale ma qui è ovviamente adattata e semplificata.

Non si tratta solo di parlare in pubblico, questo è un esempio per concretizzare.

Come a Carlo, a molte persone non manca la motivazione, vogliono intensamente migliorare in qualche campo. Se però manca la fiducia di poterlo fare la cosa si complica. E la motivazione che nasce dalla nostra parte svalutante, ipercritica e intransigente (quella che in Analisi Transazionale chiamiamo Genitore Normativo negativo o GN-) è molto diversa da quella che scaturisce da altre parti di noi.

Per certi versi, proprio la molla che spinge la persona al cambiamento è uno dei principali ostacoli a raggiungerlo, proprio la capacità autocritica che le suggerisce di migliorare diventa così potente da non lasciare spazio alla serenità, molto utile per migliorare. La serenità in questo caso scaturisce dal pensare intimamente che va bene anche così, che siamo comunque adeguati alla vita anche con qualche limite (in altri termini è la parte che in Analisi Transazionale chiamiamo Genitore Affettivo positivo, o GA+). Se accettiamo che in qualche cosa non riusciamo, se smettiamo di invidiare gli altri e ci andiamo bene come siamo, poi miglioriamo, poi risultiamo meglio, perché appunto affrontiamo in modo sereno le situazioni che prima combattevamo. Penso che ogni counselor ne abbia incontrato tanti esempi. Mi piace ricordarne un altro, una donna a capo di una azienda importante, che mi disse: Da giovane non mi piacevo. E così mi vestivo male e mi piacevo sempre meno. A un certo punto, non so neanch’io come, ho smesso di guardare le modelle sui giornali e di invidiarle, ho pensato che andavo bene com’ero. Ho cominciato a piacermi di più, a valorizzarmi con abiti e accessori più curati, alla fine non sono una modella ma … faccio anch’io la mia figura! Una profonda accettazione di sé passa anche dal modificare gli standard ed i modelli di confronto, passa anche dal ridurre almeno un po’ l’obiettivo.

 

Il counseling può tentare di attivare la parte rassicurante e fiduciosa del cliente, quella che non risulta disponibile “automaticamente” nel momento della difficoltà. Può essere utile una comprensione cognitiva, ma occorre una modificazione anche emotiva, altrimenti non basta (come dice Carlo, logicamente non fa una piega ma…). Il counselor può trovarsi nella condizione di contattare il cliente sul piano emozionale, contenendo la reazione.

Un augurio a Carlo e a tutti noi, impegnati quotidianamente a tener conto delle nostre limitazioni e nonostante tutto ad andare avanti. Anche una cima non dolomitica può darci soddisfazione!

 

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