Differenziarsi: il traguardo finale di un percorso di crescita potrebbe essere sintetizzato da questa parola. La conquista dell’autonomia e l’affermazione di essa in uno spazio autonomo di espressione e di una afferente dimensione interiore, porta certamente in auge il termine “differenziazione”. Ciò che è differenziato è distinguibile, riconoscibile nella sua peculiarità, presenta in modo più o meno evidente un qualche tratto di connotazione che lo rende originale, magari del tutto unico, benché collocabile dentro un esteso concetto categoriale.
L’area di differenziazione a cui fa riferimento ciascuno di noi è l’individualità. Con questa espressione, caricata come meriterebbe del suo profondo significato, si intende il raggiungimento, da parte di un soggetto umano, di una collocazione di natura autentica ed irripetibile, guadagnata superando un percorso ad ostacoli, costituiti da tutte quelle trappole omologanti preparate di proposito per il depistaggio del proprio itinerario di crescita ed evoluzione. Quindi, se autentici, si nasce, da una parte anche si diventa, dal momento che questo impegno implica un laborioso viaggio interiore, da cui precisamente deriva infatti l’espressione labirinto inteso proprio come “labor interior”; ovvero quello sguardo nel di dentro che ricerca l’autentica natura trascendente che accomuna ciascuno di noi a tutti gli altri. Naturalmente, anche una volta raggiunta la condizione di individualità, la lotta prosegue col tentativo di conservarla, di non barattarla o corromperla con ogni genere di richiesta che ne include l’abiura, la sconfessione o la rinuncia.
Come conquistare e soprattutto proteggere la dimensione individuale? E soprattutto perché dispendere così tanto affanno e costo psicologico per poterla raggiungere? L’ampiezza di tali domande mi condurrebbe all’elaborazione di un trattato, quindi non potrei che tentare di procedere ad una estrema sintesi di tutto queste pungolanti riflessioni.
La motivazione legata al raggiungere il compimento dell’individualità, credo riguardi il livello di consapevolezza circa l’importanza attribuita al coronare la scoperta di se promuovendosi come soggetti unici, di incomparabile meraviglia e particolare valore. Insomma, ciascuno di noi è speciale, a modo suo. Scoprire se equivale ad esplorare ed esprimere anche i propri talenti , le proprie attitudini e dare piena e legittima manifestazione ai propri sani bisogni di riconoscimento e indipendenza. Significa sottrarsi al gioco dei ruoli sociali ed al carnevale non divertente in cui non ci si toglie mai la maschera, impersonando un profilo che finirà per avere una vita propria che coincide con la nostra. Differenziarsi e trovare se stessi, dunque, significa promuovere la funzionalità e l’integrità dei propri rapporti interpersonali, ai quali si potrà dare un’impronta di qualità ed una caratteristica dinamica orientata all’ulteriore crescita e scambio di valori ed esperienze.
Differenziarsi significa avere cura di se, quindi saper discernere fra ciò che ci appartiene e ciò che ci può turbare o far deviare dal nostro percorso di autoconsapevolezza. Differenziarsi diventa allora un modo protettivo funzionale e un naturale atteggiamento che si fa promotore della nostra salute e benessere psicofisico, emotivo e relazionale.
Se si comprende e si condivide lo spessore di queste mie dissertazioni è molto probabile che si è avviati nel giusto percorso.
A questo punto non ci rimane che cercare di individuare in che modo potremo aiutare le persone a riscoprire, confermare e tenere alta la motivazione legata al principio di scoprire se stessi. Fra l’Ego e l’Anima, rispettive entità di cui già parlai in un altro precedente intervento, la parte di noi che rappresenta la fulgida ed indissolubile verità è l’Anima. È quindi all’Anima che bisognerà affidare il mandato della conquista di se in termini di arricchimento esperienziale nell’ottica della creazione di valore. Se la psicanalisi di matrice freudiana, ortodossa e refrattaria alla trascendenza, ci ha insegnato che l’Ego è la coscienza, il contenuto osservabile delle esperienze senzienti; ora, invece, alla luce di una lettura che lo mette in parallelo agli artifici raggiranti della personalità, per rifuggire da se stessa, esso non è più teoricamente in grado di promuovere e condurre le istanze del principio di individuazione.
Tale percorso, infatti, se considerato come una finalità di massimo valore che consiste con il superamento e la destrutturazione delle “maschere interiori” dei propri fantasmi arcaici ed immaginari, coincide con il raggiungimento di uno status di illuminato. L’Ego, a questo punto, non può più rappresentarci, se non sul piano del palcoscenico sociale dove si recita a copione, per convenienza o formalità.
La verità abiterebbe dunque in un piano superiore, e la ricerca della medesima richiede il sorpasso della struttura egoica. Ecco che allora la prima regola fondamentale diventa quella di aspirare a prendere piena coscienza della propria anima e ricavare da essa e soltanto da essa i principi guida di una vita regolata secondo piani di autentica e indiscutibile rilevanza, per se e per il compito originario che ha motivato la propria nascita. Prendersi cura dell’anima, dunque, è il primo passo a mio avviso per un efficace training di presa di coscienza della propria forza e del proprio valore.
L’Anima è il contenitore del Bello, ama esprimersi nella verità, quindi tende ad irraggiarla ed a richiamarla. Soltanto uscendo dalle gabbie stereotipe degli autoconvincimenti, ovvero smettendo di autoetichettarci emettendo sentenze attraverso il nostro “giudice interiore”; solo così potremo avere il diritto di reclamare incontri ed esperienze interpersonali basate sulla valorizzazione e la scoperta delle qualità personali. Per ottenere questo si deve quindi uccidere l’abito-maschera prodotto dalle proiezioni esterne su di noi che abbiamo preso al volo per potercele incollare di dosso.
L’Anima non può giocare attraverso i ruoli, perché nessuno nasce Vittima, o Salvatore, o Persecutore. L’Anima smaschera le bugie dell’Ego e può interrompere il boicottaggio che l’Ego muove nei confronti del sentire ed intendere la verità.
L’Anima è come un diamante, nessun giudizio, dal momento che ha preso reale coscienza di se, può scalfirla o imprimerle segni e ferite. Il nostro Ego, che le confina temporaneamente accanto, può ingannarla e nasconderla alla nostra vista. Egli infatti si nutre di proiezioni e sovrastrutture, i suoi contorni, dinamiche e contenuti sono ricamati da un processo di identificazione con le cose, con i ruoli, con lo status.
Quando ci giudichiamo sulla base del lavoro che facciamo (o che non facciamo) o sulla base delle condizioni sociali ed economiche in cui riversiamo, stiamo usando l’Ego. L’Ego si nutre di segni e sfaccettature cariche di valenza simbolica. L’Ego produce facili equazioni fra l’Io e le cose. La persona diventa la cosa, il possedente diventa l’oggetto posseduto, un interfaccia sociale che misura il valore e la credibilità della persona.
L’Ego identifica, l’Anima disidentifica. L’Ego si plasma attraverso lo stigma sociale, l’Anima respinge ogni mistificante attribuzione categoriale, e la riscoperta di se diventa in molti casi un vero e proprio processo di destigmatizzazione.
La strada dell’autenticità ha dunque un faro ed una bussola che ripescherei esclusivamente dall’Anima, per promuovere ed indirizzare percorsi di maturità circa la consapevolezza interiore e l’autonomia di se.
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