Comunicare in situazioni di crisi – 3° parte


crisiPrima di proseguire questa riflessione sulla comunicazione in situazioni di crisi è opportuno ricordare che:

per crisi intendiamo un brusco cambiamento, imprevisto ed indesiderato, delle condizioni ambientali ( lavoro, famiglia, sociale, studi, sport, ecc ) che causano un’altrettanto repentina trasformazione degli standard comportamentali delle persone coinvolte dall’evento;

tale cambiamento, non voluto, richiede una revisione del proprio modo di vedere sé stessi, gli altri, la realtà specifica del momento nonché il mondo in generale. Ci stiamo riferendo, dunque, ad un percorso cognitivo/ emotivo/ comportamentale impegnativo e dagli esiti incerti;

 

a volte le persone, in situazioni di crisi, al posto di reagire conformemente al contesto, si comportano in maniera paradossale ovvero in modo del tutto inadeguato a fronteggiare gli eventi;

tali risposte incongrue consistono, in genere, nel reiterare comportamenti passati, semmai gli stessi che hanno generato la conflittualità del momento, e a farlo con maggior vigore, come se la soluzione al problema risiedesse nel fare di più invece che nel fare diversamente ( conseguentemente si ritiene che l’origine del problema risieda nella scarsa intensità dell’atteggiamento messo in atto piuttosto che la sua congruenza ) ( i Team manager aziendali, a volte, raccomandano ai venditori, ad esempio, di stringere la mano al cliente con vigore … e più vigore ci mettono e più perdono clienti … e più clienti perdono e più vigore mettono nella stretta di mano ) ;

un’altra forma di comportamento paradossale è quella che abbiamo definito il circolo vizioso del “ Di chi è la colpa? “. Tale dinamica si realizza quando coloro che sono interessati alla crisi e dalla crisi investono tempo ed energia ad accusarsi o a difendersi o a difendere. In questi casi la ricerca del colpevole, o il proteggere sé stessi o altri dall’accusa, diventa la modalità privilegiata di reagire alla crisi, come se bastasse definire “ di chi è la colpa “ per risolvere;

quest’atteggiamento è espressione di un particolare processo relazionale, definito Triangolo Drammatico, che vede le persone entrare in rapporto tra loro a partire da un ruolo, psicologico ed esistenziale più che sociale e materiale, di critica/ aggressione ( Persecutore ) o di difesa/ accettazione ( Vittima ) oppure di apertura/sostegno ( Salvatore ).

Specifichiamo che tali ruoli hanno origine da una profonda svalutazione si sé e degli altri. Pertanto anche chi agisce da Salvatore non porterà effettivi benefici alla relazione in quando il suo comportamento avrà origine dal ritenere gli altri aprioristicamente inadeguati ad agire con efficacia ed autonomia e ciò senza che ci sia alcuna effettiva conferma in merito. La sua azione, dunque, con molta probabilità, risulterà a chi ne è il destinatario limitante e soffocante;

il Triangolo Drammatico vede le persone assumere costantemente uno dei tre ruoli nei diversi ambiti relazionali. In genere, però, nei rapporti interpersonali, quando sono caratterizzati da tale dinamica, gli individui assumono tutti e tre i ruoli semmai sentendosi più a proprio agio in uno dei tre, senza però fissarvici.

Il Triangolo Drammatico, se caratterizza spesso le relazioni umane, diventa perciò quella dinamica che più si acuisce nei contesti di crisi. A volte, anzi, né è l’origine.

Un altro tipo di comportamento paradossale, in contesti di crisi, è quello che è chiamato astensione.

Questo genere di risposta viene definito, in Analisi Transazionale, un comportamento passivo ossia una modalità d’azione che nasce da una profonda svalutazione di sé e degli altri.

L’astensione risulta, all’apparenza, una sorta di inattività. Una passività, appunto.

La persona passiva si mostra distante dagli eventi per quanto conflittuali e lesivi siano per sé stessa. Pare disinteressata a quanto le accade intorno.

La passività genera, in chi ne è testimone, rabbia e rinuncia. Si diventa facilmente, verso chi assume tale atteggiamento, critico e Persecutore o un asfissiante Salvatore. O ci si sente Vittima della sua rinuncia ad agire.

Chi si astiene, al contrario, è estremamente attivo mentalmente. Non è privo di energie, anzi. Utilizza, però, tutte le sue risorse emotive e cognitive per impedirsi di agire. Le orienta all’interno, insomma, invece che all’esterno. Non gli sono chiari gli obiettivi verso cui rivolgere le sue energie oppure non sa cosa fare dopo averli realizzati. O teme quello che potrebbe accadere dopo averli raggiunti.

Immaginiamo, ad esempio, l’impiegato che non agisce verso i colleghi che lo caricano anche del loro lavoro. All’apparenza sembra che non si accorga nemmeno dell’ingiustizia che subisce. Oppure che non gli interessi subirla.

Ma quella stessa persona probabilmente ha ben chiaro cosa accade e saprebbe anche come reagire ma teme che, mostrando il suo disaccordo, venga isolato o che le sue rimostranze non siano prese in alcuna considerazione dai colleghi. Al danno si aggiungerebbe così la beffa.

Quanto abbiamo detto a proposito del Triangolo Drammatico vale anche per l’astensione: tali dinamiche segnano a volte i rapporti umani e si acuiscono nei momenti di crisi al punto da essere, in tali circostanze, gli standard comportamentali. Per alcune persone, infatti, astenersi dal fare la sola cosa che andrebbe fatta, in particolari momenti conflittuali, diventa il modo privilegiato di reagire al cambiamento imposto: è spesso un modo per prendere le distanze dal cambiamento, per ritardarlo, per attutirne gli effetti.

 

Il circuito vizioso del “ Di chi è la colpa “, il Triangolo Drammatico e l’astensione non esauriscono il ventaglio di risposte paradossali ai contesti di crisi ma sono sufficienti a farci comprendere alcuni aspetti delle dinamiche comunicative in tempo di crisi.

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