Il workshop con Serge Ginger è forse uno dei più riusciti (oltre 130 persone presenti complessivamente!) considerando anche gli aspetti tecnico-organizzativi ed è il primo nel quale posso contare sul supporto di una équipe altamente efficace ed efficiente. E’ per questo motivo che mi viene voglia di rituffarmi subito nell’organizzazione di un altro evento memorabile. Ho in mente la persona giusta, forse il gestaltista vivente più famoso di tutti, quell’Erving Polster che già due anni addietro avevo cercato di portare in Italia dopo aver avuto la fortuna di conoscerlo e lavorarci insieme e che aveva rifiutato per questioni di salute. Non è certo giovanissimo (ha 89 anni!) e sono passati due anni dal precedente invito. Insomma tutto farebbe pensare che l’idea è da folli… Ed infatti credo sia così! Quindi perché scartarla a priori?
Scrivo ad Erving il giorno dopo aver accompagnato Serge all’aeroporto per il suo ritorno a Parigi. Penso che non si possa affatto ricordare di me ed invece lui mi stupisce citandomi particolari del nostro incontro che nemmeno io ricordavo! Accetta subito stavolta. Mi dice solo che, trattandosi per lui di un viaggio davvero estenuante, avrebbe piacere di contattare alcuni suoi ex-allievi (peraltro oggi tra i più importanti formatori di Psicoterapia e Counseling che abbiamo in Italia!) per vedere se è possibile organizzare più di una data. La cosa non mi crea nessun problema: come Scuola ASPIC negli anni abbiamo creato un data-base tale da garantire già con i “nostri contatti” la riuscita di un workshop del genere e la mia idea di formazione è che quella di qualità va proposta e supportata il più possibile. Quindi la macchina organizzativa prende il via! Non abbiamo molto tempo perché Erving vuole sfruttare il periodo caldo e quindi decidiamo per maggio-giugno 2011, cioè poco più di sei mesi dal primissimo contatto. Il poco tempo a disposizione viene comunque sopperito dalla straordinaria professionalità e scrupolosità nella preparazione dell’evento che ci mette Erving.
Per la prima volta da quando organizzo eventi con questi grandi Maestri, Erving propone diverse tracce di lavoro e tutte pensate nei minimi particolari. E’ un piacere (oltre che un apprendimento continuo!) semplicemente leggere tutte le e-mail che ci scambiamo in preparazione al nostro evento. Nel frattempo contatto Marilena Menditto, Margherita Spagnulo Lobb e Riccardo Zerbetto referenti delle altre date del “tour”. Con loro definiamo le questioni logistiche che riguardano tutti. Sono emozionato: potrò passare dei giorni con uno dei più grandi Gestaltisti di sempre, che si è formato e ha a lungo lavorato direttamente con Fritz Perls! Poche settimane prima del suo arrivo in Italia ricevo una telefonata da un numero di telefono stranissimo. E’ Erving che vuole condividere a voce con me gli ultimi dettagli e mi chiede di organizzare una cena con i traduttori la sera prima del workshop per avere la possibilità di conoscersi ed abituarsi reciprocamente ai diversi accenti! Quello che si chiama cura del particolare!
Erving arriva a Genova da Milano due giorni prima dell’inizio del workshop così ne approfittiamo per definire gli ultimi dettagli e per visitare alcuni luoghi della nostra città. Erving rimane compitissimo dalla conformazione morfologica di Genova e si commuove per la fatica con cui i genovesi hanno dovuto strappare spazi soffocati tra il mare e la montagna che si erge subito a pochi metri dall’acqua. E’ un aspetto che ho sempre sottolineato sulla peculiarità di Genova e dei genovesi e ho la presunzione di pensare che un turista non possa cogliere questa complessità fermandosi alla suggestione degli spettacoli naturali che l’incontro tra il mare e la montagna crea. Erving mi smentisce e mi fa sentire accolto e compreso nella mia identità cittadina: più empatia di così!
Il giorno prima del workshop (da noi festa nazionale) ci vede in albergo a preparare una presentazione in power point sull’evoluzione storica dalla Psicoanalisi alla Teoria della Gestalt. Erving non ama il computer e la presentazione la facciamo solo perché la sua seconda moglie, Rose Lee, dimostra di tenerci tantissimo! E’ uno spasso vederli confrontarsi in maniera anche accesa su come affrontare l’aula ed è formativa la serietà e l’impegno con cui Erving discute di temi che per lui sono sempre nuovi anche se ampiamente conosciuti. Il seminario è spettacolare con in particolare un sabato in cui Polster da il meglio di sé e, come quello di Ginger, viene videoripreso lasciando alla nostra scuola del materiale preziosissimo da mostrare a futura memoria. Divertente il sabato sera dopo il workshop quando decidiamo di portare i coniugi Polster a cena sugli scogli a Bogliasco, una località sul mare leggermente distaccata dal centro-città. Il contesto è molto romantico e Rose Lee ed Erving mostrano tutto il loro entusiasmo per il contesto da favola tanto da chiederci un finale davvero imbarazzante: gradirebbero tanto sentirci cantare una tipica canzone della tradizione napoletana, cosa che facciamo finendo per attirare l’attenzione (e non del tutto favorevole!) degli altri avventori…
Per concludere mi piacerebbe riportarvi alcuni passaggi del pensiero Polsteriano circa la modalità con cui noi operatori della relazione d’aiuto dovremmo accostarci ai nostri clienti:
“Perls parlava di continuum di consapevolezza. Se sei consapevole da momento a momento c’è un impulso organico che ti porta ad andare dove vuoi andare. E’ questa la strada maestra verso la guarigione. Io ho cambiato leggermente questo e ho introdotto il concetto di sequenze terapeutiche serrate: in ogni momento il cliente lancia frecce che indicano una prospettiva di momenti successivi ed è compito del terapeuta (o dell’operatore della relazione d’aiuto in senso lato) capire ed indicare quale freccia seguire per il momento successivo. Se il modo di seguire questa consequenzialità di sequenze momento per momento che viene scelto dall’operatore sarà sottolineato da una serie di sì dal cliente, e questa sequenza di sì avrà un effetto ipnotico sul cliente stesso, allora quella persona inizierà a vedere come possibile quello che prima era impossibile. Questo perché le persone vogliono fare un passo successivo se non hanno paura di questo passo. Uno dei compiti di chi ascolta l’altro è di accentuare il senso di interesse che c’è in ogni storia che il cliente gli racconta. Questo perché quando le persone provano dolore o sono in difficoltà la loro attenzione si restringe principalmente a quello ed il compito “dell’helper” è aprire la prospettiva: se lo si fa con sentimento, partecipazione e presenza il dolore diminuisce un pochino (…).
Quello che aiuta davvero sono 4 cose:
1) la fiducia nel processo naturale: quando qualcosa accade noi operatori della relazione d’aiuto dobbiamo essere pronti, allertati a coglierlo e usare questo momento come trampolino di lancio. La fede nel processo deriva dall’esperienza. L’intuizione non è nulla se non sto nel processo e seguo il mio cliente passo dopo passo. Le peggiori intuizioni possono dare vita ai migliori cambiamenti a patto che ci sia la RELAZIONE;
2) l’empatia verso il cliente;
3) bisogna essere affascinati dagli esseri umani. Come gli ornitologi veri: essi non direbbero mai questo uccello mi piace e questo no…;
4) bisogna trascendere l’ambizione: è molto facile sentirsi minacciati se non si hanno successi”. (Erving Polster)
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